A volte la corsa chiama, è quello che
raccontano tanti maratoneti ed ultramaratoneti. Non c’è un percorso per
diventare un ultramaratoneta, si scopre per caso di essere portanti per le
lunghe distanze, di sperimentare piacere e benessere nel percorrere lunghi
percorsi, sentieri, strade a contatto con se stessi, con la natura, con gli
altri, a sfidare i propri limiti, a fare cose impensabili a scollegarsi dal corpo
per non sentire, per non essere fermati, per andare avanti, per sfidare
l’ignoto, il dolore.
Ecco cosa racconta Andrea
Mulas (1): “Fui pervaso da una consapevolezza. Dovevo correre. Una specie di
richiamo interiore mi chiedeva di farlo, per me e la mia Terra. Cominciai così
ad allenarmi”.
Molti maratoneti e
ultramaratoneti vengono giudicati matti da alcuni ma da altri sono stimati per
quello che fanno, per gli obiettivi che riescono a raggiungere.
I familiari inizialmente non approvano la passione di un ultramaratoneta
che percorre tanti chilometri su strade o sentieri in condizioni atmosferiche
difficili, a volte ai limiti della sopravvivenza, ma con il tempo comprendono
che l’atleta si dedica ad una passione che lo coinvolge e che gli permette di
sperimentare benessere.
Gli amici inizialmente considerano l’atleta fuori di
se, ai limiti della pazzia, ma con il tempo apprezzano gli aspetti del
carattere che gli permettono di sostenere allenamenti e competizioni di
lunghissima durata e di difficoltà elevatissima, diventando quasi fieri di
essere amici e raccontando in giro le gesta, così a volte sono considerate, dei
propri amici atleti, quasi a vantarsi di conoscere gente che fa l’impossibile,
extraterrestri.