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venerdì 26 giugno 2015

L’ultramaratona permette scoprire risorse interne insospettabili

L
a passione e la pratica dell’ultramaratona permette di conoscere e scoprire delle risorse interne che in situazioni ordinarie sono insospettabili. 

L’adattamento graduale a situazioni di estremo stress psicofisico permettono di esprimere delle caratteristiche che hanno a che fare con la tenacia, la determinazione, la resilienza, che accrescono la forza mentale per andare avanti, per raggiungere un obiettivo prefissato, per superare eventuali crisi lungo il duro percorso.
Ecco perché queste persone non si fermano mai, più corrono e più sperimentano, più sperimentano più si emozionano, più si emozionano e più si sentono vivi, sentono che la loro vita ha un senso per loro anche se gli altri li giudicano matti da legare, o suicidi o masochisti, ma per loro l’essenza della vita è sperimentare le proprie capacità personali, misurarsi con limpossibile, l’incerto, sfide continue per conoscere se stessi, per entrare dentro se stessi e fare un viaggio interiore alla ricerca di se stessi e delle proprie possibilità, capacità di affrontare e ritornare sempre a rialzarsi quando si casca, ci si infortuna.

mercoledì 24 giugno 2015

Comportamenti collegati alla salute dei ragazzi in età scolare

Per comprendere appieno la dimensione e la diffusione di comportamenti negli adolescenti è attivo dal 1982 lo studio internazionale HBSC (Health Behaviour in School-aged Children - Comportamenti collegati alla salute dei ragazzi in età scolare), cui l’Italia partecipa dal 2001. Tale studio è promosso dall’Ufficio Regionale per l’Europa dell’Organizzazione Mondiale della Sanità e coinvolge ogni 4 anni, nei 44 paesi aderenti, un campione di studenti di 11, 13 e 15 anni.
Partecipando all’indagine, i giovani intervistati hanno descritto il proprio contesto sociale (relazioni familiari, con i pari e con la scuola), la propria salute fisica e la soddisfazione della propria vita, gli stili di vita (attività fisica, alimentazione) e i comportamenti a rischio (uso di tabacco, alcol, cannabis, comportamenti sessuali, bullismo). L’indagine in generale, e le singole nazionali, vogliono, infatti, essere un supporto di informazioni valide e aggiornate sui comportamenti dei ragazzi in modo da orientare nel modo migliore le scelte dei decisori, dei professionisti, degli operatori.
Nel 2010 le classi su cui svolgere l’indagine sono state prima e terza media della scuola secondaria inferiore e seconda della secondaria superiore. A tutti i soggetti delle classi campionate è stato somministrato un questionario anonimo per indagare i comportamenti correlati alla salute, il rapporto con la scuola, i genitori e i pari e informazioni generali che ne definissero condizione anagrafica e livello sociale.

Hai mai pensato di smettere di essere ultramaratoneta?

Matteo SIMONE


Chi sceglie di essere ultramaratoneta e di partecipare a gare estreme sembra che non abbia limiti, vuole andare avanti, vuole cercare competizioni sempre più dure, difficili, e solo l’infortunio, l’incidente, un malessere può fermarli.

Ecco le risposte alla domanda: “Hai mai pensato di smettere di essere ultramaratoneta?”,:
Angelo Fiorini: Non ho mai pensato di smettere ma nel momento di massino entusiasmo e di ottima forma fisica, ho dovuto fermarmi a causa di gravi problemi fisici dovuti alla gara più estrema alla quale ho partecipato, la Sparta Atene di 245 km, nell’ottobre del 2011. Dopo 172 km, sono stato costretto a fermarmi e lo sono fino a tutt’oggi!

Partecipare a gare podistiche di distanza superiore alla maratona

Per approfondire il mondo degli ultramaratoneti e delle gare estreme ho costruito un questionario ed ho raccolto alcune risposte che ci permette di conoscere più da vicino le motivazioni che affascinano le persone ad avvicinarsi a questo tipo dii discipline considerate estreme. Sono stati contattati atleti che hanno percorso competizioni sportive della distanza superiore alla maratona.
Alla domanda “Ti puoi definire ultramaratoneta?” ecco alcune risposte:
Vincenzo Luciani: Una premessa è doverosa. Sono stato ultramaratoneta fino al 2007, anno in cui ho corso il Giro del Lago Trasimeno, la 50 km di Romagna e la Pistoia-Abetone. Da allora mi sono limitato a fare delle maratone di 42 km. Perciò le mie risposte saranno rivolte al passato. Penso proprio di sì. Il totale delle ultramaratone da me corse è di 56 gare per km complessivi 3.841 km. E questo è il dettaglio: 100 km del Passatore Firenze-Faenza (n. 16 dal 1990 al 2005 – record 12h33’), 100 km del Gladiatore, Santa Maria Capua Vetere (93, 94),    100 km Torino-Saint Vincent (97), 60 km Giro del Lago Trasimeno (02, 03, 06, 07), Pistoia-Abetone (dal 90 al 2003 e 05, 06, 07), 50 km di Romagna (92,93, 95, 96, 97, 98, 00, 01, 02, 03, 04, 05, 06, 07) , 50 km Bologna-Zocca (00, 01).”

Ultramaratona, un viaggio lungo che fa nascere e morire un milione di volte

Matteo SIMONE
3804337230- 21163@tiscali.it

N
ella vita si fanno delle scelte, molti preferiscono poltrire o restare in una zona di estremo confort per non rischiare un giudizio, una brutta figura, altri per sentirsi vivi devono sentire il proprio corpo, le proprie sensazioni corporee, il cuore che palpita, il respiro affannoso, il sudore colare da proprio corpo, il senso di fame, sete, freddo, caldo, c’è tanto bisogno di sentire.

Dalle risposte alla domanda “Cosa significa per te essere Ultramaratoneta?” una parte degli atleti ha evidenziato semplicemente il percorrere una distanza superiore alla maratona mentre un’altra parte ha evidenziato aspetti inerenti le capacità mentali di perseguire uno sforzo prolungato nel tempo oltre quello previsto per la percorrenza della distanza di una maratona e le conseguenze relative, tipo la capacità di saper soffrire, di saper autoregolare le proprie energie, lo sperimentare nuove emozioni, ecc..
Ma emerge anche l’importanza dello sperimentare, del far parte di una categoria privilegiata che sa che se vogliono possono fare tutto nello sport e nella vita.

Lavorare su tanti fronti e tirare fuori tutte le risorse della persona

Capita che l’essere umano si accorga di non stare bene e decida di correre ai ripari, nel senso che pensi di stare meglio. Ad esempio l’individuo ad un certo punto della sua esistenza può decidere che è ora di finirla con un suo comportamento o con una sua abitudine e siccome da solo non riesce a prendere tale decisione si rivolge ad una persona competente.
Ma il fatto di recarsi da un esperto non è sufficiente a risolvere il problema perché le abitudini, i comportamenti, lo stile di vita non si cambia da un giorno all’altro ma richiede un impegno notevole, un adattamento graduale ed un lavorare su più fronti.
Non c’è una soluzione, per esempio evitare di mangiare oppure fare attività fisica. Bisogna lavorare su tanti fronti e tirare fuori tutte le risorse della persona.
Per quanto riguarda l’attività fisica può valutare di iniziare gradualmente a fare movimenti incrementandoli con il tempo e cercando incentivi quali il fare attività in compagnia o comunque gratificanti.
Per quanto riguarda l’alimentazione non si può pretendere privazioni drastiche ma iniziare con piccoli accorgimenti, di primaria importanza è la masticazione, la persona deve comprendere che dovrebbe fare maggiore attenzione al masticare.

Quale è stata la tua gara più estrema o più difficile?

Matteo SIMONE 


Racconti di gare estreme
, dove si arriva al punto di rischiare di morire o comunque dove si sperimentano condizioni estreme di fatica fisica o atmosferica, oppure si rischia di perdersi o precipitare. 

Difficili sono considerate anche le gare dove si ripete un breve circuito per tantissime ore. Ma tutto ciò non basta per limitare il rischio, si arriva al punto di chiedere di essere incatenati.
Emerge una dipendenza dal ricercare il limite, quasi una inconsapevolezza e perdita di controllo, infatti in qualche modo si cerca aiuto a famigliari di intervenire per farsi legare e non osare troppo.
Di seguito le risposte ricevute alla domanda: Quale è stata la tua gara più estrema o più difficile?:
Marco Stravato: La TDS del Monte Bianco, 29 ore con dislivelli durissimi, discese durissime, dove bisognava reggersi alla corda, stare attenti a non scivolare giù nei burroni.”

Intervista doppia a due Recordman Italiani Ultrarunner

Tra gli ultrarunner che hanno risposto al mio questionario per la stesura del libro Ultramaratoneti e gare estreme, vi sono due personaggi Italiani titolati nelle ultramaratone e cioè il mitico Giorgio Calcaterra che fa parlare di lui dalla fine degli anni ‘90 in quanto era sempre presente nelle gare di maratona a distanza ravvicinata e con tempi strepitosi, il Re Giorgio è stato sempre interessato ad essere presente semplicemente come atleta alle manifestazioni podistiche nelle varie città di Italia con umiltà e modestia.
Wikipedia riporta notizie su Giorgio: “Nel 1990, a 18 anni, partecipa alla Maratona di Roma completandola in 3:29. Nel 2000 oltre a stabilire il suo personale sulla distanza (2:13:15), stabilisce il Record Mondiale di Maratone corse in un anno sotto le 2:20:00 (16).
Nel 2006 Calcaterra partecipa per la prima volta alla 100 km del Passatore Firenze - Faenza vincendo in 06:45 conquistando il titolo italiano di 100 km. Nello stesso anno entra nel giro della Nazionale di Ultramaratona con la quale partecipa ai Campionati Mondiali ed Europei del 2006, 2007,2008 e 2009. L'8 novembre del 2008 vince la terza edizione dell'Ultramaratona degli Etruschi a Tarquinia e si laurea Campione del Mondo e d'Europa sui 100 km.
Il 10 settembre 2011, in Olanda, conquista il suo secondo titolo mondiale ed europeo vincendo la 100 km di Winschoten con il tempo di 6:27:32.
Nel 2015 vince per la decima volta consecutiva la 100 km del Passatore, conseguendo anche il primato di maggior numero di vittorie consecutive al mondo in una competizione di ultramaratona.”
Un altro super runner al quale ho sottoposto il questionario sulle ultramaratone e gare estreme è Ivan Cudin che ha dimostrato di essere titolato sulle distanze doppie rispetto a quelle di Giorgio Calcaterra, infatti mentre Giorgio ha vinto per la decima volta consecutiva la gara di 100km con partenza da Firenze ed arrivo a Faenza, Ivan Cudin è lo specialista della 24 ore conseguendo il record italiano di circa 266km ed è stato più volte vincitore di una delle gare più dure al mondo la Spartathlon della distanza di circa 247km.

martedì 23 giugno 2015

Modello O.R.A.: Obiettivi, Risorse, Autoefficacia nella vita e nello sport

Matteo SIMONE

Utilizzando il modello O.R.A. si definisce chiaramente l’obiettivo temporale e le risorse per raggiungerlo. 

E’ importante riuscire a vedersi con l’obiettivo raggiunto, indossare l’obiettivo raggiunto. Attraverso l’ipnosi Ericksoniana si chiede di immaginarsi poi avanti nel tempo con l’obiettivo raggiunto: Come te lo immagini? Come ti vedi avendo già raggiunto l’obiettivo? Dove? Con chi? Come ti senti? Come è stato raggiungere l’obiettivo? Cosa hai fatto? Chi ti ha aiutato? Quali sono state le tue risorse? Come hai iniziato? Da dove sei partito? Quali difficoltà hai incontrato? Come le hai superate?

giovedì 18 giugno 2015

Alberto Ceriani, non vedente: Sogni? Maratona nel deserto, ripetere l’iroman e il Passatore

Dott. Matteo Simone

Ho avuto modo di fare esperienza da accompagnatore sia in allenamento che in gara con un’atleta non vedente, la mitica coraggiosa e determinata atleta Ada Ammirata che è scesa da cavallo dopo un’esperienza a livello internazionale e ha scoperto la corsa a piedi applicandosi con entusiasmo, dedizione e determinazione.
L’esperienza di corsa con Ada permette di scoprire cosa significa correre con una disabilità come la vista e ognuno si può sperimentare come accompagnatore negli allenamenti ed in gara, mettendo da parte qualsiasi forma di competizione estrema e dedicandosi all’altro con generosità.

martedì 16 giugno 2015

Se si vuole, qualsiasi obiettivo può diventare raggiungibile

Gli ultrarunner sperimentano di avere risorse interiori nascoste che vengono fuori al momento opportuno, inoltre sperimentano di riuscire nelle loro imprese, sperimentano di essere in grado di portare a termine i loro progetti, i loro obiettivi.

Le risposte degli atleti alla domanda: Cosa ti spinge a continuare ad essere ultramaratoneta, fanno riferimento ad altre dimensioni, al superare il normale, il banale, la vita quotidiana, si parla di girare una curva per vedere cosa c’è dietro, scoprire quello che non si può vedere e quindi la voglia di superarsi, di superare il noto, il conosciuto.
Gli atleti più che di sport parlano di un viaggio nel mistero nella conoscenza propria, nel vedere cosa riescono a fare, cosa riescono a sopportare, a raggiungere. Di seguito le risposte ricevute:

lunedì 15 giugno 2015

Lisa Borzani: abbiamo ottenuto una medaglia con il contributo di tutte

L’ultratrail è uno sport poco conosciuto per diversi motivi. Trattasi di corsa a piedi ma non in piste di atletiche e nemmeno su strade, bensì per sentieri di montagna e con dislivelli di altimetria.
Prevede distanze lunghissime e quindi un tempo di gara che può superare anche le dieci ore, si compete anche in orari notturni e quindi le condizioni di gara sono impegnative non solo dal punto di vista del chilometraggio, del percorso fatto di sassi, fiumi, montagne, radici ed altro ma anche per le condizioni atmosferiche avverse che vanno dal freddo o gelo che si può sperimentare in altitudini di montagna o anche tanto caldo dovuto alla temperatura elevata.
Insomma è uno sport non semplice ma lo ritengo interessante per mettersi alla prova come esperienza di vita e come metafora per affrontare la vita giorno per giorno come si affronta chilometro per chilometro con la convinzione di avere la passione e la gioia così come si può avere la passione e la gioia di correre tra la natura superando qualsiasi avversità ed apprezzando il bello dell’esperienza e quello che si apprende ogni volta se si è aperti al nuovo.
Domenica 31 maggio si sono svolti i Mondiali Ultratrail e Lisa è riuscita, grazie alle sue capacità fisiche e mentali ma anche grazie alla squadra Italia ed alla squadra Famiglia, a portare l’Italia Femminile sul podio, forse inaspettato, arrivando 11^ donna al mondo e seguita da altre due atlete che portavano punteggio alla squadra femminile, Sonia Glarey e Virginia Oliveri che ha indossato la maglia azzurra per la settima volta dichiara dichiara: “Sono contenta ma molto dispiaciuta per la mia prestazione. È stata una giornata no e come dice Pablo ho ottenuto il massimo che potevo in una giornata così. Sono riuscita a finirla grazie alla mia testa che c'era e a quella medaglia che quando mi hanno detto che c'era la minima possibilità non ci poteva sfuggire”, ma anche tutte le altre atlete hanno contribuito al bronzo della nazionale femminile, Cecilia Mora, Gloria Amadori che ha finita la gara solamente per la maglia e la squadra, infatti dichiara: “Arrivataaaaa. Fatica nauesea e problemi di intestino. Più di così non potevo fare, l’ho finita per la maglia e la mia squadra”, Cinzia Bertasa e Simona Morbidelli che per un piede dolorante ha dovuto mollare per salvaguardare la propria salute, infatti dichiara: “Questa era una gara che sarebbe dovuta terminare molto prima ma essendo un mondiale non ce l’ho fatta a fermarmi. Purtroppo a causa delle continue salite ad aprile per prepararmi alla gara mi è tornato il problema in salita alla gamba. Dopo 2 km ha iniziato a indurirsi facendomi male dal piede intorpidito alla schiena. Ho voluto provare ma li ci sono solo salite e discese e andava sempre peggio. Ero almeno terza e non volevo mollare per la medaglia team. In discesa ho zoppicato e quasi a 15 km dalla fine è arrivata Virginia. Il mio sollievo. Ho potuto, in pace con me stessa, togliermi il pettorale sapendo che lei poteva continuare al posto mio e ritirarmi al posto acqua dopo qualche km. Non credevo di poter fare una cosa del genere, ovvero di rischiare la mia salute per una maglia. In qualsiasi altra gara mi sarei giustamente ritirata subito. Ma un mondiale è diverso”.

Indossare la maglia azzurra in un Campionato Mondiale

Indossare la maglia azzurra in un Campionato Mondiale da una parte è un orgoglio da parte di chi la indossa, è un onore, trattasi di persone prescelte per le loro capacità personali e sportive di far squadra e di eccellere nella prestazione sportiva, dall’altra parte è una responsabilità elevata, bisogna far bene, non devi dar conto solo a te stesso ma anche alla squadra, alla Nazione Italia, quindi è importante mettere in gioco tutte le risorse, le energie disponibili per contribuire al successo personale e della squadra, ecco alcune testimonianze di atleti della Nazionale Ultratrail che domenica 31 maggio sono stati protagonisti ai Mondiali Ultratrail permettendo alla squadra Italia Femminile di salire sul podio, forse inaspettato.
Un grazie alle atlete che indossavano la maglia azzura ma soprattutto grazie a Lisa Borzani arrivata 11^ donna al mondo e alle altre due atlete che la seguivano, Sonia Glarey e Virginia Oliveri che ha indossato la maglia azzurra per la settima volta dichiara: “Sono contenta ma molto dispiaciuta per la mia prestazione. È stata una giornata no e come dice Pablo ho ottenuto il massimo che potevo in una giornata così. Sono riuscita a finirla grazie alla mia testa che c'era e a quella medaglia che quando mi hanno detto che c'era la minima possibilità non ci poteva sfuggire”.

Aiutare le persone ad aiutarsi

Ci sono diverse modalità, approcci, scuole di pensiero per aiutare le persone ad aiutarsi, per cercare di aiutare le persone a stare meglio, per aiutare le persone a trovare le prorie risorse per risolvere situazioni, uscire da difficoltà, da disagi, per cambiare un modo di essere che può risultare disfunzionale, fra le tante, la psicoterapia della Gestalt si distingue per la modalità di aiutare l’altro attraverso l’esperienza, attraverso un approccio più diretto.
J. Zinker illustra nel testo Processi creativi in psicoterapia della Gestalt, il lavoro dello psicoterapeuta della gestalt, spiegando l’esperimento presso lo studio che diventa una sorta di laboratorio, elencando alcuni obiettivi: “Lo studio del terapeuta diventa un laboratorio vivo, un microcosmo nel quale la persona esplora se stessa a un livello realistico, senza la paura del rifiuto o delle critiche. L’esperimento creativo aiuta la persona ad approdare a nuove espressioni, o almeno la spinge verso i confini, i margini entro i quali vuole crescere. Gli obiettivi a lungo termine dell’esperimento consistono nell’allargare l’orizzonte della consapevolezza del paziente e della comprensione di sé, nel farlo sentire più libero di agire efficacemente nel suo ambiente e nell’ampliare il suo repertorio di comportamenti nelle situazioni di vita.
Gli obiettivi della sperimentazione creativa all’interno del setting terapeutico sono:
-          ampliare il repertorio comportamentale della persona;
-          creare quelle condizioni che aiutino la persona a vedere la propria vita come una propria creazione;
-          stimolare l’apprendimento esperienziale della persona e l’evoluzione di nuovi concetti di sé;
-          scoprire le polarizzazioni di cui non si ha consapevolezza;
-          stimolare l’integrazione di forze conflittuali nella personalità.

Guardare all’handicap con naturalezza e senza pregiudizi

Sul quotidiano Leggo (1), Donatella Aragozzini intervista GiusyVersace, trentottenne atleta paralimpica calabrese, che sembra una donna molto resiliente, va sempre avanti nella sua vita nonostante abbia perso le gambe. Giusy continua ad avere sogni ed ad impegnarsi per raggiungerli, infatti afferma: “Ho perso le gambe, ma non la volontà”.
Ora da conduttrice di un programma televisivo gira l’Italia raccontando storie di persone come lei che avendo avuto momenti difficili non si sono arresi ma hanno continuando ad andare avanti con tanta forza di vivere e di continuare a sorridere: “E’ una scommessa, mi piace molto l’idea di girare l’Italia raccontando storie di forza di volontà, di persone che come me hanno passato momentii difficili ma non hanno mai perso la voglia di sorridere. Io a mia volta cerco di raccontare quanto è bella la vita, soprattutto a chi si scoraggia per delle banalità”.
Giusy spiega che per andare avanti bisogna conosiderare l’importanza della testa e del cuore, infatti è importante avere la testa per affrontare certe situazioni, per non mollare nei momenti di difficoltà, di crisi, di sconforto ed otre la testa è importante avere la passione nel fare le cose, fare le cose con il cuore che sia il portare avanti una relazione, un’attività lavorativa, loo sport, se ci metti la testa ed io cuore, anche il corpo ti segue, non si arrende agli imprevisti, ecco come la pensa Giusy: “Io nel 2005 ho perso tutte e due le gambe, ma non mi sono mai scoraggiata, ho scritto anche un libro dal titolo Con la testa e con il cuore si va avanti, in cui racconto tutte le cose belle che ho fatto dopo l’incidente”.

Consumo rischioso e dannoso di alcol nella popolazione

Informazioni salienti che emergono dall’attività dell’Osservatorio nazionale alcol che presenta i dati epidemiologici e di monitoraggio alcol-correlato, strumenti indispensabili e insostituibili per la pianificazione delle strategie di prevenzione, per la programmazione sociosanitaria e per azioni di contrasto al consumo rischioso e dannoso di alcol nella popolazione. I dati sono stati presentati dall’ Osservatorio nazionale alcol, in occasione della quattordicesima edizione dell’Alcohol Prevention Day.
Secondo i dati diffusi dall’Osservatorio nazionale alcol (Ona) dell’Istituto Superiore di Sanità (Iss) in Italia quasi 8 milioni di persone hanno consumi classificati come rischiosi.
Le nuove evidenze scientifiche hanno permesso di aggiornare, nel corso dell’ultimo anno, i limiti nel consumo di bevande alcoliche. Questi nuovi limiti stabiliscono che, per non incorrere in problemi per la salute, è consigliato non superare mai quantità di alcol definite a minor rischio (lower-risk drinking):
·                     sotto i 18 anni qualunque consumo deve essere evitato
·                     per le donne adulte e per gli anziani (ultra 65enni) il consumo giornaliero non deve superare una Unità alcolica
·                     per gli uomini adulti il consumo giornaliero non deve superare le 2 unità alcoliche al giorno, indipendentemente dal tipo di bevanda consumata.

La motivazione dello sportivo

Matteo SIMONE

Birch e Veroff (1966) hanno individuato sette sistemi di incentivi/motivi che regolano il comportamento degli esseri umani: 

1 affiliazione: opportunità di stabilire relazioni interpersonali significative e di essere confermati nella propria capacità di stare in gruppo e di fare e mantenere amicizie; 
2 potere: opportunità di influenzare e controllare gli altri; 
3 indipendenza: opportunità di fare cose senza l'aiuto di altri; 
4 stress: opportunità di svolgere attività eccitanti; 
5 eccellenza: opportunità di acquisire abilità sportive per il proprio interesse: primeggiare su un altro; 
6 successo: opportunità di acquisire prestigio, approvazione sociale, status e altri rinforzi estrinseci; 
7 aggressività: opportunità di dominare gli altri.

Allenare non è un compito semplice

Allenare non è un compito semplice, occorre che il tecnico sia in grado di miscelare qualità tecniche, tattiche, educative, e comunicative
Un obiettivo importante per gli allenatori è quello di conoscere le motivazioni che hanno determinato e che continuano a mantenere elevato il coinvolgimento degli atleti.
Fattori motivazionali (presenti in giovani praticanti discipline sportive individuali o di squadra): competere, acquisire e migliorare le abilità, sentirsi in forma, far parte di una squadra,. stare con gli amici e farsene di nuovi,  divertirsi, spendere energia.
L’allenatore sportivo dovrebbe essere organizzato in modo da soddisfare il maggior numero delle motivazioni espresse dagli atleti. Compito del tecnico è dare un obiettivo all’atleta che sia impegnativo e nel contempo raggiungibile. L’identificazione degli obiettivi è uno dei punti chiave per stimolare la motivazione e migliorare le prestazioni.
Requisiti e qualità fondamentali dell’allenatore sono considerati la passione, la capacità di relazionarsi, una personalità equilibrata, una sufficiente autostima, l’ascolto.
Come dovrebbe comportarsi un bravo allenatore? Sicuramente dovrebbe manifestare interessamento e vicinanza, apprezzamento, fiducia e incoraggiamento, aiuto per risolvere le difficoltà, concorrere alla formazione di un buon senso di auto-efficacia e di autostima.

Cosa pensano familiari e amici della tua partecipazione a gare estreme?

Matteo Simone 3804337230- 21163@tiscali.it 

I
familiari inizialmente non approvano la passione di un ultramaratoneta che percorre tanti chilometri su strade o sentieri in condizioni atmosferiche difficili, a volte ai limiti della sopravvivenza, ma con il tempo comprendono che l’atleta si dedica a una passione che lo coinvolge e che gli permette di sperimentare benessere.

Gli amici inizialmente considerano l’atleta fuori di se, ai limiti della pazzia, ma con il tempo apprezzano gli aspetti del carattere che gli permettono di sostenere allenamenti e competizioni di lunghissima durata e di difficoltà elevatissima, diventando quasi fieri di essere amici e raccontando in giro le gesta, così a volte sono considerate, dei propri amici atleti, quasi a vantarsi di conoscere gente che fa l’impossibile, extraterrestri.