mercoledì 16 dicembre 2015

Camminare, correre o andare in bicicletta, rallenta il declino cognitivo

E’ un campione l’alcolista che attraversa il suo percorso dei 12 passi così come il tossicodipendente che esce dalla sua dipendenza, così come il padre di famiglia che riesce attraverso grandi sacrifici a provvedere ai bisogni dei suoi cari.” Sergio Mazzei, Direttore dell’Istituto Gestalt e Body Work (1)
Nella rivista di informazione e confronto sulle patologie da dipendenza “Dal Fare al Dire” n. 2 del 2015 (2) viene riportato che dal punto di vista dei ragazzi, sembrano emergere alcune differenze relative agli effetti ricercati e alle motivazioni sottese all’uso di alcol e di cannabis: mentre l’alcol sembrerebbe essere utilizzato principalmente “per stare bene con gli altri”, la cannabis sarebbe maggiormente ricercata per ragioni, per così dire, intrapsichiche, sembrando assumere una valenza più egosintonica.
Per l’uso di cannabis, emerge maggiormente la dimensione del piacere, una ricerca del benessere più personale, anche quando viene condivisa con altri: la cannabis utilizzata in gruppo non viene solo assunta per divertirsi, ma anche per rilassarsi, insomma per provare delle sensazioni piacevoli, che avranno sicuramente degli effetti nel rapporto con l’altro, ma sono priima di tutto ricercate per star bene con se stessi.
Per quanto riguarda l’alcol, purtoppo la cultura la fa ancora da padrone. Nella nostra società, l’alcol difficilmente manca sulle tavole nelle occasioni in cui c’è da festeggiare qualcosa, e per i ragazzi al giorno d’oggi non è più possibile organizzare una festa senza comprare l’alcol.

La passione è un motore potente per portare a termine qualsiasi impresa

Matteo SIMONE
380-4337230 - 21163@tiscali.it

C’è tanta curiosità nei maratoneti, sembra che vogliano provare, sperimentare, come i ragazzini che giocano nelle pozzanghere che vogliono osare, che sembra non stiano attenti a quello che fanno e destano sempre preoccupazione ed apprensione da parte di genitori, parenti o passanti.

I maratoneti vanno alla continua ricerca di sondare le proprie possibilità sempre di più, osano ma sono convinti di farcela ed hanno dalla loro parte le sensazioni di benessere che sperimentano che li fanno sentire vivi mentre fanno quello che vogliono con passione e dedizione.

Domenico Martino: esiste questa gara? La fanno altri? La farò anch'io

Domenico Martino, un uomo semplice del tavoliere delle Puglie, aveva sempre temuto la maratona considerata una cosa più grande di lui fino a che percorse la distanza della maratona in allenamento e da allora non si è più fermato nessun altra distanza ha temuto.

Ecco come si racconta Domenico.
Ti puoi definire ultramaratoneta?Ho iniziato nel 96 piccole gare max 10 km, pian piano ho continuato arrivando alla mezza maratona 21.097 km, la distanza della maratona mi spaventava solo a sentire quel 42.195 km tanto che fino al 2005 ho fatto centinaia di 10 km e mezze maratone. Un giorno solo mi ricordo benissimo che c'era la maratona di Roma tutti i miei amici andarono io per paura di non farcela rimasi al mio paese e uscii solo percorrendo 42 km, da allora mi convinsi che anch'io potevo farcela, dal 2005 ad oggi ho fatto 80 maratone e ultrmaratone di cui 32 volte la 6 ore una 12 ore due 24 ore 9 volte la 100 km, 8 volte consecutive la 100km. Quest'ultima 24 ore che mi ha portato a podio 8°assoluto e 3° di categoria portandomi un bronzo. Alla sua 1^ domanda rispondo si mi ritengo un ultramaratoneta.”
Qual è stato il tuo percorso per diventare ultramaratoneta?Il mio percorso per diventare ultramaratoneta è stato nel fare più maratone allenando il mio corpo a lunghe distanze, da sottolineare che mi spaventava tanto ma dentro di me ho detto: esiste questa gara? La fanno altri? E la farò anch' io, cos ho fatto la mia prima 100km.” 

Per Domenico se per gli altri non ci sono limiti allora neanche per lui ci sono limiti ed ecco come si è trovato a sperimentare la 100 km.

martedì 15 dicembre 2015

Nella corsa di lunga distanza non si vorrebbe smettere mai

Nella corsa di lunga distanza non si vorrebbe smettere mai, anche perché ci sono esempi di atleti longevi quali Marco Olmo che all’età di 60 anni ancora può dire la sua in termini di performance sportiva sulle lunghe distanze, lo spiega Michele Graglia: “Al momento la mia Passione non mi lascia, anzi, e fino a quando avrò il desiderio di spingere ‘oltre’ continuerò questa fantastica avventura. Dopotutto esempi come il grande Olmo mi fanno sperare al meglio, con l’evidente possibilità che nelle corse di lunga distanza si può essere competitivi fino ad oltre 60 anni!”
Ma si può smettere per motivi di salute, per logorio, impossibilitati a continuare. Si smette a malincuore, si vorrebbe essere invincibili, imbattibili, supereroi, infiniti, quasi immortali.
Ho chiesto a diversi ultramaratoneti: “Hai mai pensato di smettere di essere ultramaratoneta o Ironman?”, ecco le risposte, per esempio Angelo Fiorini: “Non ho mai pensato di smettere ma nel momento di massino entusiasmo e di ottima forma fisica, ho dovuto fermarmi a causa di gravi problemi fisici dovuti alla gara più estrema alla quale ho partecipato, la Sparta Atene di 245 km, nell’ottobre del 2011. Dopo 172 km, sono stato costretto a fermarmi e lo sono fino a tutt’oggi!”
Qualcuno anche se a malincuore se ne fa una ragione, come è successo a Vincenzo Luciani: “Fosse stato per me, non avrei smesso mai. Però ho smesso di correre le ultramaratone nel 2007, perché ormai la componente di sofferenza era diventata superiore alla gioia e alla soddisfazione della corsa. Per me è stato sempre importante, essendo un amatore, nel vero senso della parola, divertirmi e quando la corsa non è stata soprattutto divertimento ho deciso a malincuore di smettere. Conservo però la mentalità dell’ultramaratoneta e sono capace in qualsiasi momento, anche a corto di allenamento di percorrere lunghe distanze perché sono corazzato mentalmente a sopportare la grande fatica, nella corsa e nella vita (in media lavoro dalle 12 alle 16 ore al giorno).”

Se non c’è motivazione non vai da nessuna parte

Dalle risposte di ultramaratoneti alla domanda: “Quali i meccanismi psicologici ritieni ti aiutano a partecipare a gare estreme?” emerge l’importanza di alcuni aspetti mentali utili nella vita e nello sport. Ad esempio si considera l’importanza dell’autoefficacia, cioè il sapere di sapere fare, la convinzione di poter riuscire a raggiungere i propri obiettivi.
Per Philip Reiter, per esempio, è importante un alta autoefficacia, il credere in se stessi: “You have to believe in yourself that your body can do it and if you have already had a similar experience that you can do it again. After a few hours it’s only mental work that prevent you from stopping, the body has already told you long time before that it’s enough for him. (Devi credere in te stesso che il tuo corpo può farlo e se hai già avuto un'esperienza simile che si può farlo di nuovo. Dopo qualche ora è solo lavoro mentale che ti impedisce di fermarti, il corpo ti ha già detto molto tempo prima che è abbastanza per lui.)
Importante è anche lo spirito di gruppo che si crea, il condividere le esperienze estreme, l’idea di trovarsi tutti sulla stessa barca, nella sessa situazione ardua da saper gestire e superare.
Si utilizzano anche tecniche di distrazione, di autoconsapevolezza, di visualizzazioni, di auto convincimenti, di ancoraggio.

I trail non sono gare di gambe ma di cuore e, soprattutto, di testa

Hervé Barmasse nel suo testo La montagna dentro (1) spiega l’importanza di fare attenzione a non osare troppo senza aver fatto prima un’importante esperienza: “In montagna capire il proprio limite è sempre molto difficile. Bisogna essere abbastanza coraggiosi da tentare di oltrepassarlo e altrettanto sensibili per capire se si sta esagerando. Nessuno scala per morire, ma il rischio esiste. E nessuno azzarda imprese troppo pericolose senza aver avuto prima la possibilità di crescere attraverso altre esperienze.
Hervé Barmasse racconta la sua esigenza di conoscere il limite: “Ci accomunava l’esigenza di conoscere il nostro limite. Per farlo accettavamo sfide sempre più difficili e intriganti. Volevamo comprendere le nostre debolezze fisiche e mentali, per migliorarci e affrontare al meglio la prossima scalata.”
Dalle risposte di atleti ultrarunner emerge la consapevolezza dell’importanza del fattore mentale per spingersi oltre, per portare il fisico a sforzi estenuanti, ma emerge anche la consapevolezza dell’ascolto del proprio corpo, della possibilità che problemi fisici possano impedire di andare oltre anzi addirittura possono portare l’atleta ad uno stop definitivo per problemi gravi, per aver sottovalutato i messaggi del proprio corpo.
Molti sperimentano davvero il limite, si imbattono in qualcosa che avevano sottovolatutao o non considerato come è successo ad Angelo Fiorini: “E’ stata la Sparta Atene del 2011, che mi ha fatto sperimentare il limite delle mie gare e soprattutto ho capito che bisognava che ascoltassi la richiesta di aiuto da parte del mio fisico. Infatti dopo un inizio brillante della gara, al 130esimo km ho iniziato a sentire sensazioni strane mai avvertite che mi hanno convinto a fermarmi e a ritirami al km 172. In passato, nonostante problemi fisici ho resistito, stretto i denti ma sono sempre arrivato al traguardo.

lunedì 14 dicembre 2015

Corsa Miguel: iscriviti entro 15 dicembre e partecipi a estrazione 100 premi

L'edizione 2016, in calendario per domenica 31 gennaio. La Corsa di Miguel organizzata dal Club Atletico Centrale con l’Unione Italiana Sport per Tutti intitolata alla memoria di un maratoneta-poeta argentino desaparecido, Miguel Benancio Sanchez che amava la vita, l’atletica, l’Argentina, il suo Paese.
Affrettarsi ad iscriversi alla gara competitiva entro il 15 Dicembre 2015 per partecipare a un'estrazione di cento premi che sarà effettuata il giorno 18 (bici, tute, zainetti, felpe, libro sulla storia delle Olimpiadi) e per avere il pettorale personalizzato con la storia dell’atletica, con inciso un numero associato ad un campione che ha segnato la storia dell’atletica leggera.
Era un poeta autodidatta. Il suo “Para vos atleta”, “Per te atleta”, fu pubblicato dalla GazetaEsportiva di San Paolo, il 31 dicembre del 1977, nove giorni prima della sua sparizione. Era un inno alla corsa.
Miguel a 18 anni, prese la sua valigia di cartone e seguì i fratelli che erano già partiti per Buenos Aires. Fu qui che cominciò una nuova avventura. Faceva l’imbianchino e il calciatore prima di scoprirsi innamorato dell’atletica. Giocava nella quarta divisione con il Gymnasia y Esgrima de LaPlata. Ma l’atletica lo conquistò. Si allenava di mattina presto e alla sera tardi con il tecnico Osvaldo Suarez, mitico personaggio che aveva vinto tre volte la Corrida di San Silvestro.
La sua giornata era infinita. Sveglia con una mela, primo allenamento, treno, lavoro, ancora allenamento, scuola serale per completare quegli studi che non aveva finito. A volte rientrava all’una di notte. Aveva tanti fratelli e sorelle, in tutti erano dieci.

Translate