martedì 1 settembre 2015

Chi fa sport aumenta la propria forza di volontà e la propria autostima

Matteo SIMONE

Chi fa sport aumenta la propria forza di volontà e aumenta la propria autostima, si diventa più forti mentalmente non solo fisicamente.

L’attività fisica tesa al benessere fisico e sociale, non solo quale sport per raggiungere prestazioni eccellenti, non solo sport come performance ma anche come promozione della salute, prevenzione ed aggregazione sociale.
Uno dei compiti dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) è di indicare ai governi centrali e locali soluzioni al problema dell’inattività fisica della popolazione basate su evidenza scientifica e realisticamente perseguibili. Tra i campi di lavoro individuati spicca la promozione dell’esercizio fisico e dello sport nella scuola, nel tempo libero e in altri contesti.

Rafforzare nei giovani la capacità di fronteggiare le pressioni sociali al bere

E’ un campione l’alcolista che attraversa il suo percorso dei 12 passi così come il tossicodipendente che esce dalla sua dipendenza, così come il padre di famiglia che riesce attraverso grandi sacrifici a provvedere ai bisogni dei suoi cari.” Sergio Mazzei, Direttore dell’Istituto Gestalt e Body Work (1)

L’art. 8 della legge 30.3.2001 n. 125 “legge quadro in materia di alcol e problemi alcol correlati” dispone che il Ministro della Salute trasmetta al Parlamento una relazione annuale sugli interventi realizzati ai sensi della stessa legge da predisporre sulla base delle relazioni che le Regioni e Province Autonome sono annualmente tenute a trasmettere al Ministero ai sensi dell’art. 9 comma 2 della legge medesima. La RELAZIONE relativa all’anno 2014 Riporta le seguenti considerazioni.
Il “Global status report on alcohol and health 2014” ovvero “Rapporto Globale su alcol e salute 2014” dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, pubblicato il 12 maggio 2014, fornisce un profilo nazionale sul consumo di alcol in 194 Stati membri della OMS, sull’impatto sulla salute pubblica e suggerisce le scelte politiche che devono essere perseguite.
Il rapporto enuncia che nel 2012 l’uso di alcol ha causato nel mondo 3,3 milioni di morti ovvero il 5,9% di tutti i decessi nonché il 5,1% degli anni di vita persi a causa di malattia, disabilità o morte prematura (Disability Adjusted Life Years, DALYs) attribuibili all’alcol.
La Regione Europea risulta essere l’area del mondo con i più alti livelli di consumo di alcol e di danni alcol correlati.
L’analisi a livello Europeo condotta dall’OECD evidenzia che Lituania, Estonia e Austria hanno il più alto consumo di alcol pro-capite mentre all’estremo opposto troviamo i paesi del sud (Italia, Malta, Grecia, Cipro) che, insieme con alcuni Paesi nordici (Norvegia, Islanda e Svezia) hanno livelli relativamente bassi di consumo di alcol per adulto. Nonostante i cambiamenti emergenti nei modelli di consumo, l’Italia occupa una posizione migliore rispetto a molti Paesi europei, anche di ambito mediterraneo.

lunedì 24 agosto 2015

La corsa è un gesto naturale, lo amo, farà sempre parte della mia quotidianità

Simona Morbelli, un amante della corsa al naturale, per sentieri, per montagne. L’ho conosciuta in occasione del raduno premondiale della nazionale italiana ultratrail, simpatica, sempre solare, di corsa facile e con un completino in gonnella ma veloce in piano, salita e discesa. Simona racconta di se, delle sue passioni prima di conoscere la corsa, delle sue esperienze in gara, motivazioni, passioni, sogni.
Ti puoi definire ultramaratoneta?  “Mi definisco un ultratrailer anche se in queste ultime due stagioni ho scoperto di trovarmi a mio agio anche in altre tipi di gare, i City Trail ad esempio mi divertono e motivano.” A Simona piace divertirsi faticando, è alla scoperta del nuovo per sorprendere gli altri ma anche se stessa, valida e competitiva atleta in grado di dare filo da torcere alle più agguerrite avversarie.
Mi spieghi il City TrailI city Trail come l’Urban Trail a Lione o l’Eco Trail di Parigi, sono corse nelle città e sulle eventuali colline sopra la città, parchi, etc. I dislivelli sono limitati, a Parigi ad esempio, su 80 km vi sono 1750 di dislivello, 70 km sono su percorso sterrato e parchi, l'asfalto l ho incontrato solo gli ultimi km, quelli che servivano per raggiungere il primo piano della Tour Eiffel. Ho fatto questa gara due volte, all'estero sono gare molto sentite ed importanti. Alla partenza non meno di 1500 concorrenti. Normalmente i City Trail sono sono molto nervosi, scale, cavalcavia, strappetti nei parchi, Parigi ha un percorso più fluido senza però consentire mai al l'atleta di annoiarsi."
Cosa significa per te essere ultramaratoneta? Essere un ultratrailer significa non solo amare la corsa in natura ma, nel mio caso, l'essere attratta dalle incognite che quest'ultima riserva, dal meteo alle difficoltà del percorso, alla capacità che ha il proprio corpo ad adattarsi all'imprevisto.” E’ attratta dal difficiele, dalle difficoltà ed a lei piace affrontare percorsi e condizioni ostili ed estreme per vedere ogni volta come se la cava e come ne esce fuori, è come dimostrare a se stessa e agli altri di essere in grado, ri riuscire, di essere capace.
Qual è stato il tuo percorso per  diventare un ultramaratoneta?  “Nasco alpinista (parolone) e scalatrice, ho iniziato a correre casualmente per aumentare la capacità polmonare.” Come tanti altri scopre la corsa per caso e se ne innamora.

La fatica e la paura si possono addomesticare

E’ quello che emerge da interviste ad atleti che partecipano a competizioni estreme che comportano tante ore di gara e di allenamento ed in percorsi e condizioni atmosferiche impervie. La fatica esiste ma si riesce ad addomesticarla, ci si prepara ad andare oltre, ad fare allenamenti sempre più sostenuti nelle diverse condizioni estreme, il fisico e la mente si adatta un po per volta e tutto diventa gestibile e fattibile. La mente aiuta tanto facendo un lavoro di immaginazione nel momento della gara, immaginazione del percorso, della fatica che si farà, di quelo che potrebbe accadere. Ed allora avviene che la preparazione è basata anche su questa immaginazione, l’atleta sa quali sono le parti più difficili da allenare.
Anche la paura di non farcela, dell’ignoto della gara estrema, delle condizioni atmosferica, queste paure si possono addomesticare pensando che tutto ciò che può succedere in allenamento o in gara fa parte della vita e, quindi ad ogni problema c’è almeno una soluzione da poter trovare, il fisico e la mente si adattano alle paure e si scopre che anche nel passato in certe situazioni si è avuto paura ma poi si è riusciti a continuare, ad andare avanti, ed anche aiuta il fatto che altri simili a noi ci sono riusciti ed anche all’inizio era dura per loro oppure anche loro avevano paura ma poi ce l’hanno fatta e così se vogliamo anche noi possiamo riuscire nel raggiungere i nostri obiettivi nello sport e nella vita. Riuscendo in ciò diventano più addomesticabili e gestibili la fatica e la paurta ed allostesso tempo si rafforza la mente, si eleva l’autoefficacia personale e si sviluppa la resilienza.
La paura di non farcela può portare a pensieri negativi e alla successiva ansia. In questi casi è importante focalizzarsi sul respiro, fermarsi ed osservare quello che succede ascoltando il respiro, pian piano il respiro rallenta, si può osservare la diminuzione delle palpitazioni e del tremore delle mani.

Mauro Marchi: sto bene solo quando corro tra le montagne

Mauro Marchi un ultramaratoneta uomo delle montagne, anche a lui ho provato a fare alcune domande per approfondire il mondo delle ultramaratone per portare al termine il mio prossimo libro dal titolo Ultramaratoneti e gare estreme. Ecco l’intervista via email.
Ti puoi definire ultramaratoneta? “Mahh per definizione e per chilometraggio direi di potermi definire tale o almeno ci provo..visto per me il massimo per ora e stato 115km.” Una volta la maratona era considerata una gara estrema, biusognava aspettare anni e anni per pensare di prepararla e portarla a termine prevenendo il cosiddetto muro del 30-35°km, e si pensava di correrla in età  più matira dopo i 30 anni. Ora è tutto più facile, tutti vogliono accorciare i tempi e sperimentarsi da subito in disstanze lunghissime.
Cosa significa per te essere ultramaratoneta? “Ma credo significhi andare oltre...tentare l'oltre cercando un limite proprio forse..io sto provando questo.” Si prova, si sperimenta, si cerca di trovarsi nel bel mezzo di situazioni difficili da superare, da portare a termine, da uscirne fuori.
Qual è stato il tuo percorso per  diventare un ultramaratoneta? “E’ stato un percorso fatto dopo 1 anno di ritorno alle corse in montagna o comunque trail di vario genere..prima le 20/30 poi le 40 e via dicendo ora è il secondo anno in corso di ultra cominciano dei buoni risultati e ci sono programmi di allungare per i prossimi anni futuri un po alla volta...per ora il mio grosso delle gare si aggira tra i 40 e gli 80km.” La gradualità e la sperimentazione è importante, il fisico e la mente devono piano piano abituarsi ad assorbire la fatica e i chilometri percorsi in modo da stabilizzare fisico e mente allo sforzo sempre pi prolungato e gradualmente si arriva a tutto.

venerdì 21 agosto 2015

Non potremmo portare a termine la gara più facile se la nostra testa non vuole (No podríamos terminar la carrera más sencilla si nuestra cabeza no quiere)

L’ultramaratoneta è continuamente alla ricerca di situazioni sfidanti da gestire, superare che poi facciano parte del proprio corredo caratteriale.
L’ultramaratoneta ha scoperto che volendo, si può far tutto, che la passione è un motore potente che riesce a mobilitare le energie occorrenti per portare a termine qualsiasi impresa con qualsiasi condizione, è una sorta di adattamento graduale che ti permette gradualmente di incrementare l’autoefficacia personale e sviluppare la resilienza che ti permette di andare avanti e non fermati per imprevisti o crisi ma avere la capacità di gestire momento per momento con tutte le proprie risorse, capacità personali scoperte nel corso di precedenti competizioni e situazioni.
Ho avuto modo di contattare Miguel Heras Hernandez uno dei corridori di montagna a livello mondiale, al quale ho chiesto di rispondere al questionario per la stesura del libro Ultramaratoneti e gare estreme.
Cosa significa per te essere ultramaratoneta? “Ser un ultramaratoniano significa ser un privilegiado por poder recorrer tantos kilometros como lo puede hacer cualquier animal de fondo. (Essere ultramaratoneta significa essere un privilegiato per essere in grado di correre per molti chilometri come può qualsiasi animale resistente.)”
Qual è stato il tuo percorso per diventare un ultramaratoneta? Mi pasado deportivo estaba ligado al mundo de los raids de aventura con lo cual fue relativamente fácil reconvertirme. (Il mio passato sportivo è stato legato al mondo di raid avventura con cui è stato relativamente facile riconvertirmi.)”

Katia Figini, ultramaratoneta in un deserto a fare 250 km

Matteo Simone

Katia Figini si considera una ultramaratoneta e ci spiega come è stato il suo percorso, le sue motivazioni, la sua passione, attraverso risposte ad alcune mie domande. 

Ti puoi definire ultramaratoneta?Sembra un parolone ma in realtà tutto ciò che supera i 42,195 km è considerato ultramaratona. Perciò si mi considero ultramaratoneta.” 
Cosa significa per te essere ultramaratoneta?Una persona normale che corre un po’ più a lungo di altri.”
Qual è stato il tuo percorso per  diventare ultramaratoneta?Non credo si decida di percorrere lunghe distanze da un giorno all'altro, iniziare a farlo è il frutto di un percorso che ognuno fa. Si inizia con il voler correre un’ora di seguito e poi ci si trova in un deserto a fare 250 km… I ‘casi’ della vita.”

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