mercoledì 10 giugno 2015

La corsa più dura del mondo

Sulla rivista Acqua&sapone di maggio 2012 Angela Iantosca intervista Roberto Ghidoni che ci spiega come ha scoperto la corsa più dura del Mondo: “Una mia amica mi fece vedere un video riguardante la traversata dell’alaska, la Iditasport Extreme. E decisi che era giunto il momento di partire.” E’ quello che è successo e succede a tanti che vengono chiamati, attratti dalle lunghe distanze o da percorsi estremi.
Alla corsa più dura del mondo si può partecipare come runner, in bici o con gli sci, importante è percorrere la distanza prevista in totale autosufficienza. Il 1999 Roberto venne a conoscenza di questa gara ed il 2000 si iscrisse per partecipare arrivando al 3° posto percorrendo la distanza di 560km. Da lì scattò una passione irrefrenabile paragonabile al mal d’africa, una sorta di mal d’Alaska. L’anno dopo, più determinato e sicuro fa il bis arrivando primo ex-equo. L’anno successivo, il 2002 la competizione cambia nome in “Idita Trail Invitational” e Roberto partecipa percorrendo e vincendo la distanza di 1765km. Ancora l’anno successivo, per motivi climatici la distanza è ridotta a 1265 km e roberto sempre più determinato e con più esperienza arriva primo non solo dei runners ma anche degli atleti in bici e con gli sci. Il 2004 nonostante una tromboflebite arriva primo dei runners con un vantaggio di 11 ore sul secondo arrivato.
Di seguito riporto l’intervista di Angela Iantosca fatta a roberto Ghidoni e riportata sulla rivista Acqua&sapone di maggio 2012 :
Quanto è importante la testa nell’affrontare queste prove?: “la testa gioca una componente fortissima. Io non dormivo. Riuscivo a dormire al massimo un’ora o due al giorno e procedevo per 100 km al giorno. Nel 2005, quando tornai, non dormii per 11 giorni. Ero vigile, come se stessi ancora in ‘gara’, anche se non si trattava di una gara in senso tradizionale, era un incontro tra la vita e la morte: non volevo perdere la vita, ma ero pronto a perderla”.
Infatti quello che sperimentano tanti atleti che praticano questi sport considerati estremi è il contattare il limite fisico e mentale, il perdere se stessi per ritrovarsi più veri, più vivi rispetto al fare una fita ordinaria. E’ una ricerca al di fuori del comfort.
E’ quello che racconta anche Vito Rubino quando parla delle sue imprese già passate o da compiere come la travversata in bici coast to coast dove dormirà da 1 a 4 ore al giorno percorrendo in bici 5000 nel tempo massimo di 12 giorni.
Altra domanda per Roberto, hai mai avuito paura?: “Sì, ma sono sempre fuggito in avanti rispetto alla paura! Il coraggio è andare avanti in un momento in cui hai paura. La paura mi ha riportato a casa. Non solo la paura, ma soprattutto la mia parte femminile: la donna, che crea la vita, è la parte più attaccata ad essa”.
Ancora chiede Angela Iantosca, cosa le manca di più dell’Alaska?: “La voce del silenzio, linguaggio che non sappiamo più riconoscere. E’ una voce profonda. E’ la pietra angolare del carattere, secondo gli indiani”.

Il saggio Psicologia dello sport e dell'esercizio fisico (dal benessere alla prestazione ottimale)  offre uno spunto di riflessione su aspetti quali la salute e lo sport.

Ne sono argomentazioni a riguardo, il raggiungimento della prestazione ottimale (peak performance), es. i record dei campioni, lo sperimentare il Flow, considerato come uno stato alterato di coscienza dove tutto funziona alla perfezione ed anche l’IZOF, una zona di funzionamento ottimale che porta l’atleta a raggiungere la sua  peak-performance.
Inoltre sono trattate le difficoltà, i disagi dell’atleta, che possono essere di natura emotiva, di attivazione ottimale, di bassa autostima, di affollamento a livello mentale di pensieri disturbanti, e, per finire di natura relazionale, cioè relativi ad una figura professionale che gravita attorno al mondo dell’atleta.

Matteo Simone
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