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lunedì 12 ottobre 2015

Gestione delle tensioni emotive

Per essere chiamato "traumatico" l'evento deve produrre nell’individuo un'esperienza vissuta come "critica", eccedente cioè l'ambito delle esperienze normalmente da lui prevedibili e gestibili.
Per il DSM IV, 1994, il trauma è “Un evento vissuto al di fuori della norma, estremo, violento, lesivo, che minaccia o ferisce l’integrità fisica e psichica di un singolo o di un gruppo di persone; in genere richiede uno sforzo inabituale per essere superato”.
Si può considerare il trauma da due diversi punti di vista: se si considera l’aspetto oggettivo, si valuta prevalentemente la drammaticità intrinseca all’evento.
Esistono eventi come l’abuso o la tortura, per esempio, che sono esperienze dolorose e insostenibili per chiunque le subisce, e che si connotano come esperienze oggettivamente traumatiche.
Se si considera la dimensione soggettiva l’attenzione si sposta dall’evento al soggetto dell’evento.
In questo caso è decisivo il modo individuale di elaborare l’evento traumatico.
Non ci sono due persone che provino o manifestino il trauma esattamente allo stesso modo. Quel che risulta nocivo per una persona può essere stimolante per un’altra.
Raramente l'attraversare tali esperienze, pur se penose e difficili, determina lo sviluppo di una vera e propria sindrome clinica, o il (PTSD). Perché un evento estremo, ancorché molto doloroso, si traduca in una sindrome, è necessario il concorso di ulteriori fattori personali ed esperienziali nella storia pregressa dell'individuo (quali fenomeni di abuso e trascuratezza nell'infanzia, problematiche psicologiche pregresse, etc.).
I sintomi dello stress si possono annullare rimuovendo le cause dello stress ed alleviare. Il trauma, al contrario, è una sostanziale frattura. Ha a che fare con la perdita di contatto con noi stessi, la nostra famiglia e il mondo intorno a noi. Questa perdita è spesso difficile da riconoscere, poiché ha un andamento lento, di lungo periodo.
Dopo un'esperienza traumatica, una persona può rivivere il trauma mentalmente e fisicamente, perciò evita il ricordo del trauma, chiamato anche trigger (termine inglese che significa appunto "grilletto", perché scatena il ricordo), in quanto questo può essere insopportabile e persino doloroso.
Le persone traumatizzate possono cercare sollievo nelle sostanze psicotrope, tra cui l'alcool, per cercare di sfuggire ai sentimenti legati al trauma.
Una prima descrizione dettagliata del PTSD era stata fatta nel 1861 sui reduci della guerra civile americana i cui dolori toracici e palpitazioni venivano considerati come sintomi di un disturbo cardiaco funzionale, definito come il “cuore del soldato”.
Il termine shock da granata o da esplosione (shell shock) venne usato per la prima volta in un articolo sul Lancet nel 1915 dallo psicologo medico Charles Myers, che combatté nella British Expeditionary Force in Francia nella Prima Guerra Mondiale, per indicare i disturbi psicologici che causarono il rimpatrio di molti militari fin dal dicembre 1914.
All’inizio la comunità scientifica considerò lo shock da granata dal punto di vista “organico”, cioè come espressione di una lesione neurologica, conseguente all’urto di potenti agenti esterni.
Ben presto, però, si dovette fare i conti con il numero crescente di soldati che, essendo stati vicini o avendo assistito a un’esplosione, senza aver subito alcuna ferita al capo, presentavano comunque una serie di sintomi di difficile interpretazione: amnesia, scarsa concentrazione, mal di testa, ronzii, vertigini e tremore, che non guarivano con le cure ospedaliere. 
Nei giorni 28 e 29 settembre 1918, presso l’Aula dell’Accademia Ungherese, si svolse il V Congresso Internazionale di Psicoanalisi.
ll tema dominante del Congresso di Budapest è quello delle patologie mentali da trauma bellico.
La prima relazione è di Ferenczi: «La guerra ha provocato malattie nervose in misura massiccia … che dovevano essere comprese e curate, e i neurologi sono stati costretti a riconoscere che avevano tralasciato qualcosa. Questo qualcosa era (…) la psiche» (Ferenczi, 1919, p. 12)
Durante e dopo la Guerra del Vietnam (1965-1973) molti soldati presentarono gravi disturbi psicologici a seguito dell’esposizione a traumi bellici. In considerazione del fatto che nell’allora vigente DSM-II (1968) non era contenuta una diagnosi corrispondente allo stress da battaglia, per gli psichiatri americani diventò urgente e necessario trovare un termine, che indicasse gli effetti di quel tipo di stress sulla psiche. Il termine “Sindrome post-Vietnam”, proposto in mancanza di un termine migliore, fu sostituito da quello più comprensivo di “Disturbo da stress da catastrofe”.
La task force dell’APA (American Psychiatric Association) per il DSM-III (1980), riconoscendo che il “Disturbo da stress da catastrofe” poteva originare anche da traumi non bellici, suggerì la locuzione di “Disturbo da stress post-traumatico” (PTSD).
Furono i disturbi psichici osservati nei combattenti e nei reduci del Vietnam a determinare la creazione del PTSD nel DSM-III, cui corrisposero i seguenti criteri diagnostici:
´    A) Essere stati esposti ad un evento traumatico
´    B) Rivivere in modo persistente l’evento traumatico (ricordi, sogni)
´    C) Reagire a livello fisiologico ai fattori scatenanti di cui sopra,
´    D) Evitare in modo persistente gli stimoli associati all’evento traumatico
´    E) Presentare un aumento dell’arousal (eccitazione, reattività, allarme)
´    F) Durata del disturbo superiore a un mese
´    G) Sperimentare una significativa riduzione del funzionamento a livello sociale, occupazionale o in altre aree della vita. 
Il DSM-IV prevede, più restrittivamente, che “la persona abbia vissuto, assistito o si sia confrontata con un evento o con eventi che hanno implicato morte, o gravi lesioni, o una minaccia all’integrità fisica propria o di altri” e che “la risposta della persona comprenda paura intensa, sentimenti di impotenza o di orrore”.
Solo una parte dei soggetti esposti a traumi, anche di notevole gravità, sviluppa il PTSD. Una crescente mole di dati sottolinea, inoltre, l’importanza di fattori di rischio quali predisposizione genetica, familiarità psichiatrica, età all’epoca dell’esposizione allo stressor, tratti di personalità, pregressi disturbi psichiatrici, esposizione a precedenti eventi stressanti, caratteristiche del trauma.
Nel DSM-5 (maggio 2013) il PTSD entra a far parte di una nuova categoria diagnostica, denominata “Disturbi correlati a traumi e agenti stressanti”, nei quali l’esordio è preceduto dall’esposizione a un evento ambientale traumatico o, comunque, avverso.
I soggetti affetti da DPTS possono presentare abuso di alcool e di altre droghe come tentativo di automedicazione per mitigare i sintomi e dimenticare il trauma, ed elevato rischio di comportamenti suicidari. Taluni possono manifestare sentimenti di colpa per essere sopravvissuti ad eventi catastrofici in cui altre persone, soprattutto parenti o amici, hanno perso la vita.
Un altro sintomo molto diffuso è il senso di colpa, per essere sopravvissuti o non aver potuto salvare altri individui. Dal punto di vista più prettamente fisico, alcuni sintomi sono dolori al torace, capogiri, problemi gastrointestinali, emicranie, indebolimento del sistema immunitario.
Quando il soggetto (soldato o civile) affetto da PTSD non trova riconoscimento e accoglimento del danno subito, possono essere messi in atto alcuni comportamenti per così dire di “autocura”, che hanno lo scopo di aumentare la tolleranza sia allo stress subito, sia agli stressor successivi.
Tra questi comportamenti il più importante e pericoloso a livello sia clinico che sociale é quello dell’assunzione di droghe e alcoolici.
Terapie e trattamenti specifici per il DPTS
La maggior parte degli studi sottolineano l’importanza dell’utilizzo di terapie integrate, ovvero dell’abbinamento di terapie psicofarmacologiche e di psicoterapia.
In particolare, una recente review del British Medical Journal, riassume i trattamenti psicoterapeutici utilizzabili per il DPTS in tre principali gruppi: i trattamenti di stampo cognitivo-comportamentale o puramente cognitivo, l’EMDR, la terapia psicofarmacologica.
L’Eye movement Desensitization and Reprocessing (EMDR) è il trattamento più efficace per disturbo di stress acuto e PTSD:
-approccio psicoterapeutico integrato e trasversale;
- focalizzazione sul ricordo dell’esperienza traumatica;
- il paradigma dell’Elaborazione Adattiva dell’Informazione;
- la stimolazione bilaterale oculare, uditiva, tattile;
- a method evidence-based for the treatment  of the PTSD.
Si tratta di una metodologia che utilizza i movimenti oculari o altre forme di stimolazione ritmica destro- sinistra per trattare disturbi legati ad esperienze passate o a disagi presenti dei soggetti.
LO PSICOLOGO NELL’EMERGENZA si documenta; è presente; incontra l’altro, diverso da lui; è disponibile all’ascolto empatico; si adatta al contesto e al setting; utilizza tecniche di mediazione, negoziazione e gestione dei conflitti; promuove il lavoro di rete.
In una emergenza, lo psicologo deve valutare il contesto dove andrà ad operare e sapere: cosa trova; chi trova; con chi opera; di cosa ha bisogno; quali problemi potrebbe avere.
In una maxiemergenza (disastri, calamità, etc.), oltre all'intervento di crisi nell'immediatezza dell'emergenza, lo psicologo dell'emergenza deve anche contribuire al collegamento tra l'assistenza diretta nelle tendopoli e la liason con i servizi sanitari; all'assistenza nelle interazioni e gestione dei conflitti all'interno della comunità; alle attività di supporto nella ripresa dei servizi educativi (affiancamento degli insegnanti nella ripresa dell'attività scolastica, consulenze psicoeducative, etc.); al sostegno ai processi di empowerment psicosociale e comunitario; al supporto psicologico, man mano che famiglie, gruppi e comunità ripristinano un proprio "senso del futuro", e riprendono gradualmente a svolgere una progettazione autonoma delle proprie attività, ricostruendosi una prospettiva esistenziale in un contesto ambientale e materiale spesso profondamente mutato


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