Ci sono diverse modalità,
approcci, scuole di pensiero per aiutare le persone ad aiutarsi, per cercare di
aiutare le persone a stare meglio, per aiutare le persone a trovare le prorie
risorse per risolvere situazioni, uscire da difficoltà, da disagi, per cambiare
un modo di essere che può risultare disfunzionale, fra le tante, la
psicoterapia della Gestalt si distingue per la modalità di aiutare l’altro
attraverso l’esperienza, attraverso un approccio più diretto.
J. Zinker illustra nel
testo Processi creativi in psicoterapia della Gestalt, il lavoro dello psicoterapeuta della
gestalt, spiegando l’esperimento presso lo studio che diventa una sorta di
laboratorio, elencando alcuni obiettivi: “Lo studio del terapeuta diventa un laboratorio vivo, un
microcosmo nel quale la persona esplora se stessa a un livello realistico,
senza la paura del rifiuto o delle critiche. L’esperimento creativo aiuta la
persona ad approdare a nuove espressioni, o almeno la spinge verso i confini, i
margini entro i quali vuole crescere. Gli obiettivi a lungo termine
dell’esperimento consistono nell’allargare l’orizzonte della consapevolezza del
paziente e della comprensione di sé, nel farlo sentire più libero di agire
efficacemente nel suo ambiente e nell’ampliare il suo repertorio di
comportamenti nelle situazioni di vita.
Gli obiettivi della
sperimentazione creativa all’interno del setting terapeutico sono:
-
ampliare
il repertorio comportamentale della persona;
-
creare
quelle condizioni che aiutino la persona a vedere la propria vita come una
propria creazione;
-
stimolare
l’apprendimento esperienziale della persona e l’evoluzione di nuovi concetti di
sé;
-
scoprire
le polarizzazioni di cui non si ha consapevolezza;
-
stimolare
l’integrazione di forze conflittuali nella personalità.
Scrive E. Borgna nel testo L’arcipelago delle
emozioni: “Non si inizia nemmeno un gesto terapeutico
significativo, nessuna cura può cioè realizzarsi, se prima non si compie quel
gesto preliminare che si esprime nell’entrare in relazione con l’altro sulla
linea di una emozionalità condivisa, di una immedesimazione, che prescinda da
ogni rigida articolazione tecnica. Non c’è cura se non si sa cogliere cosa ci
sia in un volto, in uno sguardo, in una semplice stretta di mano, e in fondo se
non si sia capaci di sentire immediatamente il destino dell’altro come il
nostro proprio destino.
L’incontro con l’altro avviene
non solo mediante il linguaggio delle parole, ma anche mediante il linguaggio
del corpo, quello dei gesti e quello del silenzio. Nel momento in cui
incontriamo una persona, non possiamo non avvertire immediatamente come, prima
di ogni parola, siano il volto e lo sguardo, il modo di salutare e di dare la
mano, il linguaggio del corpo insomma, a consentire, o a rendere difficile, una
comunicazione e una reciprocità relazionale dotate di una significazione
terapeutica.
Noi riusciamo a valorizzare fino
in fondo quelle che sono le nostre attitudini, le nostre risorse, solo se
entriamo in una relazione significativa con gli altri, in una relazione che
consenta a noi di essere di aiuto agli altri, e agli altri di farci crescere
emozionalmente.
Le forme di relazione, quella
fra chi cura e chi è curato in particolare, ma anche quelle che si realizzano
nella vita di ogni giorno, sono significative e terapeutiche alla sola
condizione che siano nutrite, prima di ogni altra cosa, di spontaneità e di
umiltà, di rispetto e di attenzione”. (2)
Il percorso psicoterapeutico è
lento e graduale: è necessario che dagli incontri si costruisca una relazione
basata sulla motivazione reciproca delle due parti e soprattutto il cliente
deve considerare il suo psicoterapeuta capace di aiutarlo non solo attraverso
la sua professionalità ma soprattutto attraverso la sua umanità che comprende
la presenza, la comprensione, l’attenzione, il rispetto, l’assenza di giudizio
in modo da potersi fidare ed affidarsi.
A proposito di relazione e
fiducia nello psicoterapeuta, Jodorowski, nel testo Psicomagia, ha raccontato la sua esperienza come assistente di
una guaritrice: “La prima cosa che faceva Pachita era toccare con le mani ciò
che curava, per stabilire una relazione sensoriale e infondere fiducia nella
gente. Si produceva uno strano fenomeno: dal momento in cui sentivi le sue mani
tra le tue, quella vecchia donna ti appariva nella veste della Madre Universale
e non potevi più resisterle. Così è capitato anche a me, sebbene in quel
momento fossi estremamente recalcitrante nei confronti dei maestri e restio a
sottomettermi a chicchessia. Ma dopo il contatto, la mia resistenza si è
sciolta come neve al sole. Pachita sapeva che in ogni adulto, perfino in quello
più sicuro di sé, dorme un bambino desideroso di amore, e che il contatto
fisico è più efficace di qualsiasi parola per stabilire una relazione di
fiducia e rendere il soggetto disponibile a ricevere.” (3)
Quindi, per
essere efficace la psicoterapia, è indispensabile che ci si ponga in relazione
all’altro non solo in possesso di professionalità, competenza, tecniche e
teorie ma soprattutto con dedizione, interesse, desiderio.
Anna Rita
Ravenna, direttrice della sede di Roma dell’Istituo Gestalt Firenze, nella rivista IN-FORMAZIONE, ha evidenziato come può
avvenire un sano contatto tra il terapeuta e la persona che a lui si rivolge: “Occorre che il terapeuta abbia
sviluppato, insieme ad uno stile personale, il piacere della sua professione,
il desiderio di restare dentro l’esperienza propria e dell’altro come in
un’avventura in cui non solo non è lecito mettere in dubbio il valore della
diversità del sentire dell’altro, ma è proprio questa diversità che attrae in
una continua spirale di ‘sentire, immaginare, desiderare, attuare, sentire’, in
contatto con il continuo espandersi delle emozioni sino all’acme e potendo così
iniziare l’altro al mistero del ciclo del contatto”.
(1)
J.
Zinker, Processi creativi in psicoterapia
della Gestalt, FrancoAngeli, Milano, 2001, pp. 119-124
(2)
E.
Borgna, L’arcipelago delle emozioni,
Feltrinelli, Milano, 2001, pp. 189-190.
(3)
A.
Jodorowsky, Psicomagia, Feltrinelli, Milano, 1997, p. 98.
(4)
A.
Ravenna, DIVENTARE PSICOTERAPEUTI: FORMAZIONE TEORICO-PRATICA O PERCORSO DI
INIZIAZIONE?”, Informazione, Roma, 2003,
vol. 1, p. 96.
Matteo Simone
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