Matteo SIMONE
Nel ciclismo specialmente delle grandi competizioni a tappe, l’atleta è sottoposto a un continuo, importante sforzo fisico, conseguentemente anche un parziale e piccolo aumento della concentrazione dei globuli rossi, tende a migliorare l’apporto di ossigeno ai tessuti e quindi migliora in qualche maniera la prestazione.
Naturalmente i rischi e gli effetti collaterali importanti sono grandi. Il sangue di un atleta che ha fatto uso di eritropoietina sintetica è talmente denso che non riesce a scendere dalla provetta quando la si capovolge.
L’aumento della viscosità del sangue è dovuta alla presenza in circolo di molti più elementi corpuscolari di quelli che ci dovrebbero essere, con tutti i problemi correlati: infarto del miocardio, trombosi, ictus, embolia polmonare, convulsioni. (Commissione per la vigilanza ed il controllo sul doping e per la tutela della salute nelle attività sportive, 2007)
Per autoemotrasfusione (AET) (anche indicata con i termini: doping ematico, emodoping, eritrocitemia indotta) si intende il prelievo di sangue da un atleta e la successiva reinfusione nello stesso individuo di globuli rossi (più raramente di sangue intero) al fine di aumentare la capacità del sangue di trasportare ossigeno.
Per molto tempo è stata utilizzata la emotrasfusione omologa, cioè la trasfusione di sangue compatibile con quello del soggetto ricevente, ma proveniente da un altro individuo. Tale tecnica è stata abbandonata perché dipendeva necessariamente dalla presenza di un donatore ed esponeva maggiormente ai rischi infettivi e di incompatibilità legati alla trasfusione.
Gli sport nei quali è stata prevalentemente usata o sperimentata l’AET sono quelli di fondo, a prescindere dalla specialità (sci, maratona, ciclismo) essendo attività fisiche la cui pratica è resa possibile grazie a fonti energetiche di tipo ossidativo, che utilizzano, cioè, l’ossigeno del sangue. La necessità di ridurre al minimo le complicanze legate alla trasfusione di sangue e il notevole sviluppo delle tecniche di biologia molecolare e di ingegneria genetica hanno reso disponibile l’eritropoietina, un fattore di crescita di origine renale che regola la produzione dei globuli rossi.
L’effetto collaterale più importante delle trasfusioni di sangue è il rischio di infezioni, che è stato ridotto dalla sostituzione della trasfusione omologa con l’AET ed eventualmente dall’uso dell’eritropoietina.
Eritropoietina ricombinante. In seguito all’isolamento e alla purificazione dell’eritropietina da urine umane nel 1977, è stato possibile negli anni Ottanta identificare il gene da cui dipende la sintesi di questo ormone ed ottenerne il prodotto mediante tecniche di ingegneria (eritropoietina ricombinante o epoietina).
E’ prudente non sottovalutare i pericoli potenziali di questo farmaco, legati essenzialmente all’aumento dell’ematocrito e della viscosità del sangue: ipertensione, insufficienza cardiaca, ictus cerebrale, infarto miocardico.
Secondo una indagine promossa nel 1988 dal CONI e dal Consiglio Nazionale delle Ricerche, il 7% degli atleti italiani ricorrerebbe a pratiche di AET. Queste percentuali si raddoppiavano se il doping veniva considerato come fatto occasionale.
Grande scalpore suscitò nel 1985 la rivelazione del Comitato Olimpico Statunitense secondo cui 7 dei 24 membri della squadra olimpica ciclistica USA, tra cui 4 premiati, avevano ricevuto trasfusioni di sangue per migliorare le loro prestazioni nelle Olimpiadi di Los Angeles.
Condannato dalla Commissione Medica del Comitato Internazionale Olimpico nel 1976, il ricorso alla AET è oggi ufficialmente vietato, insieme a quello dell’eritropoietina (Simone M., Doping. Il cancro dello sport., Edizioni FerrariSinibaldi, Milano, 2014, pp.69-73).
A seguito di un controllo incrociato sangue-urine a sorpresa, effettuato su 50 atleti alla vigilia dei campionati del mondo di Edmonton 2001, tra i dieci casi sospetti – secondo la Iaaf – di ulteriori accertamenti, quello del trentaseienne Roberto Barbi, è risultato l’unico caso di positività ed il primo caso mondiale di EPO nell’atletica. In un'intervista apparsa sulla Gazzetta dello Sport il 28 agosto 2001, Leonardo Ricci, il suo trainer, racconta di una conversazione in cui l’atleta ha confermato la sua colpevolezza, puntando il dito su uno sconosciuto che gli avrebbe offerto delle fiale durante il ritiro di St. Moriz (Simone M., Psicologia dello sport e dell'esercizio fisico. Dal benessere alla prestazione ottimale, Sogno Edizioni, Genova, 2013, p. 127).
Nel libro “Mondo doping” sono riportate spontanee dichiarazioni che il 13 dicembre 2001 Barbi riportata ai Carabinieri dei NAS: “Sono un atleta della maratona già appartenente alla Società Cover di Verbania ed alla nazionale italiana di atletica. Sono stato trovato positivo al test epo ai controlli antidoping agli scorsi mondiali tenutisi nell’agosto 2001 in Canada ad Edmington. In relazione a tale positività mi è stata inflitta, dalla Federazione Italiana di Atletica Leggera e dalla Federazione Internazionale, una squalifica di 4 anni. Questo episodio ha cambiato la mia vita: al di là dell’allontanamento dallo sport che amo mi ha profondamento colpito anche per motivazioni di carattere morale: ho una bambina di nove anni che sta iniziando ora l’attività atletica, voglio quindi contribuire a farla crescere in un mondo sportivo pulito ed allo stesso tempo voglio riacquistare il più possibile la credibilità ed il rispetto dell’opinione pubblica.
Per questo ho deciso di rivolgermi a qualcuno per raccontare il reale svolgimento dei fatti e tutto quello che è a mia conoscenza sulla piaga del doping, con la speranza di contribuire a migliorare le cose. Ho fatto uso di eritropoietina per migliorare i miei risultati sin dal giugno 1998, prima della maratona di New York nella quale mi qualificai 6°.” (Bardelli R., Mondo doping. Angeli, demoni e furbetti nello sport, Bradipolibri Editore, Torino, p. 280-281)
Matteo SIMONE
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