Tutti noi, in un particolare momento della
nostra vita, o per tutta la vita intera, aspiriamo a trovare noi stessi e
questa ricerca ci riempie di ansia: vorremmo pervenire a quella consapevolezza
di sé che permette alla personalità di realizzarsi
completamente e di vivere, allora, realmente, quelle ore, quei giorni,
quegli anni che vengono di solito sciupati nella banalità quotidiana d’una
esistenza “d’ordinaria amminisatrazione”. Come moderni Siddharta ci accostiamo
a nuovi modi di pensare, ci tuffiamo nelle nostre passioni, fuggiamo dai dolori
o siamo ciechi ad essi e a noi stessi, ma tutto con il fine ultimo di vivere
una vita felice e serena.
Affronterò in questa sede un approfondimento di questa consapevolezza
attingendo a piene mani dalla ricerca psicologica sulla personalità degli
individui, uno dei tasselli, a mio avviso, utili per poter capire meglio chi
siamo e quali potenzialità si nascondono in noi.
Intendo
sottolineare il carattere puramente descrittivo del presente lavoro in quanto
la vastità dell’argomento trattato non permette di essere esaustivo.
La
personalità
Che cos’è la personalità? La sua
definizione da manuale la descrive come l’insieme di caratteristiche psichiche
e modalità di comportamento che, nella loro integrazione, costituiscono il
nucleo irriducibile di un individuo che rimane tale nella molteplicità e
diversità delle situazioni ambientali in cui si esprime e si trova ad operare.
Chiunque si sia avvicinato allo studio
della psiche, in tutte le sue forme, non ha potuto fare a meno di chiedersi
cosa sia effettivamente la personalità, come essa si forma e si sviluppa nel
tempo e come sia possibile renderla oggetto di studio scientifico, quantitativo
e qualitativo. La storia dello studio della personalità è davvero piena di
intuizioni e contro-intuizioni: essa è stata sezionata e analizzata da miriadi
di punti di vista diversi ed è ancora oggi oggetto di controversie tra i
diversi esperti del settore.
Nella
storia della psicologia, il termine personalità è stato preceduto dal termine
temperamento al quale poi si è sostituito il termine tipologia e carattere. In
questa successione è leggibile un graduale trapasso da una concezione
“fisiologica” a una sempre più “psicologica”, dove l’individuo è considerato in
termini più globali e complessi di quanto non sia la sua semplice dipendenza
dai fattori somatico-funzionali.
Cercherò adesso di far comprendere in maniera
globale cosa si intende per personalità e quali differenze ci sono nelle
diverse terminologie utilizzate per racchiuderne il concetto.
Il temperamento e le tipologie di carattere
somatico - costituzionale
I primi a interessarsi a questo studio
dell’uomo furono Ippocrate e successivamente Galeno, che, parlando di
temperamento facevano dipendere l’indole di un individuo dalla prevalenza di un
“umore” rispetto ad un altro. Balza subito agli occhi che questo tipo di
approccio considerava i tratti emotivi di personalità in stretta correlazione
da un lato con i costituenti fisiologici di natura soprattutto endocrina e
dall’altro lato con la configurazione tipologico-costituzionale[1].
1.
Galeno
distinse le diverse personalità in: sanguigni,
flemmatici, collerici e melanconici, a seconda del prevalere nel sangue del
flegma, della bile gialla e della bile nera; questa distinzione ha percorso i
secoli lasciando una sua traccia anche nel linguaggio popolare.
2.
Kretschmer
stabilì una correlazione fra indici morfologici del corpo umano (fenotipo) e
determinate caratteristiche della personalità che valgono sia per individui
normali, sia per psicotici con differenze solo quantitative. I tipi sono
quattro di cui tre fondamentali e uno accessorio: il tipo picnico caratterizzato sul piano somatico da rotondità di contorni,
ampiezza della cavità del corpo, abbondanti depositi di grasso, e sul piano
psicologico da una predisposizione ciclotimica con fasi maniacali e depressive;
il tipo leptosomico o astenico
caratterizzato sul piano somatico dalla predominanza delle misure verticali, e
sul piano psicologico da una disposizione schizotimia; il tipo atletico caratterizzato sul piano
somatico da una disposizione viscosa con lentezza di pensiero, perseverazione e
irritabilità; il tipo displastico,
predisposto all’epilessia e con molte varietà dismorfiche.
3.
Scheldon
introduce una tipologia costruita a partire da un sistema morfologico a tre
dimensioni che corrispondono ad altrettanti stadi evolutivi dei tessuti
derivanti dai tre foglietti embrionali: ectoderma, mesoderma e endoderma. All’ectomorfismo corrisponde il tipo cerebrotonico dove prevale la
razionalità con tratti di ipersensibilità, tendenza alla solitudine e alla vita
interiore; al mesomorfismo
corrisponde il tipo somatotonico con
tratti di dinamismo, facilità nei rapporti sociali e tendenza all’esercizio
fisico; all’endomorfismo corrisponde
il tipo viscerotonico dove prevale
l’affettività con tratti di passività, socievolezza e tendenza alla vita
sedentaria.
4.
Pende
descrisse una varietà di tipi psicologici a partire dal difetto o dall’eccesso
di funzionamento delle ghiandole endocrine, con conseguenti effetti sulla
costituzione fisica e sulla disposizione psicologica. Tali sono il tipo ipertiroideo contrapposto al tipo ipotiroideo distinto per l’eccesso o il
difetto della secrezione della tiroide; il tipo iperpituitarico e ipopituitarico
differenziati dallo sviluppo eccessivo o insufficiente dell’ipofisi; con lo
stesso criterio distingue l’ipertimico
dall’ipotimico; l’ipersurrenalico dall’iposurrenalico e così di seguito a
partire da tutti i centri di secrezione ormonale.
Jung,
tipologie psicologiche e il criterio fenomenologico-intuitivo delle scienze
dello spirito
Lo studioso noto a tutti come Jung cercò
invece di avvicinarsi a questo concetto correlandolo con quello di
atteggiamento. Egli scrive: “avere un atteggiamento significa: essere pronto
per una determinata cosa, anche se questa determinata cosa è inconscia, giacché
avere un atteggiamento equivale ad avere una direzione aprioristica verso una
cosa determinata, sia essa aprioristica o no”. Dopo aver introdotto il concetto
di atteggiamento, Jung continua differenziando l’atteggiamento estroverso e l’atteggiamento introverso: “Il primo si orienta in base
ai fatti esterni così come sono dati, l’altro si riserva un’opinione che si
interpone tra lui e la realtà obiettiva”. L’estroverso si orienta in base ai
dati oggettivi, mentre l’introverso in base alla risonanza soggettiva che gli
stessi dati producono. Questi due tipi di atteggiamenti si combinano con le
quattro funzioni previste da Jung –
pensiero, sentimento, sensazione e intuizione – generando otto tipi
psicologici. Il pensiero e il sentimento sono detti razionali perché precedono
rispettivamente per “valutazioni” di ordine mentale e affettivo, mentre la
sensazione e l’intuizione procedono per “percezioni” che si riferiscono
rispettivamente a ciò che è immediatamente presente e ciò che l’immediatamente
presente lascia presagire.
Esiste quindi una sostanziale differenza
tra questo criterio di valutazione della personalità e quello
somatico-funzionale. La tipologia fisiologica mira anzitutto alla definizione
di contrassegni fisici esteriori che si estendono fino ai condizionamenti
psicologici e grazie ai quali è possibile classificare gli individui. La
tipologia psicologica procede fondamentalmente nello stesso modo, ma il suo
punto di partenza si trova non fuori dall’individuo, ma dentro. Per questo
motivo, anche i criteri di indagine risultano diversi: la tipologia fisiologica
può applicare una metodologia propria delle scienze naturali; l’assenza di
visibilità e misurabilità dei processi psichici impone, invece, una metodologia
che sia propria delle scienze dello spirito, cioè a una metodologia di tipo analitico.
Seguendo lo stesso criterio utilizzato da
Jung, possiamo rintracciare le seguenti distinzioni della personalità:
- Von Schiller distingue, all’interno del rapporto poetico, l’atteggiamento spontaneo dove il poeta segue, con semplicità, natura e sensazione, limitandosi alla mera imitazione della realtà; e l’atteggiamento sentimentale dove il poeta riflette sull’impressione che gli oggetti fanno di lui, e solo su questa riflessione è fondata la commozione nella quale egli stesso è trasferito e trasferisce noi. Balza subito agli occhi la sovrapposizione tra questi due atteggiamenti e il concetto di estroverso e introverso di Jung.
- F. Nietzsche introduce la distinzione tra apollineo e dionisiaco: attraverso questa dicotomia si sottolinea il contrasto tra l’elemento armonico formale e luminoso rappresentato da Apollo, e quello oscuro, estatico e creativo rappresentato da Dionisio. Egli scrive: “Dal substrato dionisiaco del mondo può passare nella coscienza dell’individuo solo esattamente quello che può essere poi di nuovo superato dalla forza di trasfigurazione apollinea, sicché questi due istinti artistici sono costretti a sviluppare le loro forze in stretta proporzione reciproca, secondo la legge dell’eterna giustizia. Dove le forze dionisiache si levano così impetuosamente come noi possiamo sperimentare, là deve essere disceso fino a noi, avvolto in una nube, Apollo”.
- W. Dilthey classifica gli individui in tre tipi psicologici a cui riconduce altrettante visioni del mondo: il tipo naturalistico-materialista, il tipo idealistico-oggettivo, il tipo idealistico-libertario.
Il
carattere
Come abbiamo sopra accennato, il termine temperamento fu successivamente
sostituito dal termine carattere con
il quale si indicava una configurazione relativamente permanente di un
individuo a cui ricondurre gli aspetti abituali e tipici del suo comportamento
che appaiono tra loro integrati sia nel senso intrapsichico che in quello
interpersonale. Il termine carattere, che dal greco letteralmente significa
incisione, acquistò una sua autonomia quando all’ipotesi della dipendenza
fisiologica del comportamento fu accostata una strumentazione più
“psicologica”, grazie agli studi fenomenologico-intuitivi, dove l’impianto
categoriale è mediato dalle scienze dello spirito, e agli studi psicoanalitici,
dove il carattere è mediato dagli studi psicodinamici.
- L’impostazione fenomenologico-intuitivo.
Rifacendosi
alla stessa impostazione Fenomenologia-Intuitiva, ma utilizzando il termine
“carattere” anziché tipologia, ritroviamo la distinzione operata da Klages tra
caratteri dominati dagli istinti,
quindi dall’attrazione esercitata dalle immagini del mondo sul soggetto; e
caratteri dominati dagli interessi
che presuppongono invece una coscienza e un Io sviluppati.
Remplein distingue invece i caratteri forti, con un senso di sé stabile e con
notevole perseveranza delle persuasioni; e il carattere debole, con scarso senso di sé e labilità di convinzioni.
Ancora troviamo Jasper secondo cui il
carattere è l’aspetto “comprensibile” di quel nucleo “incomprensibile” in cui è
racchiusa l’essenza dell’individuo. Egli scrive che “Il carattere che possiamo
avere compreso non è ciò che l’uomo è veramente, ma una manifestazione empirica
sempre aperta a nuove possibilità. Ciò che l’uomo stesso è, è la sua esistenza
di fronte alla trascendenza, ed entrambe queste cose non sono oggetto di
conoscenza indagatrice. L’esistenza non è afferrabile come carattere, ma appare
attraverso i caratteri che, in quanto tali, non sono definiti”.
K.
Jaspers, poi, rifacendosi alla classificazione propria del metodo delle scienze
dello spirito, che tenta di stabilire una connessione tra la creazione
culturale e la modalità psicologica con cui l’individuo vede il mondo, divide i
soggetti in quelli con atteggiamento oggettivo, autoriflessivo ed entusiastico,
a cui corrisponde un’immagine del mondo spazio-sensoriale, psichico culturale e
metafisico.
Infine, ricordiamo Binswanger che opera
una distinzione tra i caratteri sulla base dell’arresto della progettualità
orientata verso il futuro del soggetto, per cui si avrà il melanconico tutto raccolto nel passato e il maniaco incapace di sporgere dal presente assunto come tempo
assoluto.
- L’impostazione psicoanalitica classica.
Inizialmente
Freud, e successivamente Abraham tentarono una correlazione tra i tratti del
carattere e certe zone del corpo a loro volta correlate a certe componenti
sessuali: fattori costituzionali e psicoreattivi favorirebbero l’emergenza di
punti di fissazione che andrebbero poi ad influenzare il carattere.
Il
carattere orale veniva così
contraddistinto da una fissazione della libido nella fase orale dove
l’esperienza gratificante o frustrante nel rapporto con il seno materno
risulterà decisiva per la modalità pessimistica o ottimistica nell’affrontare
il mondo con fiducia o apprensione, con tolleranza o intolleranza alle
frustrazioni.
Il
carattere anale connesso al controllo
degli sfinteri, determina tratti che Freud definisce “ordinati, parsimoniosi e
ostinati”. Abraham collega queste caratteristiche alla fissazione sul momento
ritentivo delle feci, perché una fissazione sul momento espulsivo genera
caratteri generosi e ambiziosi.
Il
carattere fallico presenta componenti
narcisistiche con una sessualità orientata alla dimostrazione di potenza, quindi
con tratti di temerarietà, grande risolutezza e sicurezza di sé.
Il
carattere genitale è descritto da
Freud come un modello ipotetico a cui si dovrebbe giungere dopo essersi
liberati da ogni dipendenza infantile e aver conseguito quel livello in grado
di comporre il proprio soddisfacimento con il soddisfacimento altrui, per un
equilibrio raggiunto tra autonomia ed eteronomia.
In seguito Freud elaborò un’ulteriore
distinzione tra sintomi nevrotici[2]
e tratti del carattere: i primi scaturiscono da un insuccesso della rimozione,
i secondi dal suo successo e quindi dai meccanismi di difesa. I casi limite di
questa alternativa sono rappresentati dal carattere isterico che presenta labilità emotiva, comportamento
imprevedibile, forte suggestionabilità, tendenza a scambiare la fantasia con la
realtà, e dal carattere ossessivo
dove i meccanismi di difesa, che hanno svolto ottimamente il proprio lavoro,
determinano un individuo controllato, guardingo, poco spontaneo e con un tratto
costante di rigidità.
In
questo contesto si inserisce la nozione di nevrosi
del carattere dove il conflitto psichico non si traduce in sintomi
nettamente isolabili, ma in un’organizzazione patologica dell’intera
personalità dove è il carattere stesso a risultare una formazione difensiva
volta a proteggere l’individuo non solo contro la minaccia pulsionale, ma anche
contro la comparsa di sintomi. Rispetto al sintomo nevrotico, la nevrosi del
carattere si distingue per l’integrazione del meccanismo di difesa nell’Io.
Ancora in seguito Freud precisa i rapporti
fra Io e carattere in base ai fenomeni di identificazione con le figure
parentali e interiorizzazione dei loro divieti. In questo ambito diventano
decisivi per la formazione del carattere i processi di introiezione con conseguente formazione di un Io ideale e di un
Super-Io, e di identificazione con lo
sviluppo dei vari ruoli intrafamiliari e sociali.
- Le teorie relazionali.
Gli
sviluppi della psicoanalisi hanno spostato il punto di partenza della
costruzione del carattere dall’individuo
alla relazione.
La formazione del carattere su base
introiettiva con percezione da parte del bambino delle componenti buone o
cattive dell’oggetto è stata analizzata dalla Klein, che parte dalla relazione
madre-bambino per tratteggiare la posizione schizoparanoide
e la posizione depressiva che,
pur evidenziandosi nei primi mesi di vita, possono rintracciarsi in età adulta
come posizioni caratteriali.
Karen Horney invece, pone l’accento sui
conflitti tra l’individuo e l’ambiente, tra il bisogno di una dipendenza
passiva e la difesa da una società ostile. Il suo concetto fondamentale è
quello di “ansia di base” prodotta da tutto ciò che disturba la sicurezza del
fanciullo nei rapporti con i suoi genitori, a cui il bambino reagisce con
atteggiamenti diversi, come l’ostilità, la sottomissione o l’evasione, che
possono diventare stabili.
Le
diverse teorie di personalità
Dagli anni Trenta in poi, al termine
carattere si preferisce il termine personalità
di volta in volta definita in base ai criteri adottati, e perciò descrivibile
in modo oggettivo. Il limite che separa il carattere dalla personalità dipende
dalla convenzione scientifica e non riposa su un criterio oggettivo, come
risulta anche dal fatto che grandi aree psicologiche e psicopatologiche usano i
termini “carattere”, “personalità” e, talvolta, “tipo psicologico[3]”,
come intercambiabili.
- Le teorie fattoriali.
Chi
ha apportato un contributo diverso alla ricerca dell’essenza della personalità
sono stati i teorici dell’analisi
fattoriale tra cui ricordiamo Cattell ed Eysenck.
Cattell
stabilisce che la personalità è ciò che consente di predire quel che un
individuo farà in una situazione definita a partire dai suoi tratti che sono le sue strutture mentali
e che hanno anche una base biologica. Accanto ai tratti di superficie, che sono un gruppo di variabili correlate di scarso
interesse perché instabili e variabili da individuo ad individuo, esistono
tratti di origine che si ottengono
con procedimenti più complessi, ma che sono più utili per la predizione perché
più stabili. Tali sono i tratti comuni,
come i tratti di capacità, di temperamento e di dinamismo, e i tratti unici, come quelli patologici.
Eysenck,
partendo invece dal presupposto che è necessario impostare lo studio della
personalità in termini di dimensioni
o unità di comportamento determinabili e misurabili, definisce la personalità
come “la somma totale degli schemi di condotta dell’organismo attuali e
potenziali, ereditari e acquisiti. Essa si origina e si sviluppa attraverso
l’interazione funzionale dei quattro settori principali nei quali sono
organizzati questi schemi di condotta: il settore cognitivo (intelligenza), donativo
(carattere), affettivo
(temperamento), somatico
(costitutizione)”.
- Le teorie olistica.
Sono
teorie che sottolineano l’aspetto unitario della personalità nel suo momento
biologico e psicologico. Il massimo esponente di questa teoria, Goldstein,
affermava che “la legge del tutto governa il funzionamento delle parti e
pertanto è più utile studiare clinicamente e integralmente una persona che non
esaminare in molti soggetti una funzione psichica isolata”.
Un
altro esponente di questo filone, Maslow, considera la personalità come un
insieme di bisogni di base, distinti in bisogni fisiologici come la fame e la
sete, bisogni di sicurezza e di appartenenza, bisogni d’amore, cognitive ed
estetici.
- Le teorie oggettivistiche.
Sono
teorie promosse dall’esigenza di fondare le proprie teorizzazioni a partire da
osservazioni empiriche controllabili sperimentalmente. Rientrano in questa
corrente la scuola riflessologica russa
di Ivan Pavlov e il comportamentismo
americano di James Watson, Miller e Dollard.
- Altre teorie.
Ancora
accenniamo la teoria del Sé di Rogers; la teoria marxista della personalità di Sevè; la teoria dei costrutti di personalità di Kelly; la teoria biosociale di Murphy; la personologia di Murray; la teoria del campo di Lewin;la teoria funzionalista di Allport; la teoria pragmatico relazionale di
Watzlawick e Bateson; la teoria dell’apprendimento
sociale di Rotter; le teorie
psicosociali di Reich e Sullivan; e tante altre ancora di minore portata.
Intermezzo
Come è possibile constatare, la
letteratura in merito è così ampia che anziché dare un contributo per la
scoperta e la consapevolezza di sé, più che altro si ha un senso di smarrimento
e confusione che alimenta ancora di più i dubbi e non ci permette di
avvicinarci alla verità.
Come
in molte altre questioni psicologiche, a causa del particolarissimo oggetto di
studio, non si può arrivare all’unanimità del responso, alla veridicità
assoluta; anzi tutto e il contrario di tutto sembrano andare di pari passo e
con questo non voglio dire che c’è qualche studioso ciarlatano e qualcun altro
che ha ragione, né che ci siano stati degli imbroglioni e dei detentori della
ragione. Tutti gli uomini che hanno contribuito alla nascita di queste teorie
nel profondo del cuore le accettavano e ci credevano realmente, si sono battute
per esse e hanno fatto di tutto per convincere altri proseliti alla loro causa.
Per
noi fruitori passivi, la scelta di quale sia la migliore dipende solamente da
quale teoria una persona ha conosciuto o approfondito in un determinato periodo
della propria esistenza, quale gli si avvicina di più in quanto a modo di
pensare e quanto uno è riuscito a riscontrare nella realtà delle cose e per
questo motivo si è convertito.
E qui giungiamo al nocciolo del trattato.
Nella mia breve formazione ho avuto modo di conoscere e approfondire alcune di
quelle teorie esposte sopra, e una in particolare mi è rimasta più a cuore in
quanto è riuscita a darmi una chiave per poter accedere ad un percorso di
conoscenza individuale in maniera più consapevole. Mi riferisco alla teoria
dell’ENNEAGRAMMA di Claudio Naranjo, che qui mi accingerò ad esporre in maniera
generale, soffermandomi soprattutto sull’eziologia che provoca la formazione
dei nove tipi di personalità che compongono la struttura di questa teoria.
Questo
perché è mia opinione personale che per conoscere davvero sé stessi dobbiamo
conoscere tre punti fondamentali: “Da dove veniamo”; “Chi siamo nel qui ed
ora”; “Quali sono tutte le nostre potenzialità”.
L’enneagramma:
la personalità e la nevrosi
Se la coscienza non si fosse mai scissa
dall’incosciente
– evento
simbolizzato dalla caduta degli angeli,
e che eternamente si ripete –
questo
problema non sarebbe mai nato,
come non sarebbe mai nata
la questione dell’adattamento alle condizioni
dell’ambiente,
Carl Gustav Jung - 1927
Rifacendosi alla teoria dello sviluppo del
carattere proposto da Karen Horney, Naranjo delinea una sua teoria della
nevrosi e del carattere.
La
“teoria della nevrosi” proposta dall’autore cileno è basata su un presupposto:
il degrado della coscienza.
Questa
degrado è tale che l’individuo che ne è colpito ignora che le cose stanno
diversamente, cioè ignora che è avvenuta una perdita, una limitazione, che è
sopraggiunta un’impossibilità di sviluppare tutte le proprie potenzialità. Il
degrado della coscienza è tale che la consapevolezza diventa cieca alla propria
stessa cecità, e talmente limitata da credersi libera.
Questo
concetto nelle religioni passa come “la caduta dall’Eden”: ma la “caduta” non è
soltanto questo; è anche, al tempo stesso, un degrado della vita emotiva, un
degrado della qualità delle motivazioni che ci spingono ad agire.
L’essere umano nel pieno delle sue
funzioni è motivato dall’abbondanza, mentre in condizioni non ottimali le
motivazioni sono all’insegna della “carenza”: una qualità definibile come il
desiderio di colmare un vuoto, piuttosto che il fluire di una soddisfazione di
fondo.
Gli
psicoanalisti moderni, quali Fairbairn e Winnicott, concordano nell’affermare
che l’origine della nevrosi va cercata in una funzione materna imperfetta e, in
termini più generali in certi problemi della funzione genitoriale.
Oggi
si dà più importanza alla mancanza d’amore che non all’idea di una frustrazione
istintuale, o per lo meno si dà più importanza alla frustrazione del bisogno di
contatto e rapporto che non alle manifestazioni della sessualità pregenitale e
genitale. In ogni caso, Freud ha avuto il grande merito di comprendere che la
nevrosi era un fenomeno pressoché universale, e che si trasmette di generazione
in generazione con l’espletamento della funzione genitoriale.
L’autore
non concorda sul fatto che la funzione materna sia tutto; anche la funzione
paterna è importante, ed eventi successivi possono aver influito sul nostro
sviluppo futuro, come risulta evidente dalle nevrosi traumatiche di guerra.
Anche eventi precoci, come la durata del trauma della nascita, possono avere effetti
debilitanti sull’individuo.
Diciamo che il nostro modo di vivere in
questo “basso” mondo dopo la cacciata dall’Eden (cioè la personalità con cui ci
identifichiamo e cui implicitamente facciamo riferimento quando diciamo “io”) è
un modo di essere che abbiamo adottato per difendere noi stessi e il nostro
benessere grazie ad un “adattamento”, in senso lato, che in genere si tinge più
di ribellione che di accettazione.
Per
reagire alla mancanza di ciò di cui aveva bisogno, il bambino è dovuto
ricorrere alla manipolazione, e quindi, da questo punto di vista, possiamo dire
che il carattere è un apparato di contro manipolazione.
Così stando le cose, dunque, la vita non è
guidata dall’istinto, ma dal perdurare di una precoce strategia adattiva che
lotta contro l’istinto e interferisce con la “saggezza” dell’organismo nel
senso più ampio del termine. Il perdurare di questa precoce strategia adattiva
può essere compreso alla luce del contesto doloroso in cui essa ha avuto
origine, e del particolare tipo di apprendimento che la alimenta: non quello
che l’organismo in evoluzione assimila in maniera gratuita, ma un apprendimento
sotto coercizione, caratterizzato da una speciale fissità o rigidità del comportamento
adottato all’inizio come reazione di emergenza. Diciamo quindi che l’individuo
non è più libero di scegliere se applicare o no i risultati del nuovo apprendimento,
ma che è andato in “automatico”, avviando una serie di reazioni senza ‘consultare’
la mente nella sua totalità, o senza considerare la situazione in maniera
creativa. La fissità di tali risposte obsolete e la perdita della capacità di
reagire
in
maniera creativa al presente sono tipiche del funzionamento psicopatologico.
L’enneagramma: il carattere
Alla somma complessiva degli apprendimenti
pseudo adattivi ora descritti le tradizioni spirituali danno in genere il nome
di “Io” o “personalità” (diverso dall’“essenza”, o “anima”, della persona) ma
Naranjo ritiene assai appropriato denominarla anche “carattere”. La parola
carattere deriva dal greco e significa scolpire: carattere si riferisce a ciò
che rimane costante nella persona, perché le si è
scolpito dentro,
e quindi ai condizionamenti comportamentali, emotivi e cognitivi.
Mentre nella
psicoanalisi il modello fondamentale della nevrosi è quello di una vita
istintuale delimitata dall’attività di un Super-Io interiorizzato dal mondo
esterno, Naranjo avanza l’ipotesi che il nostro conflitto di base, e il modo
fondamentale di essere in disaccordo con noi stessi, nascano da un’interferenza
con l’autoregolazione dell’organismo attraverso il carattere. È all’interno del
carattere, come parte di esso, che noi possiamo trovare un Super-Io dotato di
valori e di richieste propri, e anche un contro Super-Io (un underdog,
come lo chiama Fritz Perls), che è fatto oggetto delle richieste e delle accuse
del Super-Io e che implora di essere accettato. È in questo underdog che
troviamo il referente fenomenologico dell’Es freudiano, anche se è discutibile
definire istintuali le pulsioni che lo animano. Perciò, non è solo l’istinto ad
essere oggetto dell’inibizione, come risultato del rifiuto di sé radicato in
noi e del desiderio di essere diversi da quelli che siamo: lo sono anche i
nostri bisogni nevrotici. Le varie forme di motivazione da carenza, che
l’autore chiama “passioni”, ci sono interdette sia nel loro aspetto di
desiderio sia in quello di odio.
Si può
descrivere il carattere come un insieme di tratti, e cercare di capire in che
modo ciascuno di essi abbia avuto origine, se come identificazione con una
caratteristica di uno dei genitori, o al contrario, come desiderio di non
assomigliargli sotto quell’aspetto particolare. (Molti degli aspetti che ci
caratterizzano corrispondono all’identificazione con uno dei genitori e al
tempo stesso sono un atto di ribellione contro la caratteristica opposta
dell’altro).
Il nucleo fondamentale del carattere così
come viene formulato in questa teoria ha una duplice natura: c’è un aspetto
motivazionale che interagisce con una tendenza cognitiva, una “passione”
associata ad una “fissazione”. Se raffiguriamo la posizione della passione
dominante e di uno stile cognitivo all’interno della personalità, i due punti
focali di un ellissi, possiamo ampliare quanto abbiamo detto sul carattere come
contrapposto alla natura, definendo più in particolare questo processo come un’interferenza
della passione con l’istinto, alimentata dall’influenza di una tendenza
cognitiva deformante.
Per Naranjo la teoria del carattere
qui proposta riconosce
la presenza di tre istinti o mete fondamentali: la sopravvivenza, il piacere e
il desiderio di rapporto. Pochi infatti oserebbero mettere in discussione la
grande importanza della sessualità, dell’istinto di conservazione e del
desiderio di rapporto, insieme alla loro centralità congiunta come mete
generali del comportamento. L’interpretazione di Freud sulla vita umana ha
messo in evidenza la prima, quella di Marx il secondo e quella dei teorici
della relazione oggettuale il terzo, ma non credo che nessuno finora abbia
fatto propria una visione che integrasse in maniera esplicita queste tre
pulsioni fondamentali.
I tre istinti
basici quindi sono:
- Conservativo: si specializza a sopravvivere in questo mondo;
- Sociale: vuole più spazi;
- Sessuale: seduce; carattere forte che tende a gestire la realtà.
L’enneagramma: le passioni
Abbiamo visto che il guasto emotivo è
alimentato da un disturbo cognitivo nascosto (fissazione). Il regno delle
passioni rappresenta la sfera delle principali pulsioni motivate dalla carenza.
È logico iniziare da qui, visto che dalla tradizione sappiamo che esse sono la
prima manifestazione della nostra “caduta”, nella prima infanzia. Mentre è
possibile riconoscere il predominio dell’uno o dell’altro atteggiamento nel
bambino tra i cinque e i sette anni, solo intorno ai sette anni (uno stadio
noto agli psicologi evolutivi, da Gesell a Piaget) si struttura nella psiche un
sostegno cognitivo a tali inclinazioni emotive.
Non solo la
parola ‘passione’ è appropriata a descrivere le emozioni più basse in quanto
strettamente interdipendenti dal dolore (phatos), ma anche per il loro
connotato di passività. Si può dire che noi vi siamo soggetti come agenti
passivi, anziché come agenti liberi.
L’enneagramma: le fissezioni
Ogni fissazione costituisce, per così dire,
la razionalizzazione della passione corrispondente.
I nomi che
definiscono le fissazioni vengono scelti in considerazione
dell’identificazione, sostenuta da Ichazo, fra queste e la “caratteristica
principale” di ciascuna personalità.
L’enneagramma: gli enneatipi
La nostra prospettiva si spinge oltre e
sostiene che il numero di “tratti fondamentali” non è illimitato, bensì
corrisponde al numero delle sindromi di personalità fondamentali. Inoltre
esistono due elementi già presenti in ogni struttura caratteriale: uno, il tratto
fondamentale vero e proprio, consiste in un modo particolare di deformare la
realtà, ossia in un “difetto cognitivo”; l’altro attiene alla motivazione e lo
chiameremo “passione dominante”.
Il carattere si struttura secondo un
determinato numero di modalità di base, che si traducono nel relativo
predominio dell’uno o dell’altro aspetto della struttura mentale comune a
tutti. Possiamo pensare lo “scheletro mentale” di cui tutti siamo dotati come
una struttura di cristallo che può rompersi in molti modi, tutti
predeterminati; allo stesso modo, fra tutte le principali caratteristiche strutturali,
nella personalità di ciascun individuo (come risultato dell’interazione tra
fattori innati e fattori ambientali) una sola di queste struttura avrà la
preminenza, mentre le altre rimarranno su uno sfondo più o meno remoto.
Un’altra analogia possibile è quella di un corpo geometrico che poggia sull’una
o sull’altra delle sue facce; tutti abbiamo una stessa personalità con “facce”
lati e vertici identici, ma (e qui sta l’analogia) orientati nello spazio in
maniera diversa.
Per ogni carattere esistono tre varianti,
a seconda che predomini l’istinto di autoconservazione, la pulsione sessuale o
l’istinto sociale.
Esistono,
naturalmente, nove possibili passioni dominanti, ciascuna associata a una
distorsione cognitiva peculiare, ed esistono anche una, due o tre
caratteristiche derivate, come ho detto, dalla sfera istintuale.
Le nove
tipologie presentate qui non costituiscono soltanto un miscuglio di stili di
personalità; al contrario, sono un insieme organizzato di strutture
caratteriali, in quanto fra loro si instaurano rapporti specifici, contrasti,
polarità e relazioni di vicinanza. Queste relazioni sono rappresentate da un’antica
struttura geometrica detta “enneagramma”. Allo stesso tempo, parlerò di
“enneatipi”, un modo sintetico per dire “tipo di personalità secondo
l’enneagramma”.
Disposti lungo
la figura geometrica dell’enneagramma, ritroviamo i nove caratteri di base:
Tipo Uno: Ira
Tipo Due:
Orgoglio
Tipo Tre: Vanità
Tipo Quattro:
Invidia
Tipo Cinque:
Avarizia
Tipo Sei: Paura
Tipo Sette: Gola
Tipo Otto:
Lussuria
Tipo Nove:
Pigrizia
Per quanto i nove tratti proposti siano
fondamentali per i rispettivi caratteri e possano essere interpretati da un
punto di vista cognitivo, bisogna dire qualcosa di più sulla convinzioni, sugli
assunti e sui valori impliciti propri di ciascun carattere.
Tutti gli stili
interpersonali in cui le passioni si strutturano mettono in gioco una certa
dose di idealizzazione: la convinzione recondita che quello sia il modo giusto
di vivere. A volte, nel processo psicoterapeutico, è possibile recuperare il
ricordo del momento in cui si è presa la decisione di farsi vendetta e di non
amare più, di fare da soli e di non fidarsi mai, e così via. Quando ciò accade,
possiamo portare alla luce molte delle congetture che da quel momento abbiamo
date per scontate e che ora è possibile mettere in discussione; congetture di
un bambino in preda al panico, che vanno rivedute, come Ellis propone con la
sua teoria relazionale emotiva.
L’enneagramma: la nascita degli
enneatipi
Cercherò di delineare in questa sede le
possibili cause che hanno portato alla strutturazione di un enneatipo anziché
un altro. Ritengo che sia fondamentale questo passaggio nella ricerca di sé
stessi e nel proprio cambiamento.
Prima di
iniziare tuttavia, è opportuno enunciare un concetto nuovo, in quanto utile
chiave di lettura di quanto mi accingo ad esporre.
Con Adler, Sullivan e Fromm, la Horney
sostiene che le nevrosi sono espressioni di grossi conflitti culturali e che la
famiglia riflette le tensioni della società a cui appartiene.
Diversamente
da quella freudiana, la teoria horneyana è più ottimista: si intuisce una fiducia di base nel
potenziale dell’individuo che lotta costruttivamente per la realizzazione del
sé (self-realization). “Come una ghianda messa in un terreno
consono alle proprie esigenze col tempo diventa una quercia senza che nessuno
glielo insegni, così ogni essere umano riesce a sviluppare le sue capacità
intrinseche se gliene viene data la possibilità”. (Sviluppare le sue
capacità non vuol dire ritenere che l’indole umana sia prevalentemente buona,
in quanto ciò presupporrebbe la prescienza di ciò che è bene e di ciò che è
male).
Quindi
il processo nevrotico si sviluppa se l’individuo in condizioni ambientali
sfavorevoli, è costretto a rinunciare progressivamente ai propri potenziali di
crescita per ricercare in modo coatto una sicurezza dal mondo esterno.
Per l’autrice l’ansia è il centro dinamico delle nevrosi ed ha conseguenze
determinanti nell’atteggiamento della persona verso sé stessa e verso gli
altri. Essa individua nell’infanzia della maggior parte degli adulti nevrotici
una mancanza di calore genuino e di affetto, come pure azioni ed atteggiamenti
da parte dei genitori che suscitano ostilità e che di conseguenza devono essere
rimossi, rinforzando così l’ansia del bambino. Questi infatti non solo è
biologicamente incapace di difendere sé stesso dai pericoli, ma dipende da un
mondo di adulti che spesso gli si presenta spietato, falso, indifferente,
sleale ed offensivo. Se poi viene svalutato in ogni sua iniziativa e respinto in
uno stato di dipendenza, è probabile che finirà per percepire ogni suo
tentativo di autonomia come un attacco ostile all’ambiente da cui dipende. Il
conflitto tra il tentativo di liberarsi da una dipendenza che annienta
l’individualità e il timore di perdere la protezione di cui ha bisogno,
generano nel bambino quell’ansia di base
che guiderà il suo ulteriore orientamento nel mondo. Se la ricerca di sicurezza
per alleviare l’ansia diviene preponderante, il nevrotico sarà costretto a
rinunciare progressivamente al suo sé reale (real self) per adattarsi alle aspettative esterne.
Nel
tentativo di raggiungere una pseudo-unità potrà diventare prevalentemente
compiacente, aggressivo o distaccato. Prima o poi, tuttavia, queste modalità di
rapporto con gli altri si dimostreranno insoddisfacenti e sempre più rigide e
autodistruttive, facendo crescere il senso di frustrazione e di ansia fino alla
comparsa di specifiche fobie o di disturbi psicosomatici.
Dissociandosi da Freud, la Horney non
interpreta il sintomo nevrotico come una manifestazione deformata di un impulso
istintivo, riportabile a un comportamento inerente la sessualità infantile, ma
lo considera invece espressione di tutto il modo di atteggiarsi dell’individuo
di fronte alla vita.
Come
dimostra il gran numero delle nevrosi, ogni sorta di influenze può con grande
facilità deviare le nostre energie costruttive in direzione opposta, in senso
non costruttivo o distruttivo. Ma, una volta convinti della possibilità di un
autonomo raggiungimento della realizzazione di noi stessi, non ci è più
necessaria un’interiore camicia di forza
con la quale ridurre all’impotenza la nostra spontaneità, né la sferza di
dettami interiori per avvicinarsi alla perfezione.
Detto ciò, passo a descrivere uno ad uno i
nove Enneatipi.
L’enneagramma:
tipo Uno
Venuto alla luce, il futuro Tipo Uno si è
trovato subito a fare i conti con un’esperienza precoce di insoddisfazione
affettiva, unito ad un ambiente in cui alle richieste eccessive si accompagna
uno scarso riconoscimento.
Per questo
motivo, fin da subito, il bambino ha sentito il bisogno di impegnarsi sempre
più in un’atmosfera di perdurante frustrazione. Il suo tentativo di essere
migliore rappresenta la speranza di ottenere più approvazione o più intimità da
entrambi i genitori. Ma, crescendo, lo strenuo tentativo assume un’implicazione
competitiva, come a dire al padre e alla madre: “Io sarò migliore di voi e mi
eleverò ben al di sopra della vostra capacità di valutarmi: ve lo dimostrerò!”:
una piega vendicativa, dove il successo non è soltanto una speranza, ma anche
una richiesta e una denigrazione rancorosa[4].
La reazione dell’individuo alla situazione
descritta mette in atto non solo un atteggiamento del tipo: “Guarda quanto sono
buono: ora mi vorrai bene?”, ma anche una richiesta di riconoscimento o di
affetto, facendo appello alla giustizia morale, a una protesta: “Guarda quanto
sono buono mi devi rispetto e riconoscimento”. Per guadagnarsi il
riconoscimento e il rispetto di cui sente la mancanza (prima di tutto da parte
dei genitori e poi degli altri in genere) il bambino diventa il piccolo
avvocato di se stesso, e anche un moralista che si specializza nel far fare
agli altri ciò che devono, predicando il rispetto delle regole.
L’esercizio
ossessivo della virtù, infatti, non soltanto è derivato dalla rabbia attraverso
la formazione reattiva, ma è anche espressione della rabbia introvertita,
perché significa diventare i giudici crudeli, i gendarmi e i rigidi educatori
di se stessi. Inoltre, possiamo considerare un insieme di tratti che vanno
dall’ordine e dalla pulizia a una tendenza puritana, come mezzo per attirarsi l’affetto
attraverso il merito e come reazione ad una frustrazione emotiva precoce.
L’atteggiamento
pretenzioso, invece, va inteso come espressione dell’aggressività:
un’affermazione prepotente dei propri desideri, in chiave vendicativa, come
reazione ad una frustrazione precoce.
Il risultato è che la ricerca dell’amore
da cui ha preso forma il carattere perfezionista diventa la ricerca del diritto
e della rispettabilità, che caratterizza questo stile di personalità duro e
distante, e interferisce con la soddisfazione di un bisogno di tenerezza che
rimane latente benché rimosso.
L’enneagramma:
tipo Due
Il primo vagito del futuro Tipo Due è
accompagnato da una frustrazione amorosa precoce associata ad una mancanza di
sostegno nell’esperienza del proprio valore personale che si traduce nella
sensazione di essere indegno. Tutto questo provoca nella bambina un grande
dolore emotivo che pian piano viene sostituito dalla percezione di essere una
piccola principessa. La bambina infatti cerca rassicurazioni in modo speciale
dell’amore del padre o della madre chiedendo loro di accudirla in modo
particolare, di mostrarsi desiderosi di stare con lei e di sopportare i suoi
capricci e i suoi pianti. È come se la bambina avesse detto: “Dimostrami che mi
ami veramente!”, e la richiesta di essere oggetto di speciali manifestazioni
d’amore fosse soprattutto una reazione alla sensazione di essere rifiutata.
Con
questo atteggiamento di negazione della frustrazione e di compensazione della
sicurezza di sé il Tipo Due pone le basi per quel suo atteggiamento eccessivamente romantico che
caratterizza i suoi rapporti con gli altri. Inoltre la frustrazione diventa man
mano ricerca ossessiva della libertà e intolleranza per le regole e le
limitazioni.
Caratteristici genitori di questo tipo
possono essere sia iperprotettivi e iperpossessivi che spinge il bambino ad
agognare molto presto l’indipendenza, oppure dei padri Sette che trasmettono, (più
alle bambine), la seduttività, l’allegria, l’inclinazione al piacere e la
vocazione alla famiglia. Spesso il passaggio dalla frustrazione a un
atteggiamento soddisfatto e compiaciuto di sé si osserva tra le donne come uno
spostarsi progressivo dall’esperienza di relativo rifiuto da parte della madre
a un atteggiamento deduttivo, con lo scopo di diventare la prediletta del
padre. Questo passaggio segna lo spostarsi progressivo della ricerca d’amore in
ricerca di intimità attraverso l’espressione di sentimenti di tenerezza,
carezze e parole. Anche in questo caso, quindi, la ricerca secondaria
interferisce con la soddisfazione primaria: non solo perché lo sviluppo
dell’“apparato seduttivo” rende la persona incompleta e quindi meno amabile, ma
anche perché, per sentirsi amata, essa deve rimanere in contatto con il proprio
desiderio d’amore, il quale invece è rimosso e nascosto dietro all’orgoglio,
insieme all’immagine di sé svalutata.
L’enneagramma:
tipo Tre
Appena
nato, il futuro Tipo Tre si trova catapultato in un ambiente in cui si
ha la sensazione di non poter contare su nessuno che stimolasse la sua
autonomia. Non solo. Le prime esperienze del bambino sono state una persistente
sensazione di non essere ascoltati o guardati abbastanza: questo ha generato in
loro la paura di venire ignorati e per reagire ad essa è nato il desiderio di
essere brillanti.
Le
cause di questa percezione di invisibilità possono essere svariate. Molti hanno
riferito in seguito di aver vissuto in famiglie
dove regnava la malattia, o dove un problema (ad esempio l’alcolismo del
padre) catalizzava tutta l’attenzione che i genitori avrebbero dovuto dare al
figlio, spingendolo a prendersi cura di sé. Ecco quindi che iniziava via via a
svilupparsi il suo essere ipervigile; il suo essere incapace di arrendersi o di
dimenticarsi di se stesso; il suo bisogno di controllo di tutto e il suo
affrontare le cose fidandosi solo di sé, nella convinzione che gli altri non si
prendano cura di lui in maniera adeguata. In questo caso, quindi, l’efficienza
non nasce soltanto da un desiderio di attirare su di sé l’amore dei genitori
facendo qualcosa di ben fatto; nasce anche dal bisogno di prendersi cura di sé.
Molto spesso la madre del tipo Tre apparteneva
al tipo Quattro, e in questi casi è possibile parlare di una contro
identificazione, che spinge il soggetto a far nascere in lui il desiderio di
non essere una persona lamentosa e problematica, ma indipendente e che disturba
il meno possibile gli altri.
Altra
situazione può essere quella in cui il bambino sente di non potersi permettere
di avere problemi perché viene investito del ruolo di colui che si prende cura
della madre.
Il
non venir considerati o riconosciuti abbastanza può essere dovuto la presenza
di un padre Cinque.
È
possibile però anche che questi bambini si sono trovati con un genitore dello
stesso tipo, e per questo motivo venivano continuamente sollecitati a
corrispondere alle aspettative e agli ideali del genitore: in questo caso è
pensabile che l’importanza attribuita alle apparenze sia dovuta
all’identificazione.
Una
storia di rigida disciplina invece può aver fatto sviluppare in questo bambino
che era pericoloso dire la verità o rivelare sentimenti e desideri, e in più,
bisognava sviluppare quanto prima un autocontrollo nell’ottica della
sopravvivenza e della manipolazione dell’immagine.
Per
questo motivo, se da un lato la passione di mostrarsi può essere interpretata
come la conseguenza di un bisogno precoce di attenzione e consenso, dall’altro
può essere vista anche come conseguenza della confusione tra l’essere e
l’apparire, e la corrispondente confusione tra consenso esterno e valore
intrinseco.
Con queste premesse di partenza inizia a
svilupparsi il suo stato emotivo più tipico, che porta alla nascita del suo
caratteristico interesse a mettersi in mostra al punto da restituire
un’immagine falsa di sé pur di soddisfare il suo bisogno di attenzione: il
bisogno di essere visto, ripetutamente frustrato, inizia a trasformarsi nella
soddisfazione nella cura dell’aspetto esteriore. Si può affermare che nel corso
dell’evoluzione di questo carattere la ricerca d’amore lo abbia spinto a
comportarsi bene e che alla fine il desiderio di piacere e di essere
riconosciuto, una volta divenuto autonomo, sia andato a coprire il desiderio d’amore originario.
L’enneagramma:
tipo Quattro
Il futuro Tipo Quattro, come gli altri, fa
fin dalla nascita conoscenza con un ambiente che frustra tantissimo i suoi
primi bisogni di attaccamento e si ritrova subito a fare i conti con
deprivazioni precoci molto gravi. Una di esse è un’esperienza di abbandono che
non sempre coincide con un evento esterno evidente, ma anzi può essere
abbastanza sfumata da non essere percepita dagli altri: in questo caso più che
eventi di abbandono, il bambino può assistere a situazioni in cui è deluso dal
genitore, o momenti in cui ha scoperto che il genitore non lo ha mai amato
veramente.
Altre
situazioni simili possono essere la perdita di un genitore o di altri membri
della famiglia, ma anche situazioni di estrema povertà, che creano situazioni
dolorose per tutti i membri della famiglia; a volte può essere frequente
l’esperienza di essere messi in ridicolo o presi in giro da fratelli o dai
genitori; altre volte ancora, una differenza di cultura o di nazionalità tra la
famiglia di origine e l’ambiente contribuisce a un diffuso senso di vergogna.
Tutto questo ci lascia intuire che il
bambino Quattro vive da piccolissimo una vita intensamente dolorosa: ciò che
però lo fa soffrire più di tutti è il rifiuto genitoriale. Il tipo Quattro
introietta così un genitore non amorevole e autorifiutante: il suo stato di
bisogno carico di invidia deriva dall’odio cronico verso se stesso implicito in
tale introietto, dato che la natura del suo bisogno di compensare l’incapacità
di amare se stessi richiede la presenza del bisogno di approvazione esterna di
amore. In altre parole, questi vissuti portano nella sua psiche una
costellazione di caratteri che vanno da un cattivo concetto di sé alla necessità
di distinguersi in modo speciale, e implicano una sofferenza cronica e una
dipendenza (compensativa) dal riconoscimento esterno. Il suo dolore e la sua
invidia, inoltre, non viene vissuta a livello cosciente nei confronti del
genitore, ma viene vissuta nei confronti di un fratello che i genitori
prediligono e per questo motivo, il futuro tipo Quattro deciso a conquistarsi
l’amore genitoriale, cerca di essere quel fratello o quella sorella, anziché se
stesso.
Per tutti questi motivi, precocemente il bambino
giunge a una conclusione di questo tipo: “Sono amato e quindi valgo a qualcosa”
e inizia a inseguire la rispettabilità attraverso l’amore che gli manca
(“Amami, così so che vado bene”), e attraverso un processo di distorsione con
cui tenta di apparire migliore: insegue qualcosa di diverso e probabilmente
migliore e più nobile di quanto egli non sia. Questi processi, tuttavia,
inducono frustrazione perché l’amore, una volta ottenuto, con tutta probabilità
verrà messo in discussione (“Se mi ama non può essere una persona di grande
valore”); tuttavia, di fondo, la ricerca dell’essere attraverso l’emulazione
dell’ideale di sé si regge su una base di rifiuto del sé e sulla cecità al
proprio vero sé.
L’enneagramma:
tipo Cinque
Ciò che più colpisce, riguardo alla forma
e che la mancanza d’amore ha assunto nella storia del tipo Cinque, è la
precocità del suo insorgere, tanto che il bambino non ha mai avuto modo di
stabilire un legame profondo con la madre. L’assenza (letterale o psicologica)
della madre può essere complicata da una mancanza di rapporti alternativi
quando il bambino è figlio unico e il padre è distante o la madre, per gelosia,
interferisce con i rapporti che il bambino ha con lui. La mancanza di rapporto
con gli altri, in questi casi, nasce dalla mancata esperienza di un rapporto
profondo in famiglia.
Un
altro elemento che spesso si incontra nell’infanzia del tipo Cinque è quello di
una madre “divorante, invadente o troppo manipolativa”. Di fronte a una madre
di questo genere il bambino protegge la propria vita interiore isolandosi, e
impara a nascondersi.
Queste
e altre esperienze ancora, nella storia del tipo Cinque, contribuiscono a
creare in lui la sensazione che nella vita è meglio stare soli, che le persone
non danno amore, e che è un “pessimo affare” mettersi in relazione con gli
altri perché quel poco di amore che essi offrono ha intenti manipolativi e
sottintende l’aspettativa di ricevere troppo in cambio. Egli quindi si
organizza cercando di non aver bisogno degli altri e all’insegna del risparmio
delle proprie risorse.
Molte volte capita che di fronte a
esperienze dolorose, il bambino isola il contenuto intellettuale di ciò che è
accaduto dall’emozione intensa che è stata vissuta in relazione ad esso; altre
volte isola anche il contenuto intellettuale stesso e tutto questo si traduce
nella perdita del significato vero e profondo dell’esperienza traumatica e
degli impulsi istintuali in gioco. Il risultato di tutto ciò è identico alla
rimozione per amnesia. Quanto appena detto si traduce anche in un senso
generalizzato di insensibilità che si manifesta attraverso una perdita di
consapevolezza dei sentimenti, un’interferenza con l’insorgere del sentimento,
dovuta al fatto che il tipo Cinque ne evita sia l’espressione che la messa in
atto. Tale peculiarità lo rende indifferente e freddo, intollerante e apatico.
Inoltre, il tipo Cinque impara fin da subito a rinviare il piacere per cedere
il passo a impulsi più urgenti, come il mantenere una distanza di sicurezza fra
sé e gli altri, e il desiderio di autonomia.
Ricapitolando, sembra che il tipo Cinque
abbia rinunciato completamente a ricercare l’amore: tuttavia, poiché il suo
bisogno di dipendenza è soltanto tenuto sotto controllo, egli continua a
desiderarlo, purché si esprima accettando di lasciarlo in pace, di non fargli
richieste e di non ricorrere all’inganno e alla manipolazione. Come in altri
casi, la virulenza dell’ideale milita contro la possibilità che esso trovi una
sua realizzazione terrena.
L’enneagramma:
tipo Sei
Appena messo al mondo, il futuro tipo Sei
si trova di fronte ad un ambiente che percepisce fin da subito carente
d’affetto, ma pieno di castighi, punizioni e rimproveri che toccano la sfera
dell’emotività.
Oltre
alla paura legata al rifiuto o alla punizione da parte di un padre autoritario
(spesso del tipo Sei o Uno), nell’infanzia del bambino vi è un dilagare della
paura attraverso l’interiorizzazione di una visione del mondo iperprotettiva da
parte della madre. Bombardato da frasi quali: “Stai attento che cadi! Non
parlare con gli estranei! Non fidarti mai degli uomini!”, il bambino impara a
diffidare delle proprie capacità e del mondo che lo circonda.
Un’altra
esperienza che il bambino vive in prima persona è l’essere stati
colpevolizzati: “Non vedi quanto lavora tuo padre? Non dovresti dargli altri
pensieri”. Una madre Quattro che fa la vittima e si commisera può contribuire
in gran parte all’insorgere di questi sentimenti, e nella famiglia del Sei è un
caso che accade di frequente.
All’origine
di questo senso di colpa c’è il meccanismo noto come identificazione con
l’aggressore.
Possiamo
dire che un tempo l’individuo Sei ha cercato di ingraziarsi il nemico
diventando nemico di se stesso. È come se avesse pensato che era più prudente
adottare un atteggiamento di autoaccusa, perché in quel modo non sarebbe incorso
in problemi con l’autorità.
Altra
caratteristica dell’ambiente familiare del tipo Sei è la mancanza di
comunicazione tra i genitori. È facile vedere come questi conflitti si
riflettano nell’estrema ambivalenza del Sei, non un’ambivalenza nei confronti
dei propri impulsi, ma legata alla doppia percezione che egli ha di ciascun
genitore, che viene giudicato non solo empaticamente, ma con gli occhi
dell’altro genitore.
A
volte ci si imbatte in una storia di sconferme tali che il bambino impara a
dubitare delle percezioni. L’incoerenza del comportamento dei genitori,
infatti, contribuisce all’ansia del bambino. Non sapendo se sarebbe stato
punito o no, ad esempio, prima di dubitare di se stesso, il bambino inizia a
dubitare del mondo esterno.
Poiché molti individui Sei sono cresciuti
in un’atmosfera fortemente autoritaria, i più sono stati bersaglio della
sfiducia dei genitori, e quindi possiamo pensare che il dubbio che nutrono su
di sé sia il risultato personale dell’interiorizzazione. Questo clima
autoritario contribuisce anche a far nascere nel bambino problemi relativi
all’autorità, e più nello specifico nei confronti del padre, che in genere è il
genitore che la esercita.
Rispetto
all’autorità, cosa hanno in comune le strategie dell’aggressività, della
fedeltà al dovere e dell’affettuosità? Possiamo dire che in origine la paura
del Sei sia stata innescata dall’autorità dei genitori e dalla minaccia della
punizione da parte di quello dei due che la esercitava, in generale dal padre.
Come allora, per via della paura, è diventato dolce, obbediente o diffidente (e
in genere ambivalente), così oggi continua a comportarsi allo stesso modo e a
provare gli stessi sentimenti di fronte alle persone cui riconosce l’autorità o
nei cui confronti, cosciente o no, si pone a sua volta come un’autorità.
Il tipo Sei è quello che più nettamente si
differenzia nello sviluppo dei vari sottitipi.
Sembrerebbe
che, per quanto l’esperienza dell’ansia vissuta nella prima infanzia possa
essere stata simile in tutti, sia il fattore costituzionale a determinare se
l’ansia verrà placata dal desiderio di sovrastare e di intimidire gli altri
(negli individui più aggressivi – Sessuali); attraverso il desiderio di stringere
alleanze di protezione reciproca (auto conservativi); o di trovare risposta ai
problemi della vita con la ragione, l’ideologia o altri modelli autoritari
(sociali).
Anche
la ricerca dell’amore è diversa a seconda dei sottotipi. Il contro fobico e il
paranoide aggressivo esigono obbedienza, perché per loro amare il padre ha
voluto dire obbedirgli. Il fobico “evitante” ha imparato che amore significa
protezione, una fonte di sicurezza per compensare la propria insicurezza, una
persona forte a cui appoggiarsi. Il tipo ligio al dovere è troppo insicuro e
ambivalente nei confronti delle persone in carne ed ossa per delegargli
l’autorità, e quindi sceglie l’autorità impersonale di un sistema come
surrogato genitoriale, un’azione interna che può essere interpretata come una
competizione implicita con l’autorità genitoriale.
L’enneagramma:
tipo Sette
Il futuro tipo Sette si ritrova fin da subito
ad affrontare la presenza di un genitore eccessivamente autoritario e che fa
paura di fronte al quale l’atteggiamento più appropriato è parso quello di una
blanda ribellione e una madre vissuta come iperprotettiva e iperpermissiva (in
genere un tipo Nove).
L’autorità
di un padre Uno, la cui severità eccessiva è stata vissuta dal figlio come una
mancanza d’amore, ha contribuito a fargli dare per scontato che l’autorità era
cattiva, e ha permesso anche di fargli fare l’esperienza di un’autorità troppo
forte per essere affrontata a testa alta, e al tempo stesso a far nascere in
lui un malinteso senso dell’amore come indulgenza (vale a dire, ritenersi
esonerato dal doversi piegare alla disciplina). Questo atteggiamento
contribuisce a far si che il bambino ricorra all’idealizzazione e alla fantasia
per negare il dolore che avverte.
Tuttavia
resta del tutto viva la sua precoce antipatia per l’autorità. Sembra che
l’ingordo abbia “imparato” fin da piccolo che non esistono autorità buone;
resta comunque che nei loro confronti egli adotta un atteggiamento diplomatico
più che oppositivo.
Questa antipatia è anche alla base della
sua indisciplina: l’individuo Sette impara fin da piccolo a giustificare con
delle “buone ragioni” il suo indulgere ai desideri e di conseguenza diventa per
lui fondamentale non rimandare il piacere.
I
tipi Sette, infatti, tendono a ricercare sistematicamente il piacere dato che
esseri amati equivale a vedere appagati i propri desideri. Inoltre, la ricerca
dell’amore diventa uno sforzo narcisistico nella misura in cui i mezzi per
riuscire ad ottenerlo (ad esempio, essere ingegnosi, buffi e intelligenti)
diventano motivazioni autonome, e la conquista di una superiorità ammantata di
fascino e di affidabilità un fine in sé. Pertanto, come avviene in altre
personalità, un particolare aspetto dell’amore diventa il sostituto dell’amore
stesso, e un ostacolo a una vita affettiva soddisfacente.
L’enneagramma:
tipo Otto
Il destino del tipo Otto sembra non dare
possibilità di fuga. Nato in una famiglia caratterizzata da genitori tirannici
e trascuranti, inizia precocemente a soffrire umiliazioni e limitazioni che gli
fanno crescere fin da subito il desiderio di prendersi una rivincita, anche a
costo di procurare dolore agli altri e imparando a sopravvivere ricorrendo
all’intimidazione.
Inizia
così una ribellione generalizzata contro l’autorità che di solito può essere
ricondotta a una ribellione contro il padre, che in famiglia è colui che tale
autorità esercita. Spesso i caratteri vendicativi imparano a non aspettarsi
niente di buono dal padre, e alla fine si convincono che il potere genitoriale
è illegittimo.
Prepotenza e ostilità sono funzionali al
bisogno di vendetta: l’individuo decide fin da piccolo che essere deboli,
accomodanti o seduttivi non paga, e sceglie il versante del potere nel
tentativo di assumersi il ruolo del giustiziere.
La
vendetta del tipo Otto tuttavia non è aperta; al contrario, lì per lì egli
reagisce con rabbia, che però supera rapidamente. La sua vendetta tipica (a
parte una reazione immediata con cui rende “pan per focaccia”) è a lungo
termine e lo vede assumere il ruolo di giustiziere come reazione al dolore,
all’umiliazione e all’impotenza di cui si è sentito vittima da piccolo[5].
L’individuo otto decide tacitamente e
precocemente di farsi una vita migliore fuori dalla famiglia e non di rado esce
presto di casa. Una delle ragioni di questa scelta è la mancanza di cure e di
attenzione, o addirittura la reale mancanza di un ambiente familiare (come per
i figli di delinquenti nelle aree di estrema povertà); inoltre, la violenza nella
famiglia dell’Otto è più frequente che nelle famiglie di altri tipi, e per
questo motivo è facile comprendere come in questi casi si sviluppino
insensibilità, indurimento, cinismo.
Ma
altre volte i fattori che portano alla disillusione riguardo all’amore dei
genitori non sono altrettanto evidenti, specie quando tra più figli uno solo
manifesta tali caratteristiche. In questi casi si può ipotizzare che una comune
esperienza di punizioni sia stata vissuta e interpretata in maniera diversa, e
che quindi un fratello si sottometta per non perdere la possibilità di ottenere
l’amore dei genitori, mentre l’altro che si sente più umiliato e rabbioso vada
in cerca di un ambiente migliore, sviluppando così lo spirito d’avventura. A
volte uno dei fattori che contribuiscono allo sviluppo di questo carattere è
l’identificazione con un altro membro della famiglia.
Benchè si possa dire che in senso lato il
tipo Otto, come il Cinque, abbia rinunciato con grande pessimismo a cercare
l’amore al punto da dubitare cinicamente delle buone intenzioni e da giudicare
sentimentalismo l’espressione dei sentimenti, per lui, come per altri caratteri
si può parlare anche di una sostituzione del desiderio d’amore originario. Come
nel tipo Uno, la ricerca dell’amore diventa ricerca del rispetto, ed è come una
dichiarazione di rispetto che questo tipo vive la “prova d’amore”. La “prova
d’amore” per lui sta nella disposizione dell’altro a lasciarsi possedere,
dominare, usare e, nei casi estremi, picchiare. Allo stesso modo, tutti questi
comportamenti e atteggiamenti, nel corso del tempo, diventano sostituti
dell’amore.
L’enneagramma:
tipo Nove
Il bambino che diventerà un Nove muove i
primi passi in un contesto in cui l’unico modo per cavarsela era piegarsi alle
circostanze. Non sempre a questi bambini è mancato l’amore della madre, ma le
circostanze le hanno impedito di essere più disponibile, e il bambino ha
percepito che lamentarsi o cercare di attirare l’attenzione su di sé non
sarebbe servito a niente.
Solitamente
vive in famiglia una situazione precaria, e questo gli dà la sensazione che a
lamentarsi si perde quel poco che si ha: essi inoltre quasi invariabilmente
provengono da famiglie numerose dove l’attenzione dei genitori è stata divisa
fra molti fratelli, o da famiglie molto occupate dove il lavoro ha assorbito
alla madre molte energie.
Ecco
perché il Tipo Nove non solo è una persona che non ha imparato ad amarsi perché
gli è mancato l’amore, ma che dimentica la frustrazione subita costruendosi una
sorta di callo psicologico, ricorrendo a un’ipersemplificazione, praticandosi
un’amputazione psicologica che fa di lui il meno sensibile e il più stoico di
tutti i caratteri[6].
Molto spesso si cerca il suo aiuto fin da
piccolissimo e si arriva al punto che tutti
si aspettavano il loro aiuto, in qualunque situazione. A volte egli diventa
l’aiutante della madre nella cura dei fratelli più piccoli.
Anche
se il tipo ben adattato è contrario alla ribellione, è interessante osservare
che ciò che può averlo portato ad adottare questo stile è stata proprio la
ribellione contro uno dei genitori.
È
facile capire perché una madre Quattro compaia spesso nelle storie del tipo
Nove; come nella situazione in cui il genitore è un perfezionista, anche in
questo caso il bambino è stato oggetto di molte richieste, e si è sentito obbligato
a sviluppare un atteggiamento deferente di fronte al bisogno di un altro.
Altre
volte, invece, la personalità dei suoi genitori è data da una combinazione tra
il Nove e l’Uno. Il primo, naturalmente, fornisce il modello della dedizione,
il secondo impersona l’esigenza di perfezionismo.
Mentre in altri caratteri la ricerca
d’amore si è trasformata visibilmente nella ricerca di un surrogato dell’amore
o di qualcosa che in origine veniva percepito come un mezzo per ottenere
l’attenzione dei genitori, nell’accidioso sembra essersi trasformato in
rassegnazione. Ma questa rassegnazione si mantiene solo a prezzo di una perdita
di interiorità, perché la generosità ossessiva nasconde un’aspettativa
inconscia di reciprocità. Poiché questo individuo non ha coscienza di
desiderare di essere amato, è inappropriato parlare di seduzione o di lusinghe;
quando la sua capacità di dare viene riconosciuta prova gratitudine, e possiamo
dire che in lui la ricerca d’amore diventa soprattutto desiderio di essere riconosciuto
nella sua capacità di dare, nella sua generosità e nel suo altruismo.
Conclusione
Riassumendo, siamo diventati incoscienti
di noi stessi, perché siamo stati feriti, abbiamo sofferto e non vogliamo
tornare a soffrire. Una differenza importante tra la condizione ordinaria e
impoverita della mente e la condizione sana alla quale aspiriamo è proprio un
diverso atteggiamento dinanzi al dolore. Siamo così attaccati al piacere e
vogliamo così tanto evitare il dolore che tali forze di repulsione e attrazione
ci distraggono da noi stessi. Il dolore, invece, non soltanto può schiacciarci
addormentandoci, ma può anche elevarci diventando un fattore di risveglio
dipendente dal nostro atteggiamento.
Ancora
possiamo sintetizzare il nostro male nella abituale caratteristica di
manipolare e simulare per appagare la nostra sete e di esserci dedicati alla
ricerca dell’amore con tanto affanno da consumare energie che potremmo porre
nell’espressione del nostro potenziale amoroso.
Infine ci possiamo domandare: cosa
possiamo fare a questo punto? Come è possibile utilizzare queste informazioni
per elevare all’infinito le nostre potenzialità?
L’esperienza
clinica sembra mostrarci che quando si pratica la ricerca della conoscenza di
sé in un atteggiamento di aspirazione e di riconoscimento obiettivo della
propria aberrazione, e tuttavia si cerca di fare spazio nella mente alle
imperfezioni presenti che sono l’inevitabile conseguenza dell’impronta
dell’esperienza passata e l’inevitabile procedere del percorso di autorealizzazione,
si scopre che la comprensione di sé sembra fine a sé stessa.
Molto
spesso le persone si accorgono che nonostante siano consapevoli di cosa essi
sono e perché lo sono diventati, non riescono a cambiare quello che sono.
Questo
perché c’è bisogno anche che essi scoprono quello che possono diventare e
questa scoperta deve essere sentita e capita nei loro cuori.
Bibliografia
Claudio Naranjo – Carattere e nevrosi –
1996, Casa Editrice Astrolabio, Roma
Claudio Naranjo – Gli Enneatipi nella
psicoterapia – 2003, Casa Editrice Astrolabio, Roma
Claudio Naranjo – L’ego patriarcale –
2009, Urra, Milano
Karen Horney – Nevrosi e Sviluppo della
personalità – 2007, RCS Libri S.p.a., Milano
David
Shapiro –La personalità nevrotica – 1991, Bollati Boringhieri editore S.r.l., Torino
Umberto
Galimberti – Dizionario di psicologia – 2006, UTET Libreria, Torino
Carl Gustav Jung – Il
problema dell’inconscio nella psicologia moderna – 1959, Giulio Einaudi
Editore, Milano
[1] Con il termine “costituzione” si indicava l’insieme
di caratteristiche relativamente stabili e irreversibili che permangono nel
soggetto determinandone le risposte più costanti all’ambiente. Questo concetto
molto generico fu impiegato in medicina fin dall’antichità, mentre ai giorni
d’oggi è associato al termine “ereditarietà genetica” con riferimento ai valori biologici dell’individuo. Il
termine costituzione, in altri termini, si riferisce ai tratti relativamente
costanti reperibili a livello biologico e non bisogna confonderlo con il
fenotipo che invece esprime il quadro modificabile dell’aspetto esterno
dell’individuo.
[2] La nevrosi è un disturbo psichico senza causa
organica i cui sintomi sono interpretati dalla psicoanalisi come espressione
simbolica di un conflitto che ha le sue radici nella storia del soggetto e che
costituisce un compromesso tra il desiderio e la difesa.
[3] La tipologia è la classificazione degli individui in base al loro tipo, termine con cui si indica da un
lato l’insieme delle caratteristiche comuni a un certo numero di individui,
dall’altro il modello ideale costruito per astrazione a partire da quelle
caratteristiche. Il metodo tipologico è indicato quale primo orientamento nello
studio di quei settori che ancora non si prestano ad un’analisi quantitativa, con l’avvertenza che i tipi misti sono molto più frequenti dei tipi puri ottenuti sopravvalutando i
caratteri differenziali. L’uso acritico del tipo produce lo stereo-tipo, che
nasce dall’uso rigido e cristallizzato del quadro di riferimento. Le tipologie
si differenziano in base ai criteri adottati per la loro costruzione e
articolazione.
[4] A fare da stimolo allo sforzo del
perfezionista non è solo un’atmosfera di poco amore, ma anche la volontà di
corrispondere a un modello, un voler far propria la personalità stacanovista e
perfezionista di uno dei genitori. Spesso nella famiglia di un perfezionista
troviamo un padre e una madre che lo sono a loro volta; e quando non è così, in
genere troviamo un padre Sei dotato di un eccessivo senso del dovere (il Sei ha
molte cose in comune con l’esigente
perfezionista).
[5]
Si può
pensare che l’influenza di un temperamento geneticamente somatotonico sulla
formazione del carattere non sia semplice bensì indiretta, perché è facile che
il bambino chiassoso o quello che esprime desideri troppo intensi susciti
rifiuto o punizione, il che lo farà diventare arrogante e ribelle.
[6]
(Il Nove è situato di
fronte agli ipersensibili Quattro e Cinque, nella parte inferiore
dell’enneagramma).