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lunedì 15 giugno 2015

Aiutare le persone ad aiutarsi

Ci sono diverse modalità, approcci, scuole di pensiero per aiutare le persone ad aiutarsi, per cercare di aiutare le persone a stare meglio, per aiutare le persone a trovare le prorie risorse per risolvere situazioni, uscire da difficoltà, da disagi, per cambiare un modo di essere che può risultare disfunzionale, fra le tante, la psicoterapia della Gestalt si distingue per la modalità di aiutare l’altro attraverso l’esperienza, attraverso un approccio più diretto.
J. Zinker illustra nel testo Processi creativi in psicoterapia della Gestalt, il lavoro dello psicoterapeuta della gestalt, spiegando l’esperimento presso lo studio che diventa una sorta di laboratorio, elencando alcuni obiettivi: “Lo studio del terapeuta diventa un laboratorio vivo, un microcosmo nel quale la persona esplora se stessa a un livello realistico, senza la paura del rifiuto o delle critiche. L’esperimento creativo aiuta la persona ad approdare a nuove espressioni, o almeno la spinge verso i confini, i margini entro i quali vuole crescere. Gli obiettivi a lungo termine dell’esperimento consistono nell’allargare l’orizzonte della consapevolezza del paziente e della comprensione di sé, nel farlo sentire più libero di agire efficacemente nel suo ambiente e nell’ampliare il suo repertorio di comportamenti nelle situazioni di vita.
Gli obiettivi della sperimentazione creativa all’interno del setting terapeutico sono:
-          ampliare il repertorio comportamentale della persona;
-          creare quelle condizioni che aiutino la persona a vedere la propria vita come una propria creazione;
-          stimolare l’apprendimento esperienziale della persona e l’evoluzione di nuovi concetti di sé;
-          scoprire le polarizzazioni di cui non si ha consapevolezza;
-          stimolare l’integrazione di forze conflittuali nella personalità.
La costruzione di un esperimento è una danza complessa, un viaggio collaborativo.” (1)
Scrive E. Borgna nel testo L’arcipelago delle emozioni: “Non si inizia nemmeno un gesto terapeutico significativo, nessuna cura può cioè realizzarsi, se prima non si compie quel gesto preliminare che si esprime nell’entrare in relazione con l’altro sulla linea di una emozionalità condivisa, di una immedesimazione, che prescinda da ogni rigida articolazione tecnica. Non c’è cura se non si sa cogliere cosa ci sia in un volto, in uno sguardo, in una semplice stretta di mano, e in fondo se non si sia capaci di sentire immediatamente il destino dell’altro come il nostro proprio destino.
L’incontro con l’altro avviene non solo mediante il linguaggio delle parole, ma anche mediante il linguaggio del corpo, quello dei gesti e quello del silenzio. Nel momento in cui incontriamo una persona, non possiamo non avvertire immediatamente come, prima di ogni parola, siano il volto e lo sguardo, il modo di salutare e di dare la mano, il linguaggio del corpo insomma, a consentire, o a rendere difficile, una comunicazione e una reciprocità relazionale dotate di una significazione terapeutica.
Noi riusciamo a valorizzare fino in fondo quelle che sono le nostre attitudini, le nostre risorse, solo se entriamo in una relazione significativa con gli altri, in una relazione che consenta a noi di essere di aiuto agli altri, e agli altri di farci crescere emozionalmente.
Le forme di relazione, quella fra chi cura e chi è curato in particolare, ma anche quelle che si realizzano nella vita di ogni giorno, sono significative e terapeutiche alla sola condizione che siano nutrite, prima di ogni altra cosa, di spontaneità e di umiltà, di rispetto e di attenzione”. (2)
Il percorso psicoterapeutico è lento e graduale: è necessario che dagli incontri si costruisca una relazione basata sulla motivazione reciproca delle due parti e soprattutto il cliente deve considerare il suo psicoterapeuta capace di aiutarlo non solo attraverso la sua professionalità ma soprattutto attraverso la sua umanità che comprende la presenza, la comprensione, l’attenzione, il rispetto, l’assenza di giudizio in modo da potersi fidare ed affidarsi.
A proposito di relazione e fiducia nello psicoterapeuta, Jodorowski, nel testo Psicomagia, ha raccontato la sua esperienza come assistente di una guaritrice: “La prima cosa che faceva Pachita era toccare con le mani ciò che curava, per stabilire una relazione sensoriale e infondere fiducia nella gente. Si produceva uno strano fenomeno: dal momento in cui sentivi le sue mani tra le tue, quella vecchia donna ti appariva nella veste della Madre Universale e non potevi più resisterle. Così è capitato anche a me, sebbene in quel momento fossi estremamente recalcitrante nei confronti dei maestri e restio a sottomettermi a chicchessia. Ma dopo il contatto, la mia resistenza si è sciolta come neve al sole. Pachita sapeva che in ogni adulto, perfino in quello più sicuro di sé, dorme un bambino desideroso di amore, e che il contatto fisico è più efficace di qualsiasi parola per stabilire una relazione di fiducia e rendere il soggetto disponibile a ricevere.” (3)
Quindi, per essere efficace la psicoterapia, è indispensabile che ci si ponga in relazione all’altro non solo in possesso di professionalità, competenza, tecniche e teorie ma soprattutto con dedizione, interesse, desiderio.
Anna Rita Ravenna, direttrice della sede di Roma dell’Istituo Gestalt Firenze, nella rivista IN-FORMAZIONE, ha evidenziato come può avvenire un sano contatto tra il terapeuta e la persona che a lui si rivolge: “Occorre che il terapeuta abbia sviluppato, insieme ad uno stile personale, il piacere della sua professione, il desiderio di restare dentro l’esperienza propria e dell’altro come in un’avventura in cui non solo non è lecito mettere in dubbio il valore della diversità del sentire dell’altro, ma è proprio questa diversità che attrae in una continua spirale di ‘sentire, immaginare, desiderare, attuare, sentire’, in contatto con il continuo espandersi delle emozioni sino all’acme e potendo così iniziare l’altro al mistero del ciclo del contatto”.

(1)   J. Zinker, Processi creativi in psicoterapia della Gestalt, FrancoAngeli, Milano, 2001, pp. 119-124
(2)   E. Borgna, L’arcipelago delle emozioni, Feltrinelli, Milano, 2001, pp. 189-190.
(3)   A. Jodorowsky, Psicomagia, Feltrinelli, Milano, 1997, p. 98.
(4)   A. Ravenna, DIVENTARE PSICOTERAPEUTI: FORMAZIONE TEORICO-PRATICA O PERCORSO DI INIZIAZIONE?”, Informazione, Roma, 2003, vol. 1, p. 96.


Matteo Simone
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