lunedì 13 gennaio 2014

Prendersi il tempo per ridere, apprezzare i momenti piacevoli e godere delle piccole cose

Essere resilienti significa essere duttili e flessibili, accettando di sbagliare, sapendo di poter rivedere e correggere le proprie azioni.
Sentimenti come il piacere, l’allegria, l’appagamento, la soddisfazione per il proprio lavoro, l’amore e l’affetto, unitamente a qualche bella risata e a momenti calorosi trascorsi con gli amici, rafforzano le capacità mentali essenziali alla soluzione dei problemi.
Alcuni tipi di attività gradevoli accrescono la forza di resilienza, il gioco, per esempio, contribuisce a sviluppare capacità fisiche, autocontrollo e conoscenze, oltre a migliorare la salute. I piacevoli momenti trascorsi con gli amici rafforzano il sistema immunitario e arricchiscono il patrimonio di risorse sociali cui si può attingere in tempi difficili.
Le energie accumulate nelle fasi positive sono durevoli, restano a nostra disposizione per quando saremo colpiti da un evento avverso o ci troveremo ad attraversare un lungo periodo di difficoltà. Prendersi il tempo per ridere, apprezzare i momenti piacevoli e godere delle piccole cose sono atteggiamenti che influiscono sul cervello e sul sistema nervoso potenziando le abilità di problem solving e questo, a sua volta, rafforza la resilienza.
Tra i fattori individuali che promuovono la resilienza vi sono: avere relazioni sociali intime, flessibilità/adattabilità (essere cooperativi, amabili e tolleranti e inclini al cambiamento), essere assertivi e saper chiedere aiuto, sensibilità interpersonale, autoefficacia, locus of control interno, capacità di porsi degli obiettivi e di trovare strategie adeguate per conseguirli, progettualità futura, ottimismo, senso dell’umorismo, rete sociale di supporto informale. (1)
Angelica Moè nel testo “Motivati si nasce o si diventa?” (2) spiega come a rendere resilienti vi sono diverse variabili fra cui, ad esempio, avere obiettivi di vita realistici, saper gestire le proprie emozioni, prestare attenzione ai propri bisogni, sviluppare un locus of control interno, sentirsi parte fattiva della comunità sociale (lavorativa, familiare) cui si appartiene e aspettarsi il meglio. Tra la variabili, risulta fondamentale avere una persona stabile di riferiemtno cui si è legati affettivamente. Non si tratta, quindi, semplicemente di essere bene inseriti in un contesto sociale, di percepire che si può fare qualcosa per uscire da un problema, di avere atteggiamenti mentali positivi, ma di sapere che “in caso di difficoltà potrò rivolgermi alla persona xy che mi ascolterà, accoglierà e forse potrà offrirmi anche un aiuto concreto”. E’ il riconoscere di avere una ‘persona speciale’ a cui potersi sempre rivolgere a favorire il passaggio dal piegarsi (che è normale) al ritornare almeno nella posizione di prima (che non è fisiologico e richiede uno specifico lavorio).
Continua Angelica Moè affermando che la resilienza non è dunque una capacità con cui si nasce, ma qualcosa che in parte si costruisce in tempi di serenità e tranquillità (prima delle eventuali avversità, lievi o gravi che siano) e si rafforza affrontando le problematicità, non tanto con l’approccio di vincere il problema, ma di vivere attraverso il problema ed oltre lo stesso. Non si tratta, infatti, solo di sopravvivere alle difficoltà (lutti, disgrazie, gravi insuccessi, malattie…), ma di rientrare dal momento difficile possibilmente arricchiti, di certo più forti o, meglio detto, flessibili.
Tutte queste caratteristiche possono essere incrementate con un lavoro di mental training che permette al campione di eccellere partendo da un lavoro di autoconsapevolezza per individuare e cercare le proprie risorse personali e proseguendo con un lavoro sul goal setting e sviluppo di autoefficacia personale.


(1)     Sielbert A., Il vantaggio della resilienza, come uscire più forti dalle difficoltà della vita. Edizioni AMRITA, Torino, 2008.
(2)     Moè A., Motivati si nasce o si diventa?, Laterza, Bari, 2011, 67.

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http://www.psicologiadellosport.net/eventi.htm

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