martedì 25 novembre 2014

Trauma psichico, un’emozione che incide profondamente sulla personalità del soggetto

Il Grande Dizionario Garzanti della lingua italiana definisce il trauma psichico “un’emozione che incide profondamente sulla personalità del soggetto”. Per il manuale dei disorsini mentali (DSM IV, 1994), il trauma è “Un evento vissuto al di fuori della norma, estremo, violento, lesivo, che minaccia o ferisce l’integrità fisica e psichica di un singolo o di un gruppo di persone; in genere richiede uno sforzo inabituale per essere superato”.
Si può considerare il trauma da due diversi punti di vista: se si considera l’aspetto oggettivo, si valuta prevalentemente la drammaticità intrinseca all’evento.
Esistono eventi come l’abuso o la tortura, per esempio, che sono esperienze dolorose e insostenibili per chiunque le subisce, e che si connotano come esperienze oggettivamente traumatiche;
se si considera la dimensione soggettiva l’attenzione si sposta dall’evento al soggetto dell’evento.
In questo caso è decisivo il modo individuale di elaborare l’evento traumatico.
Non ci sono due persone che provino o manifestino il trauma esattamente allo stesso modo. Quel che risulta nocivo per una persona può essere stimolante per un’altra.
I sintomi dello stress si possono annullare rimuovendo le cause dello stress ed alleviare.
Il trauma, al contrario, è una sostanziale frattura. Ha a che fare con la perdita di contatto con noi stessi, la nostra famiglia e il mondo intorno a noi. Questa perdita è spesso difficile da riconoscere, poiché ha un andamento lento, di lungo periodo.
Il Disturbo Acuto da Stress può essere visto come una categoria preliminare del Disturbo Post-Traumatico da Stress (DPTS), sua potenziale anticamera.
I disturbi principali sono sintomi della serie ansiosa e sintomi di tipo dissociativo che compaiono entro 1 mese dall’esposizione ad un evento stressante.
Una prima descrizione dettagliata del PTSD era stata fatta nel 1861 sui reduci della guerra civile americana i cui dolori toracici e palpitazioni venivano considerati come sintomi di un disturbo cardiaco funzionale, definito come il “cuore del soldato”.
I sintomi ansiosi rilevati nei militari al fronte, durante la prima guerra mondiale, furono definiti “shock da battaglia” (shell shock) e posti in relazione a lesioni del Sistema Nervoso Centrale, ipotesi sostenuta dai neurologi per lungo tempo.
Incubi frequenti, insonnia, soglia dell’aggressività sempre al limite, comportamenti violenti e autodistruttivi.
Sono i primi sintomi di un disturbo successivo a un’esperienza traumatica, e quella della guerra lo è per eccellenza.
E’ la Sindrome da Stress Post Traumatico, meglio conosciuta con l’acronimo inglese PTSD (Post Traumatic Stress Disorder), che può prendere strade diverse:
  • può essere compresa e riassorbita;
  • trasformarsi in depressione o nell’incapacità di tornare alla vita civile;
  • esplodere in rabbia omicida verso la compagna, un familiare, il primo che passa o verso se stessi (secondo molti esperti la stima dei reduci americani che si suicidarono dopo il Vietnam – oltre 60.000 – superò quella dei morti in guerra – 58.000).
Si stima che fino a un milione di veterani militari americani che hanno prestato servizio in Iraq, Afghanistan e Vietnam soffrono di flashback, incubi, paura, rabbia, sensi di colpa, pensieri suicidi e altri sintomi debilitanti di PTSD.
Chi ne soffre non riesce a elaborare i fatti traumatici come ricordi, ma è come se li rivivesse continuamente. Non ripensa a quei momenti, li rivive.
Nei casi più estremi si sentono gli stessi odori e i medesimi rumori di quegli istanti.
Non si è qui e ora, si è di nuovo là.
Nel 1980 la terza edizione del Manuale Diagnostico e statistico dei disturbi mentali (DSM-III), introduce il disturbo da stress post-traumatico: il criterio A specificava che la natura dell’evento doveva essere tale da produrre “significativi sintomi di stress nella maggior parte degli individui”.
Nel 1987 la revisione del DSM-III specifica che l’evento traumatico “esulasse dalle esperienze umani comuni”.
Il DSM-IV prevede, più restrittivamente, che “la persona abbia vissuto, assistito o si sia confrontata con un evento o con eventi che hanno implicato morte, o gravi lesioni, o una minaccia all’integrità fisica propria o di altri” e che “la risposta della persona comprenda paura intensa, sentimenti di impotenza o di orrore”. (riconoscimento di aspetti soggettivi ed individuali) (connotazioni individuali diverse da soggetto a soggetto in grado di scatenare o meno il quadro psicopatologico)
L’esposizione ad uno stressor estremo non costituisce la condizione sufficiente per lo sviluppo del DPTS
Solo una parte dei soggetti esposti a traumi, anche di notevole gravità, sviluppa il PTSD.
Una crescente mole di dati sottolinea, inoltre, l’importanza di fattori di rischio quali predisposizione genetica, familiarità psichiatrica, età all’epoca dell’esposizione allo stressor, tratti di personalità, pregressi disturbi psichiatrici, esposizione a precedenti eventi stressanti, caratteristiche del trauma.
I soggetti affetti da DPTS possono presentare abuso di alcool e di altre droghe come tentativo di automedicazione per mitigare i sintomi e dimenticare il trauma, ed elevato rischio di comportamenti suicidari.
Taluni possono manifestare sentimenti di colpa per essere sopravvissuti ad eventi catastrofici in cui altre persone, soprattutto parenti o amici, hanno perso la vita.
Secondo il National Institute of Mental Health (NIMH) americano, caratteristica del PTSD è il fatto che la vittima rivive ripetutamente l’esperienza traumatizzante sotto forma di flashback, ricordi, incubi o in occasione di anniversari e commemorazioni.
Le persone affette da PTSD manifestano difficoltà al controllo delle emozioni, irritabilità, rabbia improvvisa o confusione emotiva, depressione e ansia, insonnia, ma anche la determinazione a evitare qualunque atto che li costringa a ricordare l’evento traumatico.
Un altro sintomo molto diffuso è il senso di colpa, per essere sopravvissuti o non aver potuto salvare altri individui. Dal punto di vista più prettamente fisico, alcuni sintomi sono dolori al torace, capogiri, problemi gastrointestinali, emicranie, indebolimento del sistema immunitario.
La diagnosi di PTSD arriva quando, sempre secondo il NIMH, il paziente presenta i sintomi caratteristici per un periodo di oltre un mese dall’evento che li ha causati.
Le scale diagnostiche, per lo più costruite facendo riferimento al DSM, permettono di formulare la diagnosi di DPTS, valutando la frequenza e la gravità di ciascun sintomo, l’impatto sulla vita sociale e lavorativa, la gravità complessiva del disturbo.
L’uso delle scale sintomatologiche è finalizzato fondamentalmente alla valutazione della gravità riferita ai singoli sintomi e della gravità globale del disturbo; in nessun caso, però, possono essere impiegate per la formulazione della diagnosi.
Quando il soggetto (soldato o civile) affetto da PTSD non trova riconoscimento e accoglimento del danno subito, possono essere messi in atto alcuni comportamenti per così dire di “autocura”, che hanno lo scopo di aumentare la tolleranza sia allo stress subito, sia agli stressor successivi. Tra questi comportamenti il più importante e pericoloso a livello sia clinico che sociale é quello dell’assunzione di droghe e alcoolici.
Un aspetto importante sarebbe la consapevolezza che le vittime e le persone più ampiamente coinvolte in un evento traumatico devono avere del PTSD. Il trattamento deve quindi partire da una fase di educazione e di informazione dei superstiti e delle loro famiglie sulla possibilità e sulle modalità di sviluppo del PTSD. Riconoscere i sintomi nelle settimane successive, e agire rapidamente per gestirli e trattarli è una componente che influenza fortemente il successo del trattamento.
La maggior parte degli studi sottolineano l’importanza dell’utilizzo di terapie integrate, ovvero dell’abbinamento di terapie psicofarmacologiche e di psicoterapia. In particolare, una recente review del British Medical Journal, riassume i trattamenti psicoterapeutici utilizzabili per il DPTS in tre principali gruppi: i trattamenti di stampo cognitivo-comportamentale o puramente cognitivo, l’EMDR, la terapia psicofarmacologica.
L’Eye movement Desensitization and Reprocessing (EMDR) è il trattamento più efficace per disturbo di stress acuto e PTSD. La focalizzazione dell’EMDR è sul ricordo dell’esperienza o esperienze traumatiche che hanno contribuito a sviluppare la patologia o il disagio che presenta il paziente. Si tratta di una metodologia che utilizza i movimenti oculari o altre forme di stimolazione ritmica destro- sinistra per trattare disturbi legati ad esperienze passate o a disagi presenti dei soggetti.
La desensibilizzazione e il cambiamento di prospettiva osservabili durante una seduta di EMDR riflettono l’elaborazione del ricordo dell’esperienza traumatica e quindi si osserva che il paziente per la prima volta “vede” il ricordo lontano, distante, eliminando le sensazioni fisiche disturbanti.
Negli usa cani per combattere i disturbi dei veterani di guerra. La pet therapy si è dimostrata la cura migliore per la sindrome da stress post-traumatico.
Gli Stati Uniti d’America hanno sempre avuto qualche guerra da combattere e, dopo ognuna di esse, hanno dovuto fare i conti con la difficile gestione dei veterani. Il disturbo da stress post-traumatico (PTSD) è una malattia che, negli anni, ha colpito molti di loro: causato dallo stress della guerra, può portare a diversi problemi nella vita comune e, nei casi più gravi, al suicidio.
Per combatterlo, il Department of Veterans Affairs ha iniziato ad utilizzare in maniera massiccia la pet therapy, affiancando cani, prelevati dai canili e addestrati da una specifica squadra K9, ai reduci di guerra. Questo perché il cane è in grado di leggere e addirittura anticipare uno stato depressivo nel proprio padrone. Ad esempio, durante la notte, possono svegliare l’ex soldato se avvertono l’arrivo di un incubo o di un momento di tensione. Se il veterano soffre di agorafobia, la paura degli spazi aperti, camminare con il cane aiuterà a superarla. Le carezze, infine, sono la migliore terapia per superare ansie e paure.
I primi risultati dimostrano che l’utilizzo della pet therapy ha drasticamente ridotto il numero dei suicidi e per questa ragione il Department of Veterans Affairs ha deciso di allargare il numero di cani della sezione K9. 
Nell’aprile del 2013 la rivista Journal of Traumatic Stress ha pubblicato una ricerca che mostra come i rifugiati del Congo con sintomi gravi di PTSD (in seguito a stupri o altre forme di violenza della guerra) dopo 30 giorni di pratica della meditazione trascendentale erano completamente privi di sintomi di PTSD. Il miglioramento si era stabilizzato dopo 4 mesi e mezzo. Il gruppo di controllo non mostrava miglioramenti.
Una ricerca condotta sui veterani di guerra dell’Iraq ha mostrato una riduzione del 50% del PTSD e della depressione dopo sole 8 settimane di pratica della Meditazione Trascendentale.
( Transcendental Meditation in the Treatment of Post-Vietnam Adjustment, Journal of Counseling & Development, Volume 64, Issue 3, pages 212–215, November 1985).
Lo stress provoca una diminuzione della la serotonina. La mancanza di serotonina è associata a emicrania, disturbi del sonno, ansia, scoppi di rabbia. Si può cercare di controllare la serotonina artificialmente (come fanno gli antidepressivi), ma questo influenza solo i sintomi, non il vero problema in sé
L’esperienza di trascendere, invece, attiva la capacità di guarigione del nostro corpo. Il risultato? Un aumento completamente naturale della produzione della serotonina durante la pratica della Meditazione Trascendentale e, in seguito, anche nel resto della giornata.

Psicologo Psicoterapeuta
380-4337230

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Ho subito vari traumi nel corso della mia esistenza, di cui l'ultimo è stato un mobbing lavorativo durato oltre 10 anni! non riuscendo a trovare una via di uscita, ho ridiretto l'aggressività verso il mio corpo e mi sono ammalata di una malattia reumatica autoimmune. Alla fine la soluzione è stata quella di lasciare il lavoro, giustificata anche dalla mia malattia e con il beneplacido del datore di lavoro! In realtà credo che l'andamento della mia vita sia stato sempre condizionato da una scarsa autostima di fondo e quindi da una grande insicurezza che hanno radici profonde nella mia infanzia e che ovviamente sono state ulteriormente alimentate dall'abbandono del lavoro, vissuto non solo come l'unica via di uscita ma anche come una sconfitta. E la mia resilienza?

Matteo Simone ha detto...

La resilienza si può svilupparla un pochetto con l'aiuto di una persona che aiuti, da una parte ad elaborae traumi antichi e peggiori, per esempio un metodo che si chiama Eye Movemente Desenzitation and Reprocessing che permette l'eleborazione di informazioni collegate ad eventi disturbanti ed alla desensibilizzazione delle stesse informazioni disfuzionali che continuano a far star male. Dall'altra parte è importante un lavoro sullo sviluppo dell'autoefficacia, un lavoro sullo sviluppo delle risorse personali. E' un lavoro complesso ma si può fare gradualmente.

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