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martedì 2 maggio 2017

Roberto Beretta, ultrarunner: Il limite cerco sempre di spostarlo un po’ più su


Il mondo degli ultrarunner sembra essere bizzarro, sorprendente, coraggioso, simpatico, entusiasmante, affascinante. Le esperienze in gare e allenamenti sono forti e intense, è un mondo che fa star bene, i familiari e amici dopo un primo periodo di sorpresa e preoccupazioni comprendono cosa significa farvi parte, cosa significa apprestarsi a fare un allenamento o gara fuori dall’ordinario, cosa significa osare, avvicinarsi al limite.
Di seguito Roberto racconta la sua esperienza di atleta ultrarunner attraverso risposte a un mio questionario di un po’ di tempo fa.
Cosa significa per te essere ultramaratoneta? “Per me significa stare in giro ore per montagne, vivere me stesso con le mie difficoltà, fare turismo e conoscere un nuovo modo di vedere il mondo.”
Qual è stato il tuo percorso per diventare un ultramaratoneta? “In realtà non mi sento mai arrivato, allungare i km da percorrere in gara è stata una forma di curiosità, sia livello paesaggistico che interiore, per cui un vero percorso formativo non c’è mai stato, anzi forse ho anche bruciato le tappe per arrivare a percorrere certe distanze.”
Cosa ti motiva ad essere ultramaratoneta? “L’ignoto e il piacere di arrivare comunque al limite… non di oltrepassare il limite!”
Hai mai pensato di smettere di essere ultramaratoneta? “No, non è una condizione stabile, può essere che domani decido di non fare più di 20 km a gara, ma non mi sono mai posto il problema.”
Hai mai rischiato per infortuni o altri problemi di smettere di essere ultramaratoneta? “A dire il vero per molto meno molti sarebbero già fermi… e non sola da ultra distanze. In realtà sono un po’ incosciente e non mi ascolto mai abbastanza e continuo anche con dolori.”
Cosa ti spinge a continuare ad essere ultramaratoneta? “Non mi sento mai arrivato e finchè avrò questa sensazione radicata in me continuerò a percorrere distanze non convenzionali.”
Hai sperimentato l’esperienza del limite nelle tue gare? “Il limite cerco sempre di spostarlo un po’ più su, ma sono stato capace anche di fermarmi e ritirarmi, per questo penso di essere arrivato a volte al limite ma mai averlo oltrepassato.”
Quali i meccanismi psicologici ritieni ti aiutano a partecipare a gare estreme? “Nessuno in particolare, guardo una gara, mi piace mi iscrivo e parto.”
Quale è stata la tua gara più estrema o più difficile? “Sicuramente la difficoltà della gara è data da tanti fattori, a volte le più corte sono le più sofferte. Se dovessi pensare alla tipologia di percorso: Andorra ultra Trail e L’echappe belle.”
Quale è una gara estrema che ritieni non poterci mai riuscire a portarla a termine? “Non mi sono mai posto questo problema… di solito miro gare che posso provare a terminare.”
C’è una gara estremi che non faresti mai? “Tutto ciò che è corribile non mi è precluso… poi ci rifletto all’atto dell’iscrizione.”
Cosa ti spinge a spostare sempre più in avanti i limiti fisici? “Il fatto che non so dove posso arrivare e mi sorprendo che nonostante avanzi l’età il corpo comunque risponde sempre bene e la testa anche meglio.”
Cosa pensano i tuoi famigliari ed amici della tua partecipazione a gare estreme? “I famigliari inizialmente mi osteggiavano, ora quando dico che faccio una gara di 80 km sostengono che è corta. Gli amici li ho portati sui sentieri della perdizione, per cui mi capiscono.
Che significa per te partecipare ad una gara estrema? “Nulla di più che partecipare a una gara più corta… vivere l’esperienza.”

In gare lunghe l’esperienza diventa forte e intensa, ci si trova ad affrontare e gestire situazioni di difficoltà di percorso, attività fisica che perdura nel tempo, a volte si sperimenta deprivazione del sonno, si impara a gestire ogni cosa dall’abbigliamento all’alimentazione.
Ti va di raccontare un aneddoto? “Sincero non ne ho …mi diverto quando sono stanco molto stanco a interpretare le allucinazioni.”

Le allucinazioni sono riportate da atleti che fanno sport di endurance, a volte vedono o sentono quello che vogliono vedere e sentire, a volte immaginano di parlare al telefono con la propria famiglia, o hanno miraggi: oasi nel deserto, serpenti, leoni, esperienze al di là dell’ordinario.
Cosa hai scoperto del tuo carattere nel diventare ultramaratoneta? “Nulla, da sempre mi dicono sono un testone e questo è basilare per finire certe gare.”
Come è cambiata la tua vita famigliare, lavorativa? “Lavorativa nulla… nel senso ho sempre accettato i ritmi del lavoro (ora sono precario). Con la famiglia qualche screzio iniziale, ora quando possono mi seguono.”
Se potessi tornare indietro cosa faresti? O non faresti? “Rifarei tutto!”
Usi farmaci, integratori? Per quale motivo? “Non uso nulla… tranne ferro e magnesio …questo per un abbassamento dei valori, sono donatore Avis.”
Ai fini del certificato per attività agonistica, fai indagini più accurate? Quali? “Faccio una visita medica sportiva un po’ più approfondita ma nulla di più.”
E’ successo che ti abbiano consigliato di ridurre la tua attività sportiva? “Per fortuna no… o meglio per alcuni problemi articolari qualche medico me l’ha suggerito, ma poi ha desistito.”

Prima o poi lo trovi un medico che ti dice che tropo sport fa male, che la distanza massima è la maratona, ma sta alla persona decidere cos’è meglio per lui, cimentarsi in distanze più lunghe si può facendo sempre attenzione a se stessi, compensando lo sforzo e la fatica con recuperi adeguati e facendo accertamenti sanitari appropriati.
Hai un sogno nel cassetto? “No. Cerco solo cose realizzabili.”


Roberto è menzionato sul mio nuovo libro “Sport, benessere e performance” http://www.prospettivaeditrice.it/index.php?id_product=397&controller=product

Psicologo clinico e dello sport, Psicoterapeuta 
380-4337230 - 21163@tiscali.it
http://www.ibs.it/libri/simone+matteo/libri+di+matteo+simone.html

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