lunedì 15 giugno 2015

Ultramaratona non è solo muovere le gambe, ma usare la testa

Gli ultramaratoneti, in genere non sperimentano l’ansia della competizione, del pregara, ma quello che in genere avviene una certa aspettativa positiva, non si vede l’ora di affrontare il lungo viaggio che, come i lunghi viaggi, è fatto di conoscenza, di scoperte, di imprevisti.
Gli ultramaratoneti come si fa per i lunghi viaggi, si preparano in anticipo, si informano sulle condizioni climatiche sul percorso, su quello che è opportuno o indispensabile portare a seguito, si documentano. Come i lunghi viaggi diventa importante la preparazione, l’attesa, c’è una voglia di divertirsi, di conoscere, di scoprire se stessi e quello che succede.
Per gli ultramaratoneti non si tratta di fare gare estreme ma occasioni per divertirsi, infatti affrontano tale imprese con opportuna preparazione e accorgimenti in modo da non trovarsi in condizioni di estrema difficoltà, certo, come nei lunghi viaggi che capitano imprevisti, anche nelle ultramaratone possono accadere degli imprevisti lungo il percorso, ma ciò non impedisce di fare esperienze che danno un senso alla propria vita.
Ecco cosa raccontano alcuni grandi ultraviaggiatori rispondendo alla domanda Che significa per te partecipare ad una gara estrema?”.:
Angelo fiorini: “Cosa significava per me partecipare a gare estreme? La gente si domandava: ma chi te lo fa fare!!!!!! Per una medaglia! A queste persone rispondevo che solo chi prova una passione poteva capire l’adrenalina che cresce dentro di te quando fai una cosa cui credi e che non deve avere necessariamente un rientro economico e la corsa non ne ha nessuno! E la felicità nel tornare a casa con la medaglia al collo! Capisco che sia difficile per i più capire questa passione, ma sono soddisfazioni che ti riempiono di orgoglio anche se certe imprese non portano niente di concreto ti danno una carica che ti fa superare la fatica fisica. “

mercoledì 10 giugno 2015

Cosa significa partecipare a una gara estrema?

Matteo Simone 


La partecipazione a gare estreme è una scoperta, un contattare il proprio limite, sfidare se stessi, conoscere nuovi percorsi, sentire nuove emozioni; mentre alcuni considerano le gare estreme qualcosa da affrontare serenamente con sicurezza a volte sottovalutando la difficoltà ed il rischio che si corre.

Per gli ultramaratoneti non si tratta di fare gare estreme ma occasioni per divertirsi, infatti affrontano tale imprese con opportuna preparazione e accorgimenti in modo da non trovarsi in condizioni di estrema difficoltà, certo, come nei lunghi viaggi che capitano imprevisti, anche nelle ultramaratone possono accadere degli imprevisti lungo il percorso, ma ciò non impedisce di fare esperienze che danno un senso alla propria vita.

Se ti alleni bene il tuo corpo si adatta a tutto

Gli ultramaratoneti riportano di non considerare la partecipazione ad ultramaratone come spingersi oltre i limiti ma hanno un approccio di sicurezza in quello che fanno avendo sperimentato con gradualità crescente la propria autoefficacia, cioè di poter riuscire ad aumentare il chilometraggio in allenamento ed in gara utilizzando delle strategie che gli permettano di superare eventuali crisi, difficoltà o quello che viene definito limite. Altri vogliono sperimentare sensazioni che possono essere di dolore o sofferenza che comunque non impedisce il raggiungimento di un loro obiettivo.
Alla domanda: “Cosa ti spinge a spostare sempre più in avanti i limiti fisici?”, di seguito le risposte ricevute:
“Rispondo per il passato: mi spingevo oltre i limiti fisici, perché ero e sono uno ‘tosto’, un caparbio, che si piega ma non si spezza, e credo in quello che fa e che soprattutto credo che provare non costa niente, e se riesco bene altrimenti posso dire di averci provato. E mi ha detto bene fino alla Sparta Atene dove ho sperimentato a quello cui nessuno pensa: che in queste gare estreme si può rischiare seriamente la salute!! A pro’ di che?”
“Vedere fin dove riesco a spingermi.”
“Non lo so, c’è qualcosa dentro che mi spinge ad andare oltre, che mi fa star bene dopo una fatica del genere, soddisfatto di aver superato me stesso.”
“Le sensazioni indescrivibili che comunque si provano prima, durante e dopo. Quando non le avvertirò più, smetterò di “spostare in avanti” il limite.”
“Il desiderio di sfidare il proprio corpo, ma mantenendo sempre la consapevolezza del proprio gesto.”
“Conoscere appunto i miei limiti.”

Come fare per torvare un po di forza quando ci si sente azzerati

Il lavoro da fare non è semplice ed è lungo, di pende dalla persona, richiede volontà e resistenza. Bisogna lavorare su diversi aspetti tra i quali l’autoconsapevolezza, la ricerca di risorse personali, l’incremento dell’autoefficacia, lo stabilire priorità e/o obiettivi.
E’ possibile iniziare dall’azzeramento, una sorta di vuoto fertile e focalizzarsi sul respiro e le sensazioni corporee per sentirsi, sentire il vero se stresso, comprendere nel “qui e ora” come si sta, cosa si vuole e, un po per volta, mobilitare le energie per soddisfare i propri bisogni.
Qualcuno ci ha provato e mi ha risposto: “Grazie! Ci provo! Guarda sono in bici proprio perché riesco a pensare solo al respiro e alla natura così bella! Oggi è la prima volta dopo tanto tempo e vedo che mi sta piacendo. Fa bene allo spirito.”
William Hart, nel suo testo “L’ARTE DI VIVERE”(1), spiega l’importanza di sviluppare l’autoconsapevolezza vivendo nel qui e ora: “Quando ci sediamo tranquilli e fissiamo l’attenzione sul respiro, senza l’interferenza di alcun pensiero, attiviamo e manteniamo un salutare stato di autoconsapevolezza.
Fissare l’attenzione sul respiro favorisce lo sviluppo della consapevolezza del momento presente. La giusta concentrazione consiste nel mantenere questa consapevolezza il più a lungo possibile, momento dopo momento. Ogni giorno, nel compiere le azioni abituali, dobbiamo essere concentrati.”
KABAT-ZINN nel suoi testo “Dovunque tu vada ci sei già. In cammino verso la consapevolezza” (2) illustra l’importanza del non fare, di fermarsi, di sperimentare l’essere: “Un buon modo di interrompere le nostre occupazioni è passare per un momento alla ‘modalità dell’essere’. Valutate semplicemente questo momento, senza tentare affatto di cambiarlo. Cosa sta accadendo? Cosa provate? Cosa vedete? Cosa sentite?

La corsa più dura del mondo

Sulla rivista Acqua&sapone di maggio 2012 Angela Iantosca intervista Roberto Ghidoni che ci spiega come ha scoperto la corsa più dura del Mondo: “Una mia amica mi fece vedere un video riguardante la traversata dell’alaska, la Iditasport Extreme. E decisi che era giunto il momento di partire.” E’ quello che è successo e succede a tanti che vengono chiamati, attratti dalle lunghe distanze o da percorsi estremi.
Alla corsa più dura del mondo si può partecipare come runner, in bici o con gli sci, importante è percorrere la distanza prevista in totale autosufficienza. Il 1999 Roberto venne a conoscenza di questa gara ed il 2000 si iscrisse per partecipare arrivando al 3° posto percorrendo la distanza di 560km. Da lì scattò una passione irrefrenabile paragonabile al mal d’africa, una sorta di mal d’Alaska. L’anno dopo, più determinato e sicuro fa il bis arrivando primo ex-equo. L’anno successivo, il 2002 la competizione cambia nome in “Idita Trail Invitational” e Roberto partecipa percorrendo e vincendo la distanza di 1765km. Ancora l’anno successivo, per motivi climatici la distanza è ridotta a 1265 km e roberto sempre più determinato e con più esperienza arriva primo non solo dei runners ma anche degli atleti in bici e con gli sci. Il 2004 nonostante una tromboflebite arriva primo dei runners con un vantaggio di 11 ore sul secondo arrivato.
Di seguito riporto l’intervista di Angela Iantosca fatta a roberto Ghidoni e riportata sulla rivista Acqua&sapone di maggio 2012 :

Il potere della nostra immaginazione può dirsi pressoché infinito

Gallese, soprattutto a seguito della scoperta dei neuroni a specchio, nel suo testo “La molteplice natura delle relazioni interpersonali”, descrive l’importanza dell’immaginazione come una sorta di simulazione mentale: “In quanto esseri umani, abbiamo la facoltà di immaginare mondi che possiamo avere o non avere visto prima, immaginare di fare cose che possiamo avere o non avere compiuto prima. Il potere della nostra immaginazione può dirsi  pressoché infinito.
L’immaginazione visiva condivide con la reale percezione diverse caratteristiche. Ad esempio, il tempo impiegato per scrutare attivamente con gli occhi una scena visiva coincide con quello impiegato per limitarsi ad immaginarla. Una serie di studi di brain imaging hanno dimostrato che quando immaginiamo una scena visiva attiviamo regioni del nostro cervello che sono normalmente attive durante la reale percezione della stessa scena.
Come nel caso dell’immaginazione visiva, anche l’immaginazione motoria condivide diverse caratteristiche con la propria controparte ‘attiva’ nel mondo reale. La simulazione mentale di un esercizio fisico, ad esempio, induce un incremento della forza muscolare che è paragonabile a quello ottenuto col reale esercizio fisico. Quando immaginiamo di compiere una data azione, vari parametri fisiologici corporei si comportano come se noi stessimo effettivamente eseguendo quella stessa azione. La frequenza cardiaca e respiratoria aumentano durante l’immaginazione di compiere esercizi motori. Tali aumenti inoltre, così come accade nel reale esercizio fisico, crescono linearmente col crescere dello sforzo immaginato.” (1)

Sensazioni sperimentate con amici o altri atleti incontrati durante i lunghi percorsi di gara

Tra gli aneddoti raccontati dagli ultramaratoneti vi sono tante emozioni sperimentate correndo sia in solitudine stando con i propri pensieri, dolori, sofferenze ma anche riuscire nei propri obiettivi e anche sensazioni sperimentate con amici o altri atleti incontrati durante i lunghi percorsi di gara.

Molti aneddoti riguardano situazioni di crisi superate, dove si arrivava al punto di considerare di non fare più questo tipo di competizioni stressanti dal punto di vista fisico e mentale ma che poi dopo aver gestito la situazione e superata la crisi, la voglia di riprovare tornava sempre per far meglio, per mostrare a stessi e agli altri di riuscire in quello che si vuole. Ecco cosa viene raccontato rispondendo alla domanda: Ti va di raccontare un aneddoto?
Angelo Fiorini: “Quando ero ricoverato in ospedale, il mio vicino di letto, un signore di 81 anni, quando ha sentito perché stavo là, mi ha chiesto: Ma quanto ti hanno dato? E gli ho risposto niente, anzi avevo sostenuto una bella spesa per andare, mi ha detto che ero stato proprio scemo! E ci avevo pure rischiato a vita! Ed ero diventato un soggetto in quanto i dottori dell’ospedale di altri reparti, dopo che avevano sentito il mio caso, venivano a trovarmi e mi domandavo sorpresi di quello che avevo fatto. “
Pasquale Artuso
: “LA MIA PRIMA 100KM DEL PASSATORE (un lungo viaggio) Ultimi 400mt inizia la volata, ho un tizio davanti e non voglio mi rovini la foto dell’arrivo, lo supero a 200mt dal traguardo, passo sotto l’arco di arrivo, esausto ma soddisfatto! Alzo le braccia al cielo, ce l’ho fatta, contro il ginocchio, contro il piede, sono fiero di me mentre una ragazza mi mette la medaglia al collo e mi dice 'bravo'! Dedico questo traguardo a mia moglie che mi ha sempre sostenuto, ai mie figli ai quali spero di aver insegnato che ‘volere è potere’, ai numerosi amici che mi hanno sempre incoraggiato e a me, bravo ad averci creduto fin dall’inizio. Molti mi chiedono se la rifarò, negli ultimi km mi ero ripromesso di non rifarla più, e anche dopo il traguardo non avevo cambiato idea, dal lunedì successivo invece i dolori iniziano a sparire ma nella mente resta il ricordo delle belle emozioni provate, ogni tanto mi vengono a trovare e credo e spero che queste rimangano per sempre dentro di me.”
Marco Stravato: Matteo non mi viene in mente nulla, avrei tante storie da raccontare, tante gare che lasciano il segno (positivamente parlando) ma aneddoti non me ne vengono in mente, nelle gare ultratrail incontri persone per vari km parli con loro, poi ci si lascia ad un ristoro, poi si continua il viaggio con altri amici, all’ultimo passatore prima incontrai la vincitrice di una 100 km del Sahara, stava attraversando una crisi pazzesca, l’ho incoraggiata a non mollare, a camminare che la crisi prima o poi passa, ed è passata, poi ho incontrato un ultra che aveva corso la settimana prima la nove colli e correva per defaticamento la 100 km del Passatore.”
Stefano La Cara: “Ironman Klagenfurt 2013, per una serie di casualità ci siamo ritrovati ad un chilometro dalla fine io ed altri due compagni di squadra. Abbiamo finito la gara correndo abbracciati. Qualcosa di inimmaginabile.”
Vincenzo Luciani: “Tra i miei amici ce n’è uno; Sergio Narcisi, che ho dovuto convincere con molta fatica a fare la sua prima Roma Ostia con me. Dopo aver superata la prova, l’ho convinto a fare addirittura la Pistoia Abetone e ci sono riuscito. Da allora non ha più smesso di fare maratone e ultramaratone, molte più di me al ritmo persino di 30-40 l’anno. E pensare che mi dava del matto a me!
Marco Dori: “La 100 km di Asolo e la 100 km delle Alpi hanno avuto una cosa in comune: la presenza di mucche! Ad Asolo eravamo circa 180 iscritti e dopo aver scalato il monte Grappa è iniziata la discesa per tornare indietro nella notte. Eravamo pochi e per molti km sono sceso da solo senza incontrare nessuno. Avevo la lampada frontale e a un certo punto mi è venuto il dubbio di aver sbagliato strada. Ho corso parecchi minuti con questo dubbio che si faceva sempre più insistente. Non sapevo davvero cosa fare, se tornare indietro (ma sarebbe stata salita) o se proseguire avendo fiducia che la strada fosse quella giusta. A un certo punto ho visto al lato della strada una mucca (che ho fotografato) e mi sono rivolto a lei a alta voce chiedendole ‘Ti prego mucca, dimmi se è la strada giusta!’ Durante la 100 km delle Alpi, a causa di una scarsa preparazione e degli errori commessi nello scegliere l’abbigliamento ho dovuto iniziare a camminare molto presto, circa al 45esimo km (quindi con la prospettiva di camminare per più di mezza corsa). Verso il 55esimo mi sono trovato in mezzo a un gregge di mucche con dei campanacci che suonavano fortissimi. E’ stata una emozione molto grande sentire quel suono tanto che mi sono messo a piangere.”
Fabrizio Terrinoni: “Una cosa che ricordo con particolare piacere è stato il mio ritorno appena finito l’Ironman all’appartamento che avevo affittato a Klagenfurt, il cui ingresso era in corrispondenza di uno dei rifornimenti del percorso maratona: quando sono arrivato, tutti i volontari addetti ai rifornimenti si sono voltati verso di me tributandomi un lungo applauso, sebbene fossi un qualsiasi partecipante. Questo ci fa capire come è vissuto lo sport in altri Paesi.”
Sole Paroni: “La mia voglia di ricerca dei miei limiti mi ha portato a correre una mezza maratona 41 giorni dopo aver partorito mia figlia Victoria.”
Mauro Fermani: “Al momento non me ne viene in mente nessuno di particolare. Forse è carino menzionare che nel corso della seconda 100 miglia dopo poche ore di gara ho incontrato un amico, che l’anno prima si era dovuto ritirare, che stava correndo con il suo cagnolino Pepito, un Jack Russell e che poi abbiamo terminato la gara insieme con il suo ‘pazzo’ padrone.”
Ciro Di Palma: “Aneddoti tanti. Allucinazioni in gara: scambiai un masso per un cane dopo trenta ore di corsa e rimasi ad aspettare fermo sotto un diluvio per 10 minuti aspettando che se ne andasse (Brazil135), Quando alla Nove Colli scambiai gli alberi x mostri che mi volevano mangiare.”
Claudio Leoncini: “Nel 2007 vinsi il campionato italiano della 6h su strada e quando venne sancita la fine ufficiale della gara io mi trovavo nella zona opposta del circuito di gara rispetto all’arrivo (nelle gare a tempo accade) e mi sono ritrovato a esultare nel nulla.”
Monica Casiraghi: “La corsa mi ha insegnato che con impegno e sacrifici si possono realizzare i sogni; diverse volte mi è capitato di pensare che tutto era finito, con la mia forza di volontà sono riuscita a proseguire la gara e vincere; questa è la mia forza! La mia testa ha sempre fatto la differenza ho imparato a resistere a tener duro, e così ho realizzato i miei sogni.”
Marco D’Innocenti: “Nel 2013 mi sono ritirato al 96esimo chilometro del Passatore, quando ero in quinta posizione ed avevo una proiezione finale di 7h10’.”
Paolo Zongolo: “Ce ne sono molteplici ma l’incontro di notte con 2 atleti (un giapponese e un russo) alla Spartathlon è bello per far capire lo spirito delle ultramaratone, non capivano nulla mentre parlavamo 3 lingue completamente differenti eppure è come se fossimo in sintonia e stranamente le nostre parole sembravano della stessa frequenza e ci passavamo acqua o ci davamo l’incitamento giusto e lo abbiamo fatto per almeno 50 km.”
Ivan Cudin: “Negli anni in cui ho vinto la Spartathlon un’anziana signora sul percorso mi ha donato un beneaugurante rametto di basilico. Se ci torno spero di ritrovare la signoraPrima di iniziare a correre un medico mi disse, a seguito di un serio incidente, che non avrei più potuto fare gare agonistiche. Credo si fosse sbagliato.
Daniele Baranzini
: “Mi trovo in una austera ‘meeting room’ di un hotel a 5 stelle in centro a Dublino, poco distante da Merrion Square. Sono le tre di pomeriggio e sono ad un meeting di uno dei tanti progetti di lavoro. Ascolto, intervengo, mi diverto, mi annoio, mi appassiono. Il mio lavoro insomma. Poi l’idea. Controllo al computer le distanze da Dublino per una destinazione sconosciuta. Ci sono tanti nomi e località che attirano la mia attenzione. Lascio scorrere il dito sul display del mio portatile e seguo una strada verso Sud. ‘Ecco la destinazione! penso mentre con un sorriso inebetito faccio finta di prestare attenzione ad un diverbio tra due colleghi. Da quel momento per circa 15 minuti, mi perdo nelle strade segnate sul sito web ‘Michelin’ e ‘Google Maps’. Il tragitto è poco più di 60km. ‘Correrò da Dublino a Greystones dopo questo meeting di lavoro’.”
Giuseppe Mangione: “Un aneddoto potrebbe essere la mia prima 100 del passatore nel 1996 sulla colla ai 50km giurai di dedicarmi solo ai 5000 mt, ero stravolto, da allora ne ho fatto tantissime fino a vincere negli ultimi 3 anni 4 titoli italiani m50 in 4 distanze diverse 6 ore, 12 ore, 24ore, 48ore.”
Lisa Borzani: “Uno che mi piace è questo. Alla fine del mio primo tentativo di ultratrail di 50km arrivai al traguardo 3 ore dopo il mio compagno e, quasi in lacrime per la troppa fatica provata gli dissi: ‘mai più!! asfalto tutta la vita!!’ Poi l’anno successivo cominciai ad allenarmi per il Tor des Geants.
Federico Borlenghi: “Ti posso raccontare di come la nostra testa sia importante in questo tipo di gare e di come basti poco per superare una crisi. Stavo partecipando alla mia prima 24h dopo una buona metà gara insorgono i primi problemi stanchezza fatica ecc. io ero andato con l'obbiettivo di fare almeno 220km. Ad un certo punto non volevo più quasi correre il mio assistente/allenatore mi ferma un attimo e trova le parole giuste riattiva in me la voglia di correre l'ultima ora di gara dovrei averla corsa più forte addirittura della prima, questo per dire che su questo tipo di gare ho ti fermi per veri problemi fisici altrimenti tutto il resto è superabile, chi ci riesce può arrivare a grandi cose.”
Maria Chiara Parigi: “Aneddoti sono le crisi lungo il percorso che mi fanno fare di tutto ma poi passano ed è un po' come risorgere!
Filippo Canetta: 6 anni fa ho concluso a fatica una gara di 35 Km, all’arrivo mi sono commosso nel vedere l’arrivo degli atleti della corrispondente gara lunga (70 Km). Pensavo fosse qualcosa di impossibile e la mia ammirazione per loro era immensa. Ora, dopo 6 anni e tanti Km, le gare di 70 Km sono per me gare di avvicinamento ad obiettivi più grandi.”
Antonio Carozza: La paura quando, iscrittomi alla prima maratona, quella di Roma, ho provato salendo le scale del Palazzo dei congressi per il ritiro del pettorale.”
Stefano Bognini: Se partecipo ad ultramaratone assieme al mio gemello, se il fisico me lo permette, torno sempre indietro a prenderlo e concludo la gara con lui.
Michele Belnome: “Aver invertito la calzata delle calze a compressione proprio in occasione della mia prima partecipazione alla 1000 km del 'Passatore'".
Salvatore Musone: Avevo 15 anni, ero andato all’ospedale a far visita a mio padre, lui mi ha visto turbato e mi ha chiesto il perché, gli ho detto che c’era una gara podistica al paese, mio padre sapeva che la corsa ce l’avevo nel sangue mi ha autorizzato a partecipare, Vado di corsa alla partenza, purtroppo non faccio in tempo ad iscrivermi ma corro lo stesso, arrivo primo classificato, Ovviamente non mi vogliono dare il premio, lì c’erano tante persone anziane. Una di loro mi ha detto: te la sentiresti di correre di nuovo, io gli ho risposto di si. Poi ha parlato con il secondo arrivato che non era d’accordo a ripetere la gara. Mi hanno premiato. A distanza di qualche anno, mi sono fidanzato, e  il papà della mia ragazza era quel signore che poi è diventato mio suocero. Dopo tanti anni gli ho regalato la coppa vinta a quella gara. “
Giorgio Calcaterra: Ho corso una 100km con a fianco la mia compagna in bicicletta, ho dosato bene le energie, mi preoccupavo per lei, mi preoccupavo che non si stancasse e alla fine ho vinto la gara facendo il mio personale, ho chiuso gli ultimi km molto velocemente e ho capito che la mente fa tanto, il pensare a lei mi ha distratto e non ho sentito la fatica più di tanto.”
Roldano Marzorati: Anni fa correvo e facevo triathlon ma non mi ero mai avvicinato all’ultramaratona perché la consideravo una cosa massacrante e oltre la mia preparazione. Un giorno chiacchierando con la mia compagna che mi stava seguendo in bici mentre correvo, lei mi disse che per le qualità atletiche di resistenza e tenacia avrei potuto fare la 100 km del Passatore: è bastata questa affermazione per farmi rivalutare la mia riottosità all’ultramaratona ed una settimana dopo mi sono iscritto e 2 mesi dopo l’ho portata a termine con un buon crono. La cosa strabiliante è che ho adottato la stessa tecnica con lei ed ha funzionato!! Ora la mia compagna è in Nazionale 24 h ultramaratona!”
Roberto D’Uffizi: “Una crisi di sonno, di freddo, una stanchezza mai provata al limite del collasso, pallore e vomito, impossibilità anche nel camminare piano e in linea retta, completamente al buio, i muscoli bloccati... c’era da impazzire... tutto questo dopo 70 km di gara e con altri 30 davanti... ho creduto in me e, nonostante la scarsa lucidità, ho usato la testa e l’ho finita... correndo!
Marco Zanchi: “UTMB 2011, mai fatto 170km tutto d’un fiato, al 90km sono in crisi, ho i crampi e voglio ritirarmi in uno sconforto totale. Sono sdraiato all’interno della tenda del ristoro da un’ora e di colpo arriva la mia amica Cinzia anche lei in gara, che urlando mi dice ‘dai dai alza le chiappe smettila di lamentarti e andiamo!’ Non mi sono più fermato recuperando 80 posizioni e giungendo 29° e primo Italiano.”
Marinella Satta: Si, alla 1 maratona di Rieti del 1980, quando vinse la maratona Maria Pia D’Orlando in h 2, 46, lei aveva 46 anni, praticamente il doppio della mia età, l’invidia in senso buono e senza invidia, tra me e me dissi, a 40 anni anche io andrò in nazionale, se ci arriva lei a 46 anni non vedo perché non possa arrivarci io. In effetti, per puro caso a 42 anni, nel 1999 fui convocata in nazionale per partecipare al Campionato del mondo della 100 km.”
Mena Ievoli
: “Quando sono andata a ritirare il mio pettorale l’organizzatrice mi dice: 'Brava sei venuta a ritirare il pettorale per il tuo compagno?' E io le rispondo: 'No', lei allora: 'Per un  tuo amico?' E io: 'no, veramente è il mio' e lei è rimasta a bocca aperta.”
Valentina Spano: “Il mio primo trail l'ho fatto nell'isola di Capraia. Non ero assolutamente allenata, sono arrivata terzultima, sono caduta un numero infinito di volte. Mio marito era al traguardo stravolto dalla preoccupazione, ho chiuso la gara con una tallonite, insanguinata e dolorante, ma ho visto Capraia in lungo e in largo!”
Gianluca Di Meo: “Ero sul divano, correvo al massimo 42km su asfalto, qualche 100km su strada, all improvviso il TG5, Marco Olmo aveva vinto l’UTMB. Cos’era questo UTMB. 166km 10000d+ in montagna. Massacrante! Mai corso in montagna, il giorno dopo comprai scarpe da trail e zainetto. 4 anni dopo finii il mio primo UTMB. 8 anni dopo invitai Olmo a correre sui monti di casa mia. Strana la vita.
Vito Rubino: “Quando ero adolescente uscivo con i miei amici in bici sul Gargano. Io avevo voglia di andare oltre e scoprire nuove strade. Loro invece volevano tornare a casa. Allora io dicevo di conoscere una scorciatoia e tutti mi seguivano, soprattutto quando era in discesa. Poi si rendevano conto che non era una scorciatoia e c’erano delle salite ripidissime da fare e io me la ridevo. Uso tuttora la stessa tecnica con mia moglie quando usciamo in bici o di corsa.”
Silvio Cabras: “Ho corso con tutte le condizioni meteo possibili, ricordo in particolare un giorno che mi stavo allenando! mi aveva raggiunto una violentissima grandinata e non accennava a diminuire, non potevo ripararmi, quel giorno sono andato nel panico!
Dante Sanson: “Consideravo l’idea di partecipare alla 100km del Passatore un obbiettivo, talmente ambizioso, da provare un certo senso di vergogna, anche al solo pensiero di confidarlo ad amici, colleghi e parenti. Poi finalmente è arrivato il grande giorno, sabato 31maggio si parte incomincia la gara. Tutto è andato a lieto fine sono arrivato a Faenza in 14ore 51 minuti e 37 secondi senza nessun dolore eccessivo. E’ andata come me l’aspettavo, quando sono arrivate le crisi, mi ha fatto andare avanti la forza di volontà ed il conforto dei miei amici Pippo Angelo e Marione. All’arrivo ho telefonato a mia moglie Tatiana (che ringrazio per aver sempre avuto fiducia in me e per aver sempre appoggiato questa mia ‘impresa’, anche quando ho sottratto tempo prezioso alla famiglia per allenarmi) le ho detto che stavo bene e provavo una soddisfazione immensa, indescrivibile, ma che in futuro non avevo intenzione di partecipare ad altre edizioni della 100Km, qualche ora più tardi …da inguaribile sognatore, sul treno per Firenze, con Pippo Angelo e Marione, stavamo già pensando a come, il prossimo anno, si potrebbe migliorare il record personale ottimizzando la preparazione o anche solo ‘limando’ qualche minuto durante le soste ai ristori ……..d'altronde un dilettante si deve attaccare proprio a tutto!
Monica Testa: “Portare a termine una maratona in 3.45 con poco allenamento, con problemi fisici e freddo è stata la cosa più bella e soprattutto dopo 8 anni di stop e tre mesi dalla ripresa a correre.”
Armando Quadrani: “Ricordo una partecipazione al Passatore. Mi presentai in Piazza della Repubblica a Firenze che sembravo una succursale della Decathlon con infiniti integratori, poi acqua, sali, pezzetti di parmigiano e medicinali. Alla fine della gara molti rimpiansero di non essersi dotati di scorte simili alle mie. Nelle gare successive notai che qualcuno mi aveva copiato.”
Riccardo Borgialli: “Volentieri, non è riferito ad una gara ma fa parte di quelle cose che mi hanno indirizzato a questo sport. Anno 2012, la mia prima ragazza mi lascia e, come è facilmente comprensibile sono giù di corda, voglia andare lontano da tutto per qualche giorno e allora con altri 3 amici si organizza, GR20, il sentiero che taglia in diagonale la Corsica. Fatti gli zainetti si parte, normalmente viene fatto in 14 giorni dagli escursionisti non troppo esperti in cerca di avventura, noi ce ne mettiamo 5 e qualche ora, 180km e 12000 di dislivello positivo. Un avventura che ci ha lasciato il segno, ancora oggi ne parliamo, partenza durante la notte, camminate sotto il sole cocente. E’ stata un esperienza faticosissima e stancante, anche per colpa dello zaino da 12kg che ci portavamo appresso, nonostante tutto questo però ho capito che quella era la strada che volevo prendere, su e giù per le montagne a provare emozioni che mai prima avevo assaggiato. La fatica per l’ultima salita prima del rifugio, la notte a 2000 metri e l’alba sulla cresta della montagna più alta, cose che purtroppo non tutti hanno la fortuna di provare ma che se capitasse finirebbero poi per prendere la mia stessa strada.”
Andrea Boni Sforza: “Spesso ho dovuto 'nascondere' ai miei genitori, ormai anziani, l'esatta natura delle gare che faccio per evitare che si preoccupassero e, quindi, ho dovuto raccontare loro bugie e anche al lavoro, per altri motivi, ho dovuto nascondere la mia attività perché mal vista. Trovo incredibile dover nascondere a tante realtà sociali ciò che amo fare".
Luigi Brugnoli: “La prima maratona, preparata con i lunghi, non sapevo cos’era il muro. Ma tutti ne parlavano. Io ero tranquillo, ma arrivato al ponte della libertà km 33 circa, stop si è spento tutto. Una sensazione stranissima, ma poi ha vinto la testa.”
William Da Roit: “Durante la Dolomitiskyrun 2014, alle prime luci dell'alba, dopo una notte di pioggia e neve, c'è stato un istante, amplificato dalla stanchezza e dalla solitudine, in cui, guardando le immense montagne che mi circondavano mi sono sentito come il primo uomo sulla terra! È stato qualcosa di un'intensità talmente forte che mi commuovo anche adesso al solo pensarci.”
Simone Cataldi: “La prima ultra, al terzo ristoro mangiavo le crostate senza masticare, andavano giù da sole (era strano per me che fino a quel momento ai ristori delle maratone neanche mi fermavo per bere) .
Vito Todisco: “Mi piace raccontare e riderci su con chi mi sta vicino nella vita, dei discorsi che faccio a me stesso nei momenti di crisi.
Matteo Pigon: “Quando mi sono ritirato al TOR la mia famiglia c’è rimasta male, soprattutto il bimbo piccolo dopo parecchi mesi, per la festa del papà mi ha fatto un biglietto con scritto ‘spero che quest’anno riesci a finire il TOR’.”
Mario Connor: “Alla gara del passatore anni fa, ero stanco e pensavo di aver visto delle persone all’angolo della strada, erano le 3 di notte, ma arrivato vicino erano solo vasi di fiori, e tra me ho pensato siamo stanchini Mario.”

Il saggio Psicologia dello sport e dell'esercizio fisico (dal benessere alla prestazione ottimale) offre uno spunto di riflessione su aspetti quali la salute e lo sport. Ne sono argomentazioni a riguardo, il raggiungimento della prestazione ottimale (peak performance), es. i record dei campioni, lo sperimentare il Flow, considerato come uno stato alterato di coscienza dove tutto funziona alla perfezione ed anche l’IZOF, una zona di funzionamento ottimale che porta l’atleta a raggiungere la sua  peak-performance.
Inoltre sono trattate le difficoltà, i disagi dell’atleta, che possono essere di natura emotiva, di attivazione ottimale, di bassa autostima, di affollamento a livello mentale di pensieri disturbanti, e, per finire di natura relazionale, cioè relativi ad una figura professionale che gravita attorno al mondo dell’atleta.

380-4337230 - 21163@tiscali.it

Translate