Impegnatevi per ottenere ciò di cui avete bisogno, e quando
non riuscite a ottenerlo, ebbene, sorridete e tentate ancora, in un modo
diverso.
William Hart (1)
L’atleta può considerare il non raggiungimento di un obiettivo prefissato
come una sconfitta personale. Ma nello sport si mettono in conto le sconfitte,
servono a farti fermare, riflettere, fare il punto della situazione, osservare,
valutare, capire cosa c’è stato di utile, di importante nella prestazione
eseguita e su cosa, invece, bisogna lavorare, cosa si può migliorare. Quindi,
tutto sommato, la sconfitta potrebbe servire per fare una valutazione dell
proprie risorse, punti di forza e, al contempo, delle criticità.
Importante in caso di prestazione percepita come sconfitta è la
motivazione, se un atleta è fortemente motivato nel voler praticare il suo
sport che comporta lavori, sacrifici, rinunce, affronterà le sconfitte a testa
alta, complimentandosi con se stesso per quello di buono che è riuscito a fare
finora, complementandosi con l’avversario per la bravura dimostrata in
quell’occasione, anche perché prima o poi lo trovi uno più forte o che comunque
riesce a batterti; in questo caso un aspetto importante del vero campione è la
resilienza, il cui significato è: “mi piego ma non mi spezzo”, che sta a
significare che il vero campione esce fuori dalle sconfitte con più voglia riscattarsi,
di far meglio, di migliorare gli aspetti, le aree in cui ha mostrato carenza;
il concetto di resilienza è presente anche nelle persone che subiscono traumi,
quelli che possiedono questa caratteristica non vanno incontro a stress acuti,
o disturbi post traumatici di stress, ma ne escono più forti, con un valore
aggiunto.
Lo sportivo non è solo, è circondato dall’allenatore che dovrebbe conoscere le sue potenzialità, i suoi punti di forza e di debolezza, dovrebbe costruire con l’atleta un progetto di obiettivi raggiungibili, stimolanti, da rivalutare all’occasione, dare feedback adeguati, spiegare le sedute di allenamento, l’importanza del gesto sportivo, il significato, raccontare aneddoti, far parte della storia sportiva dell’atleta, condividere momenti di gioia e sofferenza, di vincite e di sconfitte, essere disposto ad ammettere di aver fatto un errore, di aver preteso, di aver sottovalutato, di non aver considerato.
Diversamente accade per i campioni che hanno estremo bisogno, estrema
necessità di confermarsi campioni, quando si raggiunge una notorietà molto
elevata, eccessiva, si rischia di attrarre l’interesse non solo della vita
sportiva dell’atleta ma dell’intera vita privata, e questo se all’inizio può
essere piacevole per il piacere di essere riconosciuti, contattati, alla lunga
può produrre stress, nervosismo, deconcentrazione, fino alla distrazione
disfunzionale dall’attività sportiva praticata. L’atleta è tentato a rilassarsi
troppo, a non investire proficuamente nello sport, e questo va a discapito
dellla performance che richiede un investimento notevole. In questi casi
l’atleta campione è tentato a distrarsi perché cambia la motivazione, conosce
il piacere della notorietà senza faticare, ma la gente si interessa a lui per
il solo fatto di essere stato campione e ciò può portare a una reale fine
carriera.
(1) William Hart, LA MEDITAZIONE VIPASSANA come insegnata da S.N. Goenka Un’arte di
vivere, Edizioni ARTESTAMPA, 2011, Modena.
Psicologo clinico e dello
sport, Psicoterapeuta Gestalt ed EMDR
380-4337230
- 21163@tiscali.it