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domenica 13 maggio 2012

La nascita degli Enneatipi


Cappella sistina      Tutti noi, in un particolare momento della nostra vita, o per tutta la vita intera, aspiriamo a trovare noi stessi e questa ricerca ci riempie di ansia: vorremmo pervenire a quella consapevolezza di sé che permette alla personalità di realizzarsi completamente e di vivere, allora, realmente, quelle ore, quei giorni, quegli anni che vengono di solito sciupati nella banalità quotidiana d’una esistenza “d’ordinaria amminisatrazione”. Come moderni Siddharta ci accostiamo a nuovi modi di pensare, ci tuffiamo nelle nostre passioni, fuggiamo dai dolori o siamo ciechi ad essi e a noi stessi, ma tutto con il fine ultimo di vivere una vita felice e serena.
     Affronterò in questa sede un approfondimento di questa consapevolezza attingendo a piene mani dalla ricerca psicologica sulla personalità degli individui, uno dei tasselli, a mio avviso, utili per poter capire meglio chi siamo e quali potenzialità si nascondono in noi.
Intendo sottolineare il carattere puramente descrittivo del presente lavoro in quanto la vastità dell’argomento trattato non permette di essere esaustivo.



La personalità
    Che cos’è la personalità? La sua definizione da manuale la descrive come l’insieme di caratteristiche psichiche e modalità di comportamento che, nella loro integrazione, costituiscono il nucleo irriducibile di un individuo che rimane tale nella molteplicità e diversità delle situazioni ambientali in cui si esprime e si trova ad operare.
     Chiunque si sia avvicinato allo studio della psiche, in tutte le sue forme, non ha potuto fare a meno di chiedersi cosa sia effettivamente la personalità, come essa si forma e si sviluppa nel tempo e come sia possibile renderla oggetto di studio scientifico, quantitativo e qualitativo. La storia dello studio della personalità è davvero piena di intuizioni e contro-intuizioni: essa è stata sezionata e analizzata da miriadi di punti di vista diversi ed è ancora oggi oggetto di controversie tra i diversi esperti del settore.
Nella storia della psicologia, il termine personalità è stato preceduto dal termine temperamento al quale poi si è sostituito il termine tipologia e carattere. In questa successione è leggibile un graduale trapasso da una concezione “fisiologica” a una sempre più “psicologica”, dove l’individuo è considerato in termini più globali e complessi di quanto non sia la sua semplice dipendenza dai fattori somatico-funzionali.
     Cercherò adesso di far comprendere in maniera globale cosa si intende per personalità e quali differenze ci sono nelle diverse terminologie utilizzate per racchiuderne il concetto.


Il  temperamento e le tipologie di carattere somatico - costituzionale
     I primi a interessarsi a questo studio dell’uomo furono Ippocrate e successivamente Galeno, che, parlando di temperamento facevano dipendere l’indole di un individuo dalla prevalenza di un “umore” rispetto ad un altro. Balza subito agli occhi che questo tipo di approccio considerava i tratti emotivi di personalità in stretta correlazione da un lato con i costituenti fisiologici di natura soprattutto endocrina e dall’altro lato con la configurazione tipologico-costituzionale[1].
1.            Galeno distinse le diverse personalità in: sanguigni, flemmatici, collerici e melanconici, a seconda del prevalere nel sangue del flegma, della bile gialla e della bile nera; questa distinzione ha percorso i secoli lasciando una sua traccia anche nel linguaggio popolare.

2.            Kretschmer stabilì una correlazione fra indici morfologici del corpo umano (fenotipo) e determinate caratteristiche della personalità che valgono sia per individui normali, sia per psicotici con differenze solo quantitative. I tipi sono quattro di cui tre fondamentali e uno accessorio: il tipo picnico caratterizzato sul piano somatico da rotondità di contorni, ampiezza della cavità del corpo, abbondanti depositi di grasso, e sul piano psicologico da una predisposizione ciclotimica con fasi maniacali e depressive; il tipo leptosomico o astenico caratterizzato sul piano somatico dalla predominanza delle misure verticali, e sul piano psicologico da una disposizione schizotimia; il tipo atletico caratterizzato sul piano somatico da una disposizione viscosa con lentezza di pensiero, perseverazione e irritabilità; il tipo displastico, predisposto all’epilessia e con molte varietà dismorfiche.

3.            Scheldon introduce una tipologia costruita a partire da un sistema morfologico a tre dimensioni che corrispondono ad altrettanti stadi evolutivi dei tessuti derivanti dai tre foglietti embrionali: ectoderma, mesoderma e endoderma. All’ectomorfismo corrisponde il tipo cerebrotonico dove prevale la razionalità con tratti di ipersensibilità, tendenza alla solitudine e alla vita interiore; al mesomorfismo corrisponde il tipo somatotonico con tratti di dinamismo, facilità nei rapporti sociali e tendenza all’esercizio fisico; all’endomorfismo corrisponde il tipo viscerotonico dove prevale l’affettività con tratti di passività, socievolezza e tendenza alla vita sedentaria.
   
4.            Pende descrisse una varietà di tipi psicologici a partire dal difetto o dall’eccesso di funzionamento delle ghiandole endocrine, con conseguenti effetti sulla costituzione fisica e sulla disposizione psicologica. Tali sono il tipo ipertiroideo contrapposto al tipo ipotiroideo distinto per l’eccesso o il difetto della secrezione della tiroide; il tipo iperpituitarico e ipopituitarico differenziati dallo sviluppo eccessivo o insufficiente dell’ipofisi; con lo stesso criterio distingue l’ipertimico dall’ipotimico; l’ipersurrenalico dall’iposurrenalico e così di seguito a partire da tutti i centri di secrezione ormonale.


Jung, tipologie psicologiche e il criterio fenomenologico-intuitivo delle scienze dello spirito
     Lo studioso noto a tutti come Jung cercò invece di avvicinarsi a questo concetto correlandolo con quello di atteggiamento. Egli scrive: “avere un atteggiamento significa: essere pronto per una determinata cosa, anche se questa determinata cosa è inconscia, giacché avere un atteggiamento equivale ad avere una direzione aprioristica verso una cosa determinata, sia essa aprioristica o no”. Dopo aver introdotto il concetto di atteggiamento, Jung continua differenziando l’atteggiamento estroverso e l’atteggiamento introverso: “Il primo si orienta in base ai fatti esterni così come sono dati, l’altro si riserva un’opinione che si interpone tra lui e la realtà obiettiva”. L’estroverso si orienta in base ai dati oggettivi, mentre l’introverso in base alla risonanza soggettiva che gli stessi dati producono. Questi due tipi di atteggiamenti si combinano con le quattro funzioni previste da Jung – pensiero, sentimento, sensazione e intuizione – generando otto tipi psicologici. Il pensiero e il sentimento sono detti razionali perché precedono rispettivamente per “valutazioni” di ordine mentale e affettivo, mentre la sensazione e l’intuizione procedono per “percezioni” che si riferiscono rispettivamente a ciò che è immediatamente presente e ciò che l’immediatamente presente lascia presagire.
     Esiste quindi una sostanziale differenza tra questo criterio di valutazione della personalità e quello somatico-funzionale. La tipologia fisiologica mira anzitutto alla definizione di contrassegni fisici esteriori che si estendono fino ai condizionamenti psicologici e grazie ai quali è possibile classificare gli individui. La tipologia psicologica procede fondamentalmente nello stesso modo, ma il suo punto di partenza si trova non fuori dall’individuo, ma dentro. Per questo motivo, anche i criteri di indagine risultano diversi: la tipologia fisiologica può applicare una metodologia propria delle scienze naturali; l’assenza di visibilità e misurabilità dei processi psichici impone, invece, una metodologia che sia propria delle scienze dello spirito, cioè a una metodologia di tipo analitico.
     Seguendo lo stesso criterio utilizzato da Jung, possiamo rintracciare le seguenti distinzioni della personalità:
  1. Von Schiller distingue, all’interno del rapporto poetico, l’atteggiamento spontaneo dove il poeta segue, con semplicità, natura e sensazione, limitandosi alla mera imitazione della realtà; e l’atteggiamento sentimentale dove il poeta riflette sull’impressione che gli oggetti fanno di lui, e solo su questa riflessione è fondata la commozione nella quale egli stesso è trasferito e trasferisce noi. Balza subito agli occhi la sovrapposizione tra questi due atteggiamenti e il concetto di estroverso e introverso di Jung.

  1. F. Nietzsche introduce la distinzione tra apollineo e dionisiaco: attraverso questa dicotomia si sottolinea il contrasto tra l’elemento armonico formale e luminoso rappresentato da Apollo, e quello oscuro, estatico e creativo rappresentato da Dionisio. Egli scrive: “Dal substrato dionisiaco del mondo può passare nella coscienza dell’individuo solo esattamente quello che può essere poi di nuovo superato dalla forza di trasfigurazione apollinea, sicché questi due istinti artistici sono costretti a sviluppare le loro forze in stretta proporzione reciproca, secondo la legge dell’eterna giustizia. Dove le forze dionisiache si levano così impetuosamente come noi possiamo sperimentare, là deve essere disceso fino a noi, avvolto in una nube, Apollo”.

  1.  W. Dilthey classifica gli individui in tre tipi psicologici a cui riconduce altrettante visioni del mondo: il tipo naturalistico-materialista, il tipo idealistico-oggettivo, il tipo idealistico-libertario.


Il carattere
    Come abbiamo sopra accennato, il termine temperamento fu successivamente sostituito dal termine carattere con il quale si indicava una configurazione relativamente permanente di un individuo a cui ricondurre gli aspetti abituali e tipici del suo comportamento che appaiono tra loro integrati sia nel senso intrapsichico che in quello interpersonale. Il termine carattere, che dal greco letteralmente significa incisione, acquistò una sua autonomia quando all’ipotesi della dipendenza fisiologica del comportamento fu accostata una strumentazione più “psicologica”, grazie agli studi fenomenologico-intuitivi, dove l’impianto categoriale è mediato dalle scienze dello spirito, e agli studi psicoanalitici, dove il carattere è mediato dagli studi psicodinamici.

  1. L’impostazione fenomenologico-intuitivo.
Rifacendosi alla stessa impostazione Fenomenologia-Intuitiva, ma utilizzando il termine “carattere” anziché tipologia, ritroviamo la distinzione operata da Klages tra caratteri dominati dagli istinti, quindi dall’attrazione esercitata dalle immagini del mondo sul soggetto; e caratteri dominati dagli interessi che presuppongono invece una coscienza e un Io sviluppati.
     Remplein distingue invece i caratteri forti, con un senso di sé stabile e con notevole perseveranza delle persuasioni; e il carattere debole, con scarso senso di sé e labilità di convinzioni.
     Ancora troviamo Jasper secondo cui il carattere è l’aspetto “comprensibile” di quel nucleo “incomprensibile” in cui è racchiusa l’essenza dell’individuo. Egli scrive che “Il carattere che possiamo avere compreso non è ciò che l’uomo è veramente, ma una manifestazione empirica sempre aperta a nuove possibilità. Ciò che l’uomo stesso è, è la sua esistenza di fronte alla trascendenza, ed entrambe queste cose non sono oggetto di conoscenza indagatrice. L’esistenza non è afferrabile come carattere, ma appare attraverso i caratteri che, in quanto tali, non sono definiti”.
K. Jaspers, poi, rifacendosi alla classificazione propria del metodo delle scienze dello spirito, che tenta di stabilire una connessione tra la creazione culturale e la modalità psicologica con cui l’individuo vede il mondo, divide i soggetti in quelli con atteggiamento oggettivo, autoriflessivo ed entusiastico, a cui corrisponde un’immagine del mondo spazio-sensoriale, psichico culturale e metafisico.
     Infine, ricordiamo Binswanger che opera una distinzione tra i caratteri sulla base dell’arresto della progettualità orientata verso il futuro del soggetto, per cui si avrà il melanconico tutto raccolto nel passato e il maniaco incapace di sporgere dal presente assunto come tempo assoluto.

  1. L’impostazione psicoanalitica classica.
Inizialmente Freud, e successivamente Abraham tentarono una correlazione tra i tratti del carattere e certe zone del corpo a loro volta correlate a certe componenti sessuali: fattori costituzionali e psicoreattivi favorirebbero l’emergenza di punti di fissazione che andrebbero poi ad influenzare il carattere.
Il carattere orale veniva così contraddistinto da una fissazione della libido nella fase orale dove l’esperienza gratificante o frustrante nel rapporto con il seno materno risulterà decisiva per la modalità pessimistica o ottimistica nell’affrontare il mondo con fiducia o apprensione, con tolleranza o intolleranza alle frustrazioni.
Il carattere anale connesso al controllo degli sfinteri, determina tratti che Freud definisce “ordinati, parsimoniosi e ostinati”. Abraham collega queste caratteristiche alla fissazione sul momento ritentivo delle feci, perché una fissazione sul momento espulsivo genera caratteri generosi e ambiziosi.
Il carattere fallico presenta componenti narcisistiche con una sessualità orientata alla dimostrazione di potenza, quindi con tratti di temerarietà, grande risolutezza e sicurezza di sé.
Il carattere genitale è descritto da Freud come un modello ipotetico a cui si dovrebbe giungere dopo essersi liberati da ogni dipendenza infantile e aver conseguito quel livello in grado di comporre il proprio soddisfacimento con il soddisfacimento altrui, per un equilibrio raggiunto tra autonomia ed eteronomia.
     In seguito Freud elaborò un’ulteriore distinzione tra sintomi nevrotici[2] e tratti del carattere: i primi scaturiscono da un insuccesso della rimozione, i secondi dal suo successo e quindi dai meccanismi di difesa. I casi limite di questa alternativa sono rappresentati dal carattere isterico che presenta labilità emotiva, comportamento imprevedibile, forte suggestionabilità, tendenza a scambiare la fantasia con la realtà, e dal carattere ossessivo dove i meccanismi di difesa, che hanno svolto ottimamente il proprio lavoro, determinano un individuo controllato, guardingo, poco spontaneo e con un tratto costante di rigidità.
In questo contesto si inserisce la nozione di nevrosi del carattere dove il conflitto psichico non si traduce in sintomi nettamente isolabili, ma in un’organizzazione patologica dell’intera personalità dove è il carattere stesso a risultare una formazione difensiva volta a proteggere l’individuo non solo contro la minaccia pulsionale, ma anche contro la comparsa di sintomi. Rispetto al sintomo nevrotico, la nevrosi del carattere si distingue per l’integrazione del meccanismo di difesa nell’Io.
     Ancora in seguito Freud precisa i rapporti fra Io e carattere in base ai fenomeni di identificazione con le figure parentali e interiorizzazione dei loro divieti. In questo ambito diventano decisivi per la formazione del carattere i processi di introiezione con conseguente formazione di un Io ideale e di un Super-Io, e di identificazione con lo sviluppo dei vari ruoli intrafamiliari e sociali.

  1. Le teorie relazionali.
Gli sviluppi della psicoanalisi hanno spostato il punto di partenza della costruzione del carattere dall’individuo alla relazione.
     La formazione del carattere su base introiettiva con percezione da parte del bambino delle componenti buone o cattive dell’oggetto è stata analizzata dalla Klein, che parte dalla relazione madre-bambino per tratteggiare la posizione schizoparanoide e la posizione depressiva che, pur evidenziandosi nei primi mesi di vita, possono rintracciarsi in età adulta come posizioni caratteriali.
     Karen Horney invece, pone l’accento sui conflitti tra l’individuo e l’ambiente, tra il bisogno di una dipendenza passiva e la difesa da una società ostile. Il suo concetto fondamentale è quello di “ansia di base” prodotta da tutto ciò che disturba la sicurezza del fanciullo nei rapporti con i suoi genitori, a cui il bambino reagisce con atteggiamenti diversi, come l’ostilità, la sottomissione o l’evasione, che possono diventare stabili.


Le diverse teorie di personalità
     Dagli anni Trenta in poi, al termine carattere si preferisce il termine personalità di volta in volta definita in base ai criteri adottati, e perciò descrivibile in modo oggettivo. Il limite che separa il carattere dalla personalità dipende dalla convenzione scientifica e non riposa su un criterio oggettivo, come risulta anche dal fatto che grandi aree psicologiche e psicopatologiche usano i termini “carattere”, “personalità” e, talvolta, “tipo psicologico[3]”, come intercambiabili.

  1. Le teorie fattoriali.
Chi ha apportato un contributo diverso alla ricerca dell’essenza della personalità sono stati i teorici dell’analisi fattoriale tra cui ricordiamo Cattell ed Eysenck.
Cattell stabilisce che la personalità è ciò che consente di predire quel che un individuo farà in una situazione definita a partire dai suoi tratti che sono le sue strutture mentali e che hanno anche una base biologica. Accanto ai tratti di superficie, che sono un gruppo di variabili correlate di scarso interesse perché instabili e variabili da individuo ad individuo, esistono tratti di origine che si ottengono con procedimenti più complessi, ma che sono più utili per la predizione perché più stabili. Tali sono i tratti comuni, come i tratti di capacità, di temperamento e di dinamismo, e i tratti unici, come quelli patologici.
Eysenck, partendo invece dal presupposto che è necessario impostare lo studio della personalità in termini di dimensioni o unità di comportamento determinabili e misurabili, definisce la personalità come “la somma totale degli schemi di condotta dell’organismo attuali e potenziali, ereditari e acquisiti. Essa si origina e si sviluppa attraverso l’interazione funzionale dei quattro settori principali nei quali sono organizzati questi schemi di condotta: il settore cognitivo (intelligenza), donativo (carattere), affettivo (temperamento), somatico (costitutizione)”.

  1. Le teorie olistica.
Sono teorie che sottolineano l’aspetto unitario della personalità nel suo momento biologico e psicologico. Il massimo esponente di questa teoria, Goldstein, affermava che “la legge del tutto governa il funzionamento delle parti e pertanto è più utile studiare clinicamente e integralmente una persona che non esaminare in molti soggetti una funzione psichica isolata”.
Un altro esponente di questo filone, Maslow, considera la personalità come un insieme di bisogni di base, distinti in bisogni fisiologici come la fame e la sete, bisogni di sicurezza e di appartenenza, bisogni d’amore, cognitive ed estetici.

  1. Le teorie oggettivistiche.
Sono teorie promosse dall’esigenza di fondare le proprie teorizzazioni a partire da osservazioni empiriche controllabili sperimentalmente. Rientrano in questa corrente la scuola riflessologica russa di Ivan Pavlov e il comportamentismo americano di James Watson, Miller e Dollard.

  1. Altre teorie.
Ancora accenniamo la teoria del Sé  di Rogers; la teoria marxista della personalità di Sevè; la teoria dei costrutti di personalità di Kelly; la teoria biosociale di Murphy; la personologia di Murray; la teoria del campo di Lewin;la teoria funzionalista di Allport; la teoria pragmatico relazionale di Watzlawick e Bateson; la teoria dell’apprendimento sociale di Rotter; le teorie psicosociali di Reich e Sullivan; e tante altre ancora di minore portata.


Intermezzo
     Come è possibile constatare, la letteratura in merito è così ampia che anziché dare un contributo per la scoperta e la consapevolezza di sé, più che altro si ha un senso di smarrimento e confusione che alimenta ancora di più i dubbi e non ci permette di avvicinarci alla verità.
Come in molte altre questioni psicologiche, a causa del particolarissimo oggetto di studio, non si può arrivare all’unanimità del responso, alla veridicità assoluta; anzi tutto e il contrario di tutto sembrano andare di pari passo e con questo non voglio dire che c’è qualche studioso ciarlatano e qualcun altro che ha ragione, né che ci siano stati degli imbroglioni e dei detentori della ragione. Tutti gli uomini che hanno contribuito alla nascita di queste teorie nel profondo del cuore le accettavano e ci credevano realmente, si sono battute per esse e hanno fatto di tutto per convincere altri proseliti alla loro causa.
Per noi fruitori passivi, la scelta di quale sia la migliore dipende solamente da quale teoria una persona ha conosciuto o approfondito in un determinato periodo della propria esistenza, quale gli si avvicina di più in quanto a modo di pensare e quanto uno è riuscito a riscontrare nella realtà delle cose e per questo motivo si è convertito.
     E qui giungiamo al nocciolo del trattato. Nella mia breve formazione ho avuto modo di conoscere e approfondire alcune di quelle teorie esposte sopra, e una in particolare mi è rimasta più a cuore in quanto è riuscita a darmi una chiave per poter accedere ad un percorso di conoscenza individuale in maniera più consapevole. Mi riferisco alla teoria dell’ENNEAGRAMMA di Claudio Naranjo, che qui mi accingerò ad esporre in maniera generale, soffermandomi soprattutto sull’eziologia che provoca la formazione dei nove tipi di personalità che compongono la struttura di questa teoria.
Questo perché è mia opinione personale che per conoscere davvero sé stessi dobbiamo conoscere tre punti fondamentali: “Da dove veniamo”; “Chi siamo nel qui ed ora”; “Quali sono tutte le nostre potenzialità”.
L’enneagramma: la personalità e la nevrosi

Se la coscienza non si fosse mai scissa dall’incosciente
 – evento simbolizzato dalla caduta degli angeli,
e che eternamente si ripete –
 questo problema non sarebbe mai nato,
come non sarebbe mai nata
la questione dell’adattamento alle condizioni dell’ambiente,
Carl Gustav Jung - 1927

     Rifacendosi alla teoria dello sviluppo del carattere proposto da Karen Horney, Naranjo delinea una sua teoria della nevrosi e del carattere.
La “teoria della nevrosi” proposta dall’autore cileno è basata su un presupposto: il degrado della coscienza.
Questa degrado è tale che l’individuo che ne è colpito ignora che le cose stanno diversamente, cioè ignora che è avvenuta una perdita, una limitazione, che è sopraggiunta un’impossibilità di sviluppare tutte le proprie potenzialità. Il degrado della coscienza è tale che la consapevolezza diventa cieca alla propria stessa cecità, e talmente limitata da credersi libera.
Questo concetto nelle religioni passa come “la caduta dall’Eden”: ma la “caduta” non è soltanto questo; è anche, al tempo stesso, un degrado della vita emotiva, un degrado della qualità delle motivazioni che ci spingono ad agire.
     L’essere umano nel pieno delle sue funzioni è motivato dall’abbondanza, mentre in condizioni non ottimali le motivazioni sono all’insegna della “carenza”: una qualità definibile come il desiderio di colmare un vuoto, piuttosto che il fluire di una soddisfazione di fondo.
Gli psicoanalisti moderni, quali Fairbairn e Winnicott, concordano nell’affermare che l’origine della nevrosi va cercata in una funzione materna imperfetta e, in termini più generali in certi problemi della funzione genitoriale.
Oggi si dà più importanza alla mancanza d’amore che non all’idea di una frustrazione istintuale, o per lo meno si dà più importanza alla frustrazione del bisogno di contatto e rapporto che non alle manifestazioni della sessualità pregenitale e genitale. In ogni caso, Freud ha avuto il grande merito di comprendere che la nevrosi era un fenomeno pressoché universale, e che si trasmette di generazione in generazione con l’espletamento della funzione genitoriale.
L’autore non concorda sul fatto che la funzione materna sia tutto; anche la funzione paterna è importante, ed eventi successivi possono aver influito sul nostro sviluppo futuro, come risulta evidente dalle nevrosi traumatiche di guerra. Anche eventi precoci, come la durata del trauma della nascita, possono avere effetti debilitanti sull’individuo.
     Diciamo che il nostro modo di vivere in questo “basso” mondo dopo la cacciata dall’Eden (cioè la personalità con cui ci identifichiamo e cui implicitamente facciamo riferimento quando diciamo “io”) è un modo di essere che abbiamo adottato per difendere noi stessi e il nostro benessere grazie ad un “adattamento”, in senso lato, che in genere si tinge più di ribellione che di accettazione.
Per reagire alla mancanza di ciò di cui aveva bisogno, il bambino è dovuto ricorrere alla manipolazione, e quindi, da questo punto di vista, possiamo dire che il carattere è un apparato di contro manipolazione.
     Così stando le cose, dunque, la vita non è guidata dall’istinto, ma dal perdurare di una precoce strategia adattiva che lotta contro l’istinto e interferisce con la “saggezza” dell’organismo nel senso più ampio del termine. Il perdurare di questa precoce strategia adattiva può essere compreso alla luce del contesto doloroso in cui essa ha avuto origine, e del particolare tipo di apprendimento che la alimenta: non quello che l’organismo in evoluzione assimila in maniera gratuita, ma un apprendimento sotto coercizione, caratterizzato da una speciale fissità o rigidità del comportamento adottato all’inizio come reazione di emergenza. Diciamo quindi che l’individuo non è più libero di scegliere se applicare o no i risultati del nuovo apprendimento, ma che è andato in “automatico”, avviando una serie di reazioni senza ‘consultare’ la mente nella sua totalità, o senza considerare la situazione in maniera creativa. La fissità di tali risposte obsolete e la perdita della capacità di reagire
in maniera creativa al presente sono tipiche del funzionamento psicopatologico.


L’enneagramma: il carattere
     Alla somma complessiva degli apprendimenti pseudo adattivi ora descritti le tradizioni spirituali danno in genere il nome di “Io” o “personalità” (diverso dall’“essenza”, o “anima”, della persona) ma Naranjo ritiene assai appropriato denominarla anche “carattere”. La parola carattere deriva dal greco e significa scolpire: carattere si riferisce a ciò che rimane costante nella persona, perché le si è
scolpito dentro, e quindi ai condizionamenti comportamentali, emotivi e cognitivi.
Mentre nella psicoanalisi il modello fondamentale della nevrosi è quello di una vita istintuale delimitata dall’attività di un Super-Io interiorizzato dal mondo esterno, Naranjo avanza l’ipotesi che il nostro conflitto di base, e il modo fondamentale di essere in disaccordo con noi stessi, nascano da un’interferenza con l’autoregolazione dell’organismo attraverso il carattere. È all’interno del carattere, come parte di esso, che noi possiamo trovare un Super-Io dotato di valori e di richieste propri, e anche un contro Super-Io (un underdog, come lo chiama Fritz Perls), che è fatto oggetto delle richieste e delle accuse del Super-Io e che implora di essere accettato. È in questo underdog che troviamo il referente fenomenologico dell’Es freudiano, anche se è discutibile definire istintuali le pulsioni che lo animano. Perciò, non è solo l’istinto ad essere oggetto dell’inibizione, come risultato del rifiuto di sé radicato in noi e del desiderio di essere diversi da quelli che siamo: lo sono anche i nostri bisogni nevrotici. Le varie forme di motivazione da carenza, che l’autore chiama “passioni”, ci sono interdette sia nel loro aspetto di desiderio sia in quello di odio.
Si può descrivere il carattere come un insieme di tratti, e cercare di capire in che modo ciascuno di essi abbia avuto origine, se come identificazione con una caratteristica di uno dei genitori, o al contrario, come desiderio di non assomigliargli sotto quell’aspetto particolare. (Molti degli aspetti che ci caratterizzano corrispondono all’identificazione con uno dei genitori e al tempo stesso sono un atto di ribellione contro la caratteristica opposta dell’altro).
     Il nucleo fondamentale del carattere così come viene formulato in questa teoria ha una duplice natura: c’è un aspetto motivazionale che interagisce con una tendenza cognitiva, una “passione” associata ad una “fissazione”. Se raffiguriamo la posizione della passione dominante e di uno stile cognitivo all’interno della personalità, i due punti focali di un ellissi, possiamo ampliare quanto abbiamo detto sul carattere come contrapposto alla natura, definendo più in particolare questo processo come un’interferenza della passione con l’istinto, alimentata dall’influenza di una tendenza cognitiva deformante.
     Per Naranjo la teoria del carattere qui proposta riconosce la presenza di tre istinti o mete fondamentali: la sopravvivenza, il piacere e il desiderio di rapporto. Pochi infatti oserebbero mettere in discussione la grande importanza della sessualità, dell’istinto di conservazione e del desiderio di rapporto, insieme alla loro centralità congiunta come mete generali del comportamento. L’interpretazione di Freud sulla vita umana ha messo in evidenza la prima, quella di Marx il secondo e quella dei teorici della relazione oggettuale il terzo, ma non credo che nessuno finora abbia fatto propria una visione che integrasse in maniera esplicita queste tre pulsioni fondamentali.
I tre istinti basici quindi sono:
  1. Conservativo: si specializza a sopravvivere in questo mondo;
  2. Sociale: vuole più spazi;
  3. Sessuale: seduce; carattere forte che tende a gestire la realtà.

L’enneagramma: le passioni
     Abbiamo visto che il guasto emotivo è alimentato da un disturbo cognitivo nascosto (fissazione). Il regno delle passioni rappresenta la sfera delle principali pulsioni motivate dalla carenza. È logico iniziare da qui, visto che dalla tradizione sappiamo che esse sono la prima manifestazione della nostra “caduta”, nella prima infanzia. Mentre è possibile riconoscere il predominio dell’uno o dell’altro atteggiamento nel bambino tra i cinque e i sette anni, solo intorno ai sette anni (uno stadio noto agli psicologi evolutivi, da Gesell a Piaget) si struttura nella psiche un sostegno cognitivo a tali inclinazioni emotive.
Non solo la parola ‘passione’ è appropriata a descrivere le emozioni più basse in quanto strettamente interdipendenti dal dolore (phatos), ma anche per il loro connotato di passività. Si può dire che noi vi siamo soggetti come agenti passivi, anziché come agenti liberi.


L’enneagramma: le fissezioni
    Ogni fissazione costituisce, per così dire, la razionalizzazione della passione corrispondente.
I nomi che definiscono le fissazioni vengono scelti in considerazione dell’identificazione, sostenuta da Ichazo, fra queste e la “caratteristica principale” di ciascuna personalità.

L’enneagramma: gli enneatipi
     La nostra prospettiva si spinge oltre e sostiene che il numero di “tratti fondamentali” non è illimitato, bensì corrisponde al numero delle sindromi di personalità fondamentali. Inoltre esistono due elementi già presenti in ogni struttura caratteriale: uno, il tratto fondamentale vero e proprio, consiste in un modo particolare di deformare la realtà, ossia in un “difetto cognitivo”; l’altro attiene alla motivazione e lo chiameremo “passione dominante”.
     Il carattere si struttura secondo un determinato numero di modalità di base, che si traducono nel relativo predominio dell’uno o dell’altro aspetto della struttura mentale comune a tutti. Possiamo pensare lo “scheletro mentale” di cui tutti siamo dotati come una struttura di cristallo che può rompersi in molti modi, tutti predeterminati; allo stesso modo, fra tutte le principali caratteristiche strutturali, nella personalità di ciascun individuo (come risultato dell’interazione tra fattori innati e fattori ambientali) una sola di queste struttura avrà la preminenza, mentre le altre rimarranno su uno sfondo più o meno remoto. Un’altra analogia possibile è quella di un corpo geometrico che poggia sull’una o sull’altra delle sue facce; tutti abbiamo una stessa personalità con “facce” lati e vertici identici, ma (e qui sta l’analogia) orientati nello spazio in maniera diversa.
     Per ogni carattere esistono tre varianti, a seconda che predomini l’istinto di autoconservazione, la pulsione sessuale o l’istinto sociale.
Esistono, naturalmente, nove possibili passioni dominanti, ciascuna associata a una distorsione cognitiva peculiare, ed esistono anche una, due o tre caratteristiche derivate, come ho detto, dalla sfera istintuale.
Le nove tipologie presentate qui non costituiscono soltanto un miscuglio di stili di personalità; al contrario, sono un insieme organizzato di strutture caratteriali, in quanto fra loro si instaurano rapporti specifici, contrasti, polarità e relazioni di vicinanza. Queste relazioni sono rappresentate da un’antica struttura geometrica detta “enneagramma”. Allo stesso tempo, parlerò di “enneatipi”, un modo sintetico per dire “tipo di personalità secondo l’enneagramma”.

Naranjo


Disposti lungo la figura geometrica dell’enneagramma, ritroviamo i nove caratteri di base:
Tipo Uno: Ira
Tipo Due: Orgoglio
Tipo Tre: Vanità
Tipo Quattro: Invidia
Tipo Cinque: Avarizia
Tipo Sei: Paura
Tipo Sette: Gola
Tipo Otto: Lussuria
Tipo Nove: Pigrizia

     Per quanto i nove tratti proposti siano fondamentali per i rispettivi caratteri e possano essere interpretati da un punto di vista cognitivo, bisogna dire qualcosa di più sulla convinzioni, sugli assunti e sui valori impliciti propri di ciascun carattere.
Tutti gli stili interpersonali in cui le passioni si strutturano mettono in gioco una certa dose di idealizzazione: la convinzione recondita che quello sia il modo giusto di vivere. A volte, nel processo psicoterapeutico, è possibile recuperare il ricordo del momento in cui si è presa la decisione di farsi vendetta e di non amare più, di fare da soli e di non fidarsi mai, e così via. Quando ciò accade, possiamo portare alla luce molte delle congetture che da quel momento abbiamo date per scontate e che ora è possibile mettere in discussione; congetture di un bambino in preda al panico, che vanno rivedute, come Ellis propone con la sua teoria relazionale emotiva.


L’enneagramma: la nascita degli enneatipi
     Cercherò di delineare in questa sede le possibili cause che hanno portato alla strutturazione di un enneatipo anziché un altro. Ritengo che sia fondamentale questo passaggio nella ricerca di sé stessi e nel proprio cambiamento.
Prima di iniziare tuttavia, è opportuno enunciare un concetto nuovo, in quanto utile chiave di lettura di quanto mi accingo ad esporre.
     Con Adler, Sullivan e Fromm, la Horney sostiene che le nevrosi sono espressioni di grossi conflitti culturali e che la famiglia riflette le tensioni della società a cui appartiene.
Diversamente da quella freudiana, la teoria horneyana è più ottimista:  si intuisce una fiducia di base nel potenziale dell’individuo che lotta costruttivamente per la realizzazione del sé (self-realization). “Come una ghianda messa in un terreno consono alle proprie esigenze col tempo diventa una quercia senza che nessuno glielo insegni, così ogni essere umano riesce a sviluppare le sue capacità intrinseche se gliene viene data la possibilità”. (Sviluppare le sue capacità non vuol dire ritenere che l’indole umana sia prevalentemente buona, in quanto ciò presupporrebbe la prescienza di ciò che è bene e di ciò che è male).
Quindi il processo nevrotico si sviluppa se l’individuo in condizioni ambientali sfavorevoli, è costretto a rinunciare progressivamente ai propri potenziali di crescita per ricercare in modo coatto una sicurezza dal mondo esterno.
     Per l’autrice l’ansia è il centro dinamico delle nevrosi ed ha conseguenze determinanti nell’atteggiamento della persona verso sé stessa e verso gli altri. Essa individua nell’infanzia della maggior parte degli adulti nevrotici una mancanza di calore genuino e di affetto, come pure azioni ed atteggiamenti da parte dei genitori che suscitano ostilità e che di conseguenza devono essere rimossi, rinforzando così l’ansia del bambino. Questi infatti non solo è biologicamente incapace di difendere sé stesso dai pericoli, ma dipende da un mondo di adulti che spesso gli si presenta spietato, falso, indifferente, sleale ed offensivo. Se poi viene svalutato in ogni sua iniziativa e respinto in uno stato di dipendenza, è probabile che finirà per percepire ogni suo tentativo di autonomia come un attacco ostile all’ambiente da cui dipende. Il conflitto tra il tentativo di liberarsi da una dipendenza che annienta l’individualità e il timore di perdere la protezione di cui ha bisogno, generano nel bambino quell’ansia di base che guiderà il suo ulteriore orientamento nel mondo. Se la ricerca di sicurezza per alleviare l’ansia diviene preponderante, il nevrotico sarà costretto a rinunciare progressivamente al suo sé reale (real self) per adattarsi alle aspettative esterne.
Nel tentativo di raggiungere una pseudo-unità potrà diventare prevalentemente compiacente, aggressivo o distaccato. Prima o poi, tuttavia, queste modalità di rapporto con gli altri si dimostreranno insoddisfacenti e sempre più rigide e autodistruttive, facendo crescere il senso di frustrazione e di ansia fino alla comparsa di specifiche fobie o di disturbi psicosomatici.
     Dissociandosi da Freud, la Horney non interpreta il sintomo nevrotico come una manifestazione deformata di un impulso istintivo, riportabile a un comportamento inerente la sessualità infantile, ma lo considera invece espressione di tutto il modo di atteggiarsi dell’individuo di fronte alla vita.
Come dimostra il gran numero delle nevrosi, ogni sorta di influenze può con grande facilità deviare le nostre energie costruttive in direzione opposta, in senso non costruttivo o distruttivo. Ma, una volta convinti della possibilità di un autonomo raggiungimento della realizzazione di noi stessi, non ci è più necessaria un’interiore camicia di forza con la quale ridurre all’impotenza la nostra spontaneità, né la sferza di dettami interiori per avvicinarsi alla perfezione.
     Detto ciò, passo a descrivere uno ad uno i nove Enneatipi.


L’enneagramma: tipo Uno
     Venuto alla luce, il futuro Tipo Uno si è trovato subito a fare i conti con un’esperienza precoce di insoddisfazione affettiva, unito ad un ambiente in cui alle richieste eccessive si accompagna uno scarso riconoscimento.
Per questo motivo, fin da subito, il bambino ha sentito il bisogno di impegnarsi sempre più in un’atmosfera di perdurante frustrazione. Il suo tentativo di essere migliore rappresenta la speranza di ottenere più approvazione o più intimità da entrambi i genitori. Ma, crescendo, lo strenuo tentativo assume un’implicazione competitiva, come a dire al padre e alla madre: “Io sarò migliore di voi e mi eleverò ben al di sopra della vostra capacità di valutarmi: ve lo dimostrerò!”: una piega vendicativa, dove il successo non è soltanto una speranza, ma anche una richiesta e una denigrazione rancorosa[4].
     La reazione dell’individuo alla situazione descritta mette in atto non solo un atteggiamento del tipo: “Guarda quanto sono buono: ora mi vorrai bene?”, ma anche una richiesta di riconoscimento o di affetto, facendo appello alla giustizia morale, a una protesta: “Guarda quanto sono buono mi devi rispetto e riconoscimento”. Per guadagnarsi il riconoscimento e il rispetto di cui sente la mancanza (prima di tutto da parte dei genitori e poi degli altri in genere) il bambino diventa il piccolo avvocato di se stesso, e anche un moralista che si specializza nel far fare agli altri ciò che devono, predicando il rispetto delle regole.
L’esercizio ossessivo della virtù, infatti, non soltanto è derivato dalla rabbia attraverso la formazione reattiva, ma è anche espressione della rabbia introvertita, perché significa diventare i giudici crudeli, i gendarmi e i rigidi educatori di se stessi. Inoltre, possiamo considerare un insieme di tratti che vanno dall’ordine e dalla pulizia a una tendenza puritana, come mezzo per attirarsi l’affetto attraverso il merito e come reazione ad una frustrazione emotiva precoce.
L’atteggiamento pretenzioso, invece, va inteso come espressione dell’aggressività: un’affermazione prepotente dei propri desideri, in chiave vendicativa, come reazione ad una frustrazione precoce.
     Il risultato è che la ricerca dell’amore da cui ha preso forma il carattere perfezionista diventa la ricerca del diritto e della rispettabilità, che caratterizza questo stile di personalità duro e distante, e interferisce con la soddisfazione di un bisogno di tenerezza che rimane latente benché rimosso.

L’enneagramma: tipo Due
     Il primo vagito del futuro Tipo Due è accompagnato da una frustrazione amorosa precoce associata ad una mancanza di sostegno nell’esperienza del proprio valore personale che si traduce nella sensazione di essere indegno. Tutto questo provoca nella bambina un grande dolore emotivo che pian piano viene sostituito dalla percezione di essere una piccola principessa. La bambina infatti cerca rassicurazioni in modo speciale dell’amore del padre o della madre chiedendo loro di accudirla in modo particolare, di mostrarsi desiderosi di stare con lei e di sopportare i suoi capricci e i suoi pianti. È come se la bambina avesse detto: “Dimostrami che mi ami veramente!”, e la richiesta di essere oggetto di speciali manifestazioni d’amore fosse soprattutto una reazione alla sensazione di essere rifiutata.
Con questo atteggiamento di negazione della frustrazione e di compensazione della sicurezza di sé il Tipo Due pone le basi per quel suo  atteggiamento eccessivamente romantico che caratterizza i suoi rapporti con gli altri. Inoltre la frustrazione diventa man mano ricerca ossessiva della libertà e intolleranza per le regole e le limitazioni.
     Caratteristici genitori di questo tipo possono essere sia iperprotettivi e iperpossessivi che spinge il bambino ad agognare molto presto l’indipendenza, oppure dei padri Sette che trasmettono, (più alle bambine), la seduttività, l’allegria, l’inclinazione al piacere e la vocazione alla famiglia. Spesso il passaggio dalla frustrazione a un atteggiamento soddisfatto e compiaciuto di sé si osserva tra le donne come uno spostarsi progressivo dall’esperienza di relativo rifiuto da parte della madre a un atteggiamento deduttivo, con lo scopo di diventare la prediletta del padre. Questo passaggio segna lo spostarsi progressivo della ricerca d’amore in ricerca di intimità attraverso l’espressione di sentimenti di tenerezza, carezze e parole. Anche in questo caso, quindi, la ricerca secondaria interferisce con la soddisfazione primaria: non solo perché lo sviluppo dell’“apparato seduttivo” rende la persona incompleta e quindi meno amabile, ma anche perché, per sentirsi amata, essa deve rimanere in contatto con il proprio desiderio d’amore, il quale invece è rimosso e nascosto dietro all’orgoglio, insieme all’immagine di sé svalutata.

L’enneagramma: tipo Tre
     Appena  nato, il futuro Tipo Tre si trova catapultato in un ambiente in cui si ha la sensazione di non poter contare su nessuno che stimolasse la sua autonomia. Non solo. Le prime esperienze del bambino sono state una persistente sensazione di non essere ascoltati o guardati abbastanza: questo ha generato in loro la paura di venire ignorati e per reagire ad essa è nato il desiderio di essere brillanti.
Le cause di questa percezione di invisibilità possono essere svariate. Molti hanno riferito in seguito di aver vissuto in famiglie  dove regnava la malattia, o dove un problema (ad esempio l’alcolismo del padre) catalizzava tutta l’attenzione che i genitori avrebbero dovuto dare al figlio, spingendolo a prendersi cura di sé. Ecco quindi che iniziava via via a svilupparsi il suo essere ipervigile; il suo essere incapace di arrendersi o di dimenticarsi di se stesso; il suo bisogno di controllo di tutto e il suo affrontare le cose fidandosi solo di sé, nella convinzione che gli altri non si prendano cura di lui in maniera adeguata. In questo caso, quindi, l’efficienza non nasce soltanto da un desiderio di attirare su di sé l’amore dei genitori facendo qualcosa di ben fatto; nasce anche dal bisogno di prendersi cura di sé.
     Molto spesso la madre del tipo Tre apparteneva al tipo Quattro, e in questi casi è possibile parlare di una contro identificazione, che spinge il soggetto a far nascere in lui il desiderio di non essere una persona lamentosa e problematica, ma indipendente e che disturba il meno possibile gli altri.
Altra situazione può essere quella in cui il bambino sente di non potersi permettere di avere problemi perché viene investito del ruolo di colui che si prende cura della madre.
Il non venir considerati o riconosciuti abbastanza può essere dovuto la presenza di un padre Cinque.
È possibile però anche che questi bambini si sono trovati con un genitore dello stesso tipo, e per questo motivo venivano continuamente sollecitati a corrispondere alle aspettative e agli ideali del genitore: in questo caso è pensabile che l’importanza attribuita alle apparenze sia dovuta all’identificazione.
Una storia di rigida disciplina invece può aver fatto sviluppare in questo bambino che era pericoloso dire la verità o rivelare sentimenti e desideri, e in più, bisognava sviluppare quanto prima un autocontrollo nell’ottica della sopravvivenza e della manipolazione dell’immagine.
Per questo motivo, se da un lato la passione di mostrarsi può essere interpretata come la conseguenza di un bisogno precoce di attenzione e consenso, dall’altro può essere vista anche come conseguenza della confusione tra l’essere e l’apparire, e la corrispondente confusione tra consenso esterno e valore intrinseco.
     Con queste premesse di partenza inizia a svilupparsi il suo stato emotivo più tipico, che porta alla nascita del suo caratteristico interesse a mettersi in mostra al punto da restituire un’immagine falsa di sé pur di soddisfare il suo bisogno di attenzione: il bisogno di essere visto, ripetutamente frustrato, inizia a trasformarsi nella soddisfazione nella cura dell’aspetto esteriore. Si può affermare che nel corso dell’evoluzione di questo carattere la ricerca d’amore lo abbia spinto a comportarsi bene e che alla fine il desiderio di piacere e di essere riconosciuto, una volta divenuto autonomo, sia andato a  coprire il desiderio d’amore originario.

L’enneagramma: tipo Quattro
     Il futuro Tipo Quattro, come gli altri, fa fin dalla nascita conoscenza con un ambiente che frustra tantissimo i suoi primi bisogni di attaccamento e si ritrova subito a fare i conti con deprivazioni precoci molto gravi. Una di esse è un’esperienza di abbandono che non sempre coincide con un evento esterno evidente, ma anzi può essere abbastanza sfumata da non essere percepita dagli altri: in questo caso più che eventi di abbandono, il bambino può assistere a situazioni in cui è deluso dal genitore, o momenti in cui ha scoperto che il genitore non lo ha mai amato veramente.
Altre situazioni simili possono essere la perdita di un genitore o di altri membri della famiglia, ma anche situazioni di estrema povertà, che creano situazioni dolorose per tutti i membri della famiglia; a volte può essere frequente l’esperienza di essere messi in ridicolo o presi in giro da fratelli o dai genitori; altre volte ancora, una differenza di cultura o di nazionalità tra la famiglia di origine e l’ambiente contribuisce a un diffuso senso di vergogna.
     Tutto questo ci lascia intuire che il bambino Quattro vive da piccolissimo una vita intensamente dolorosa: ciò che però lo fa soffrire più di tutti è il rifiuto genitoriale. Il tipo Quattro introietta così un genitore non amorevole e autorifiutante: il suo stato di bisogno carico di invidia deriva dall’odio cronico verso se stesso implicito in tale introietto, dato che la natura del suo bisogno di compensare l’incapacità di amare se stessi richiede la presenza del bisogno di approvazione esterna di amore. In altre parole, questi vissuti portano nella sua psiche una costellazione di caratteri che vanno da un cattivo concetto di sé alla necessità di distinguersi in modo speciale, e implicano una sofferenza cronica e una dipendenza (compensativa) dal riconoscimento esterno. Il suo dolore e la sua invidia, inoltre, non viene vissuta a livello cosciente nei confronti del genitore, ma viene vissuta nei confronti di un fratello che i genitori prediligono e per questo motivo, il futuro tipo Quattro deciso a conquistarsi l’amore genitoriale, cerca di essere quel fratello o quella sorella, anziché se stesso.
     Per tutti questi motivi, precocemente il bambino giunge a una conclusione di questo tipo: “Sono amato e quindi valgo a qualcosa” e inizia a inseguire la rispettabilità attraverso l’amore che gli manca (“Amami, così so che vado bene”), e attraverso un processo di distorsione con cui tenta di apparire migliore: insegue qualcosa di diverso e probabilmente migliore e più nobile di quanto egli non sia. Questi processi, tuttavia, inducono frustrazione perché l’amore, una volta ottenuto, con tutta probabilità verrà messo in discussione (“Se mi ama non può essere una persona di grande valore”); tuttavia, di fondo, la ricerca dell’essere attraverso l’emulazione dell’ideale di sé si regge su una base di rifiuto del sé e sulla cecità al proprio vero sé.


L’enneagramma: tipo Cinque
     Ciò che più colpisce, riguardo alla forma e che la mancanza d’amore ha assunto nella storia del tipo Cinque, è la precocità del suo insorgere, tanto che il bambino non ha mai avuto modo di stabilire un legame profondo con la madre. L’assenza (letterale o psicologica) della madre può essere complicata da una mancanza di rapporti alternativi quando il bambino è figlio unico e il padre è distante o la madre, per gelosia, interferisce con i rapporti che il bambino ha con lui. La mancanza di rapporto con gli altri, in questi casi, nasce dalla mancata esperienza di un rapporto profondo in famiglia.
Un altro elemento che spesso si incontra nell’infanzia del tipo Cinque è quello di una madre “divorante, invadente o troppo manipolativa”. Di fronte a una madre di questo genere il bambino protegge la propria vita interiore isolandosi, e impara a nascondersi.
Queste e altre esperienze ancora, nella storia del tipo Cinque, contribuiscono a creare in lui la sensazione che nella vita è meglio stare soli, che le persone non danno amore, e che è un “pessimo affare” mettersi in relazione con gli altri perché quel poco di amore che essi offrono ha intenti manipolativi e sottintende l’aspettativa di ricevere troppo in cambio. Egli quindi si organizza cercando di non aver bisogno degli altri e all’insegna del risparmio delle proprie risorse.
     Molte volte capita che di fronte a esperienze dolorose, il bambino isola il contenuto intellettuale di ciò che è accaduto dall’emozione intensa che è stata vissuta in relazione ad esso; altre volte isola anche il contenuto intellettuale stesso e tutto questo si traduce nella perdita del significato vero e profondo dell’esperienza traumatica e degli impulsi istintuali in gioco. Il risultato di tutto ciò è identico alla rimozione per amnesia. Quanto appena detto si traduce anche in un senso generalizzato di insensibilità che si manifesta attraverso una perdita di consapevolezza dei sentimenti, un’interferenza con l’insorgere del sentimento, dovuta al fatto che il tipo Cinque ne evita sia l’espressione che la messa in atto. Tale peculiarità lo rende indifferente e freddo, intollerante e apatico. Inoltre, il tipo Cinque impara fin da subito a rinviare il piacere per cedere il passo a impulsi più urgenti, come il mantenere una distanza di sicurezza fra sé e gli altri, e il desiderio di autonomia.
     Ricapitolando, sembra che il tipo Cinque abbia rinunciato completamente a ricercare l’amore: tuttavia, poiché il suo bisogno di dipendenza è soltanto tenuto sotto controllo, egli continua a desiderarlo, purché si esprima accettando di lasciarlo in pace, di non fargli richieste e di non ricorrere all’inganno e alla manipolazione. Come in altri casi, la virulenza dell’ideale milita contro la possibilità che esso trovi una sua realizzazione terrena. 


L’enneagramma: tipo Sei
     Appena messo al mondo, il futuro tipo Sei si trova di fronte ad un ambiente che percepisce fin da subito carente d’affetto, ma pieno di castighi, punizioni e rimproveri che toccano la sfera dell’emotività.
Oltre alla paura legata al rifiuto o alla punizione da parte di un padre autoritario (spesso del tipo Sei o Uno), nell’infanzia del bambino vi è un dilagare della paura attraverso l’interiorizzazione di una visione del mondo iperprotettiva da parte della madre. Bombardato da frasi quali: “Stai attento che cadi! Non parlare con gli estranei! Non fidarti mai degli uomini!”, il bambino impara a diffidare delle proprie capacità e del mondo che lo circonda.
Un’altra esperienza che il bambino vive in prima persona è l’essere stati colpevolizzati: “Non vedi quanto lavora tuo padre? Non dovresti dargli altri pensieri”. Una madre Quattro che fa la vittima e si commisera può contribuire in gran parte all’insorgere di questi sentimenti, e nella famiglia del Sei è un caso che accade di frequente.
All’origine di questo senso di colpa c’è il meccanismo noto come identificazione con l’aggressore.
Possiamo dire che un tempo l’individuo Sei ha cercato di ingraziarsi il nemico diventando nemico di se stesso. È come se avesse pensato che era più prudente adottare un atteggiamento di autoaccusa, perché in quel modo non sarebbe incorso in problemi con l’autorità.
Altra caratteristica dell’ambiente familiare del tipo Sei è la mancanza di comunicazione tra i genitori. È facile vedere come questi conflitti si riflettano nell’estrema ambivalenza del Sei, non un’ambivalenza nei confronti dei propri impulsi, ma legata alla doppia percezione che egli ha di ciascun genitore, che viene giudicato non solo empaticamente, ma con gli occhi dell’altro genitore.
A volte ci si imbatte in una storia di sconferme tali che il bambino impara a dubitare delle percezioni. L’incoerenza del comportamento dei genitori, infatti, contribuisce all’ansia del bambino. Non sapendo se sarebbe stato punito o no, ad esempio, prima di dubitare di se stesso, il bambino inizia a dubitare del mondo esterno.
     Poiché molti individui Sei sono cresciuti in un’atmosfera fortemente autoritaria, i più sono stati bersaglio della sfiducia dei genitori, e quindi possiamo pensare che il dubbio che nutrono su di sé sia il risultato personale dell’interiorizzazione. Questo clima autoritario contribuisce anche a far nascere nel bambino problemi relativi all’autorità, e più nello specifico nei confronti del padre, che in genere è il genitore che la esercita.
Rispetto all’autorità, cosa hanno in comune le strategie dell’aggressività, della fedeltà al dovere e dell’affettuosità? Possiamo dire che in origine la paura del Sei sia stata innescata dall’autorità dei genitori e dalla minaccia della punizione da parte di quello dei due che la esercitava, in generale dal padre. Come allora, per via della paura, è diventato dolce, obbediente o diffidente (e in genere ambivalente), così oggi continua a comportarsi allo stesso modo e a provare gli stessi sentimenti di fronte alle persone cui riconosce l’autorità o nei cui confronti, cosciente o no, si pone a sua volta come un’autorità.
     Il tipo Sei è quello che più nettamente si differenzia nello sviluppo dei vari sottitipi.
Sembrerebbe che, per quanto l’esperienza dell’ansia vissuta nella prima infanzia possa essere stata simile in tutti, sia il fattore costituzionale a determinare se l’ansia verrà placata dal desiderio di sovrastare e di intimidire gli altri (negli individui più aggressivi – Sessuali); attraverso il desiderio di stringere alleanze di protezione reciproca (auto conservativi); o di trovare risposta ai problemi della vita con la ragione, l’ideologia o altri modelli autoritari (sociali).
Anche la ricerca dell’amore è diversa a seconda dei sottotipi. Il contro fobico e il paranoide aggressivo esigono obbedienza, perché per loro amare il padre ha voluto dire obbedirgli. Il fobico “evitante” ha imparato che amore significa protezione, una fonte di sicurezza per compensare la propria insicurezza, una persona forte a cui appoggiarsi. Il tipo ligio al dovere è troppo insicuro e ambivalente nei confronti delle persone in carne ed ossa per delegargli l’autorità, e quindi sceglie l’autorità impersonale di un sistema come surrogato genitoriale, un’azione interna che può essere interpretata come una competizione implicita con l’autorità genitoriale.


L’enneagramma: tipo Sette
     Il futuro tipo Sette si ritrova fin da subito ad affrontare la presenza di un genitore eccessivamente autoritario e che fa paura di fronte al quale l’atteggiamento più appropriato è parso quello di una blanda ribellione e una madre vissuta come iperprotettiva e iperpermissiva (in genere un tipo Nove).
L’autorità di un padre Uno, la cui severità eccessiva è stata vissuta dal figlio come una mancanza d’amore, ha contribuito a fargli dare per scontato che l’autorità era cattiva, e ha permesso anche di fargli fare l’esperienza di un’autorità troppo forte per essere affrontata a testa alta, e al tempo stesso a far nascere in lui un malinteso senso dell’amore come indulgenza (vale a dire, ritenersi esonerato dal doversi piegare alla disciplina). Questo atteggiamento contribuisce a far si che il bambino ricorra all’idealizzazione e alla fantasia per negare il dolore che avverte.
Tuttavia resta del tutto viva la sua precoce antipatia per l’autorità. Sembra che l’ingordo abbia “imparato” fin da piccolo che non esistono autorità buone; resta comunque che nei loro confronti egli adotta un atteggiamento diplomatico più che oppositivo.
    Questa antipatia è anche alla base della sua indisciplina: l’individuo Sette impara fin da piccolo a giustificare con delle “buone ragioni” il suo indulgere ai desideri e di conseguenza diventa per lui fondamentale non rimandare il piacere.
I tipi Sette, infatti, tendono a ricercare sistematicamente il piacere dato che esseri amati equivale a vedere appagati i propri desideri. Inoltre, la ricerca dell’amore diventa uno sforzo narcisistico nella misura in cui i mezzi per riuscire ad ottenerlo (ad esempio, essere ingegnosi, buffi e intelligenti) diventano motivazioni autonome, e la conquista di una superiorità ammantata di fascino e di affidabilità un fine in sé. Pertanto, come avviene in altre personalità, un particolare aspetto dell’amore diventa il sostituto dell’amore stesso, e un ostacolo a una vita affettiva soddisfacente.


L’enneagramma: tipo Otto
     Il destino del tipo Otto sembra non dare possibilità di fuga. Nato in una famiglia caratterizzata da genitori tirannici e trascuranti, inizia precocemente a soffrire umiliazioni e limitazioni che gli fanno crescere fin da subito il desiderio di prendersi una rivincita, anche a costo di procurare dolore agli altri e imparando a sopravvivere ricorrendo all’intimidazione.
Inizia così una ribellione generalizzata contro l’autorità che di solito può essere ricondotta a una ribellione contro il padre, che in famiglia è colui che tale autorità esercita. Spesso i caratteri vendicativi imparano a non aspettarsi niente di buono dal padre, e alla fine si convincono che il potere genitoriale è illegittimo.
     Prepotenza e ostilità sono funzionali al bisogno di vendetta: l’individuo decide fin da piccolo che essere deboli, accomodanti o seduttivi non paga, e sceglie il versante del potere nel tentativo di assumersi il ruolo del giustiziere.
La vendetta del tipo Otto tuttavia non è aperta; al contrario, lì per lì egli reagisce con rabbia, che però supera rapidamente. La sua vendetta tipica (a parte una reazione immediata con cui rende “pan per focaccia”) è a lungo termine e lo vede assumere il ruolo di giustiziere come reazione al dolore, all’umiliazione e all’impotenza di cui si è sentito vittima da  piccolo[5].
     L’individuo otto decide tacitamente e precocemente di farsi una vita migliore fuori dalla famiglia e non di rado esce presto di casa. Una delle ragioni di questa scelta è la mancanza di cure e di attenzione, o addirittura la reale mancanza di un ambiente familiare (come per i figli di delinquenti nelle aree di estrema povertà); inoltre, la violenza nella famiglia dell’Otto è più frequente che nelle famiglie di altri tipi, e per questo motivo è facile comprendere come in questi casi si sviluppino insensibilità, indurimento, cinismo.
Ma altre volte i fattori che portano alla disillusione riguardo all’amore dei genitori non sono altrettanto evidenti, specie quando tra più figli uno solo manifesta tali caratteristiche. In questi casi si può ipotizzare che una comune esperienza di punizioni sia stata vissuta e interpretata in maniera diversa, e che quindi un fratello si sottometta per non perdere la possibilità di ottenere l’amore dei genitori, mentre l’altro che si sente più umiliato e rabbioso vada in cerca di un ambiente migliore, sviluppando così lo spirito d’avventura. A volte uno dei fattori che contribuiscono allo sviluppo di questo carattere è l’identificazione con un altro membro della famiglia.
     Benchè si possa dire che in senso lato il tipo Otto, come il Cinque, abbia rinunciato con grande pessimismo a cercare l’amore al punto da dubitare cinicamente delle buone intenzioni e da giudicare sentimentalismo l’espressione dei sentimenti, per lui, come per altri caratteri si può parlare anche di una sostituzione del desiderio d’amore originario. Come nel tipo Uno, la ricerca dell’amore diventa ricerca del rispetto, ed è come una dichiarazione di rispetto che questo tipo vive la “prova d’amore”. La “prova d’amore” per lui sta nella disposizione dell’altro a lasciarsi possedere, dominare, usare e, nei casi estremi, picchiare. Allo stesso modo, tutti questi comportamenti e atteggiamenti, nel corso del tempo, diventano sostituti dell’amore.


L’enneagramma: tipo Nove
     Il bambino che diventerà un Nove muove i primi passi in un contesto in cui l’unico modo per cavarsela era piegarsi alle circostanze. Non sempre a questi bambini è mancato l’amore della madre, ma le circostanze le hanno impedito di essere più disponibile, e il bambino ha percepito che lamentarsi o cercare di attirare l’attenzione su di sé non sarebbe servito a niente.
Solitamente vive in famiglia una situazione precaria, e questo gli dà la sensazione che a lamentarsi si perde quel poco che si ha: essi inoltre quasi invariabilmente provengono da famiglie numerose dove l’attenzione dei genitori è stata divisa fra molti fratelli, o da famiglie molto occupate dove il lavoro ha assorbito alla madre molte energie.
Ecco perché il Tipo Nove non solo è una persona che non ha imparato ad amarsi perché gli è mancato l’amore, ma che dimentica la frustrazione subita costruendosi una sorta di callo psicologico, ricorrendo a un’ipersemplificazione, praticandosi un’amputazione psicologica che fa di lui il meno sensibile e il più stoico di tutti i caratteri[6].
     Molto spesso si cerca il suo aiuto fin da piccolissimo e si arriva al punto che  tutti si aspettavano il loro aiuto, in qualunque situazione. A volte egli diventa l’aiutante della madre nella cura dei fratelli più piccoli.
Anche se il tipo ben adattato è contrario alla ribellione, è interessante osservare che ciò che può averlo portato ad adottare questo stile è stata proprio la ribellione contro uno dei genitori.
È facile capire perché una madre Quattro compaia spesso nelle storie del tipo Nove; come nella situazione in cui il genitore è un perfezionista, anche in questo caso il bambino è stato oggetto di molte richieste, e si è sentito obbligato a sviluppare un atteggiamento deferente di fronte al bisogno di un altro.
Altre volte, invece, la personalità dei suoi genitori è data da una combinazione tra il Nove e l’Uno. Il primo, naturalmente, fornisce il modello della dedizione, il secondo impersona l’esigenza di perfezionismo.
     Mentre in altri caratteri la ricerca d’amore si è trasformata visibilmente nella ricerca di un surrogato dell’amore o di qualcosa che in origine veniva percepito come un mezzo per ottenere l’attenzione dei genitori, nell’accidioso sembra essersi trasformato in rassegnazione. Ma questa rassegnazione si mantiene solo a prezzo di una perdita di interiorità, perché la generosità ossessiva nasconde un’aspettativa inconscia di reciprocità. Poiché questo individuo non ha coscienza di desiderare di essere amato, è inappropriato parlare di seduzione o di lusinghe; quando la sua capacità di dare viene riconosciuta prova gratitudine, e possiamo dire che in lui la ricerca d’amore diventa soprattutto desiderio di essere riconosciuto nella sua capacità di dare, nella sua generosità e nel suo altruismo.

Conclusione
     Riassumendo, siamo diventati incoscienti di noi stessi, perché siamo stati feriti, abbiamo sofferto e non vogliamo tornare a soffrire. Una differenza importante tra la condizione ordinaria e impoverita della mente e la condizione sana alla quale aspiriamo è proprio un diverso atteggiamento dinanzi al dolore. Siamo così attaccati al piacere e vogliamo così tanto evitare il dolore che tali forze di repulsione e attrazione ci distraggono da noi stessi. Il dolore, invece, non soltanto può schiacciarci addormentandoci, ma può anche elevarci diventando un fattore di risveglio dipendente dal nostro atteggiamento.
Ancora possiamo sintetizzare il nostro male nella abituale caratteristica di manipolare e simulare per appagare la nostra sete e di esserci dedicati alla ricerca dell’amore con tanto affanno da consumare energie che potremmo porre nell’espressione del nostro potenziale amoroso.
     Infine ci possiamo domandare: cosa possiamo fare a questo punto? Come è possibile utilizzare queste informazioni per elevare all’infinito le nostre potenzialità?
L’esperienza clinica sembra mostrarci che quando si pratica la ricerca della conoscenza di sé in un atteggiamento di aspirazione e di riconoscimento obiettivo della propria aberrazione, e tuttavia si cerca di fare spazio nella mente alle imperfezioni presenti che sono l’inevitabile conseguenza dell’impronta dell’esperienza passata e l’inevitabile procedere del percorso di autorealizzazione, si scopre che la comprensione di sé sembra fine a sé stessa.
Molto spesso le persone si accorgono che nonostante siano consapevoli di cosa essi sono e perché lo sono diventati, non riescono a cambiare quello che sono.
Questo perché c’è bisogno anche che essi scoprono quello che possono diventare e questa scoperta deve essere sentita e capita nei loro cuori.



Bibliografia

Claudio Naranjo – Carattere e nevrosi – 1996, Casa Editrice Astrolabio, Roma
Claudio Naranjo – Gli Enneatipi nella psicoterapia – 2003, Casa Editrice Astrolabio, Roma
Claudio Naranjo – L’ego patriarcale – 2009, Urra, Milano
Karen Horney – Nevrosi e Sviluppo della personalità – 2007, RCS Libri S.p.a., Milano
David Shapiro –La personalità nevrotica – 1991, Bollati Boringhieri editore S.r.l., Torino
Umberto Galimberti – Dizionario di psicologia – 2006, UTET Libreria, Torino
Carl Gustav Jung  – Il problema dell’inconscio nella psicologia moderna – 1959, Giulio Einaudi Editore, Milano




[1] Con il termine “costituzione” si indicava l’insieme di caratteristiche relativamente stabili e irreversibili che permangono nel soggetto determinandone le risposte più costanti all’ambiente. Questo concetto molto generico fu impiegato in medicina fin dall’antichità, mentre ai giorni d’oggi è associato al termine “ereditarietà genetica” con riferimento ai valori biologici dell’individuo. Il termine costituzione, in altri termini, si riferisce ai tratti relativamente costanti reperibili a livello biologico e non bisogna confonderlo con il fenotipo che invece esprime il quadro modificabile dell’aspetto esterno dell’individuo.
[2] La nevrosi è un disturbo psichico senza causa organica i cui sintomi sono interpretati dalla psicoanalisi come espressione simbolica di un conflitto che ha le sue radici nella storia del soggetto e che costituisce un compromesso tra il desiderio e la difesa.
[3] La tipologia è la classificazione degli individui in base al loro tipo, termine con cui si indica da un lato l’insieme delle caratteristiche comuni a un certo numero di individui, dall’altro il modello ideale costruito per astrazione a partire da quelle caratteristiche. Il metodo tipologico è indicato quale primo orientamento nello studio di quei settori che ancora non si prestano ad un’analisi quantitativa, con l’avvertenza che i tipi misti sono molto più frequenti dei tipi puri ottenuti sopravvalutando i caratteri differenziali. L’uso acritico del tipo produce lo stereo-tipo, che nasce dall’uso rigido e cristallizzato del quadro di riferimento. Le tipologie si differenziano in base ai criteri adottati per la loro costruzione e articolazione.
[4] A fare da stimolo allo sforzo del perfezionista non è solo un’atmosfera di poco amore, ma anche la volontà di corrispondere a un modello, un voler far propria la personalità stacanovista e perfezionista di uno dei genitori. Spesso nella famiglia di un perfezionista troviamo un padre e una madre che lo sono a loro volta; e quando non è così, in genere troviamo un padre Sei dotato di un eccessivo senso del dovere (il Sei ha molte cose in comune con l’esigente
perfezionista).
[5] Si può pensare che l’influenza di un temperamento geneticamente somatotonico sulla formazione del carattere non sia semplice bensì indiretta, perché è facile che il bambino chiassoso o quello che esprime desideri troppo intensi susciti rifiuto o punizione, il che lo farà diventare arrogante e ribelle.
[6] (Il Nove è situato di fronte agli ipersensibili Quattro e Cinque, nella parte inferiore dell’enneagramma).