martedì 17 marzo 2020

La passione della corsa


In linea di massima la passione della corsa permette alle persone di mettersi alla prova, di condurre un sano stile di vita, di salire su un treno fatto di fatica e gioie, di relazioni, di mete e obiettivi da costruire, di situazioni da sperimentare. 

Da un lato l’autoefficacia e la riuscita sono stimoli importanti e gratificanti, ma bisogna fare anche i conti con le sconfitte e con gli infortuni. Bisogna sviluppare consapevolezza delle proprie risorse e capacità, ma anche dei propri limiti: è necessario consolidare questi concetti per mantenere un buon equilibrio. 
Ovviamente, come in tutte le cose, si può degenerare in malattia. La malattia è dietro l’angolo, bisogna restare in contatto con le proprie esigenze e i propri bisogni, è importante mobilitare le energie per soddisfarli e poi non rinunciare mai a godere di quello che si è riuscito a fare aspettando l’emergere di nuovi bisogni. Questo è in sintesi il ciclo del contatto. Quando si interrompe questo ciclo, quando si spezza il rapporto con noi stessi e si gira a vuoto accumulando infelicità, è quello il momento in cui il passo verso il patologico si compie.
Quando gli allenamenti e le gare diventano il pensiero unico, quasi ossessivo, allora la dipendenza è una logica conseguenza. Questo accade quando la persona non ha una buona vita relazionale, quando il rapporto con amici o familiari è solo “di facciata” ma non è frutto di un vero incontro con l’altro, di un autentico scambio, allora a quel punto la corsa diventa il riempitivo di una voragine affettiva, l’unica cosa che può dare un senso all’esistenza perché tutto il resto appare noioso e superfluo. Il confine è estremamente sottile e solo una buona consapevolezza di sé stessi può aiutarci.
Quando non siamo disponibili al cambiamento, quando rinunciare ci fa stare troppo male, questi sono campanelli a cui dobbiamo prestare attenzione. Dico sempre che è importante considerare il momento presente: il “qui e ora”!  Dobbiamo pensare in questi termini: “ora voglio fare questo”, “ora ho questo obiettivo in mente”, tuttavia dobbiamo sempre cavalcare l’onda del cambiamento con pazienza, fiducia e resilienza.

Ci può essere una sconfitta, un infortunio o semplicemente un mutamento della situazione familiare o lavorativa che non ci consentono più di dedicarci alla corsa come una volta. Tutto muta e si trasforma, ma questo non deve essere un problema anzi può diventare uno stimolo per nuove esperienze. Lo sport, come ogni cosa nella vita, dà molto ma toglie anche molto.
Chiedersi cosa ci fa stare bene quando corriamo e cosa invece ci disturba o fa male ci permette di avere sempre una visione obiettiva sul presente. In questo modo ci rendiamo conto da soli quando il correre non è più un qualcosa di benefico e quando è il momento di mollare. Consapevolezza e resilienza, sempre. Partire sempre dal “qui e ora” e andare avanti seguendo le nostre pulsioni verso ciò che vogliamo raggiungere. 
Fermarsi ogni tanto è importante per riflettere e coltivare altre pratiche come la meditazione. Nella mia attività ho sviluppato un modello dal nome R.O.SA che è l’acronimo di Respiro, Osservazione, Sensazioni, Autoconsapevolezza. È importante anche fermarsi e ascoltarsi, notare il proprio respiro, guardarsi dentro e anche percepirsi come parte di un tutto: l’ambiente circostante, le persone che ci circondano. È fondamentale sviluppare più autoconsapevolezza attraverso la percezione di sé stessi, delle proprie sensazioni corporee, avvertire il dolore, il caldo o il freddo, ad esempio.
Segnalo alcuni miei libri pubblicati con Prospettiva Editrice: Sviluppare la resilienza; Triathlon e Ironman. La psicologia del triatleta; Lo sport delle donne. Donne sempre più determinate, competitive e resilienti; Sport, Benessere e Performance. Aspetti psicologici che influiscono sul benessere e performance dell’atleta; Ultramaratoneti e gare estreme.

Matteo SIMONE

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