martedì 15 dicembre 2015

I trail non sono gare di gambe ma di cuore e, soprattutto, di testa

Hervé Barmasse nel suo testo La montagna dentro (1) spiega l’importanza di fare attenzione a non osare troppo senza aver fatto prima un’importante esperienza: “In montagna capire il proprio limite è sempre molto difficile. Bisogna essere abbastanza coraggiosi da tentare di oltrepassarlo e altrettanto sensibili per capire se si sta esagerando. Nessuno scala per morire, ma il rischio esiste. E nessuno azzarda imprese troppo pericolose senza aver avuto prima la possibilità di crescere attraverso altre esperienze.
Hervé Barmasse racconta la sua esigenza di conoscere il limite: “Ci accomunava l’esigenza di conoscere il nostro limite. Per farlo accettavamo sfide sempre più difficili e intriganti. Volevamo comprendere le nostre debolezze fisiche e mentali, per migliorarci e affrontare al meglio la prossima scalata.”
Dalle risposte di atleti ultrarunner emerge la consapevolezza dell’importanza del fattore mentale per spingersi oltre, per portare il fisico a sforzi estenuanti, ma emerge anche la consapevolezza dell’ascolto del proprio corpo, della possibilità che problemi fisici possano impedire di andare oltre anzi addirittura possono portare l’atleta ad uno stop definitivo per problemi gravi, per aver sottovalutato i messaggi del proprio corpo.
Molti sperimentano davvero il limite, si imbattono in qualcosa che avevano sottovolatutao o non considerato come è successo ad Angelo Fiorini: “E’ stata la Sparta Atene del 2011, che mi ha fatto sperimentare il limite delle mie gare e soprattutto ho capito che bisognava che ascoltassi la richiesta di aiuto da parte del mio fisico. Infatti dopo un inizio brillante della gara, al 130esimo km ho iniziato a sentire sensazioni strane mai avvertite che mi hanno convinto a fermarmi e a ritirami al km 172. In passato, nonostante problemi fisici ho resistito, stretto i denti ma sono sempre arrivato al traguardo.

lunedì 14 dicembre 2015

Corsa Miguel: iscriviti entro 15 dicembre e partecipi a estrazione 100 premi

L'edizione 2016, in calendario per domenica 31 gennaio. La Corsa di Miguel organizzata dal Club Atletico Centrale con l’Unione Italiana Sport per Tutti intitolata alla memoria di un maratoneta-poeta argentino desaparecido, Miguel Benancio Sanchez che amava la vita, l’atletica, l’Argentina, il suo Paese.
Affrettarsi ad iscriversi alla gara competitiva entro il 15 Dicembre 2015 per partecipare a un'estrazione di cento premi che sarà effettuata il giorno 18 (bici, tute, zainetti, felpe, libro sulla storia delle Olimpiadi) e per avere il pettorale personalizzato con la storia dell’atletica, con inciso un numero associato ad un campione che ha segnato la storia dell’atletica leggera.
Era un poeta autodidatta. Il suo “Para vos atleta”, “Per te atleta”, fu pubblicato dalla GazetaEsportiva di San Paolo, il 31 dicembre del 1977, nove giorni prima della sua sparizione. Era un inno alla corsa.
Miguel a 18 anni, prese la sua valigia di cartone e seguì i fratelli che erano già partiti per Buenos Aires. Fu qui che cominciò una nuova avventura. Faceva l’imbianchino e il calciatore prima di scoprirsi innamorato dell’atletica. Giocava nella quarta divisione con il Gymnasia y Esgrima de LaPlata. Ma l’atletica lo conquistò. Si allenava di mattina presto e alla sera tardi con il tecnico Osvaldo Suarez, mitico personaggio che aveva vinto tre volte la Corrida di San Silvestro.
La sua giornata era infinita. Sveglia con una mela, primo allenamento, treno, lavoro, ancora allenamento, scuola serale per completare quegli studi che non aveva finito. A volte rientrava all’una di notte. Aveva tanti fratelli e sorelle, in tutti erano dieci.

Crisi, incontri, distrazioni, allucinazioni nelle gare di lunga distanza

A volte si crede di aver finito le energie e quindi che bisogna ritirarsi e poi scopre energie inaspettate come è successo a Roberto D’Uffizi: “Una crisi di sonno, di freddo, una stanchezza mai provata al limite del collasso, pallore e vomito, impossibilità anche nel camminare piano e in linea retta, completamente al buio, i muscoli bloccati c’era da impazzire tutto questo dopo 70 km di gara e con altri 30 davanti ho creduto in me e, nonostante la scarsa lucidità, ho usato la testa e l’ho finita correndo!".

Anche Marco Zanchi racconta di una crisi ben superata grazie a una sua amica atleta: “UTMB 2011, mai fatto 170km tutto d’un fiato, al 90km sono in crisi, ho i crampi e voglio ritirarmi in uno sconforto totale. Sono sdraiato all’interno della tenda del ristoro da un’ora e di colpo arriva la mia amica Cinzia anche lei in gara, che urlando mi dice ‘dai dai alza le chiappe smettila di lamentarti e andiamo!’ Non mi sono più fermato recuperando 80 posizioni e giungendo 29° e primo Italiano.”

Altro atleta a raccontare di una crisi e del buio è Fausto Parigi: “Durante la mia unica partecipazione ai mondiali dopo 13 ore di gara è calato il buio. Non più forza nelle gambe , mente vuota. Ha iniziato a piovere e grandinare… volevo ritirarmi ma ho continuato ad andare avanti perché ero ai mondiali e perché sarebbe stata la mia ultima gara. Il giro era di circa 2300m più si andava avanti e più impiegavo a finirlo. Mancava un ora al termine e passando davanti allo stand dellItalia ho detto: io quasi quasi mi fermo qui, tanto un altro giro non riesco a concluderlo. Uno mi ha risposto” sei ai mondiali anche un metro conta” a quel punto mi sono detto… Fausto conviene che provi a correre… credimi ho fatto ancora 4 gir di cui due i più veloci della mia gara e visto la fine della corsa i più veloci tra i concorrenti ancora in pista…. Il potere della mente quei due giri mi hanno indotto a continuare a correre. 6 mesi dopo ho vinto la mia prima 24h.”

Modello di intervento definito O.R.A.: Obiettivi, Risorse ed Autoefficacia

“Se desiderate compiere qualcosa nella realtà, innanzitutto visualizzate voi stessi mentre riuscite a compierla.” (Lazarus A., 1989)
La mia intenzione è di presentare un modello di intervento, per raggiungere obiettivi nella vita e nello sport, che ho definito con l’acronimo O.R.A.: Obiettivi, Risorse ed Autoefficacia
L’idea è scaturita dall’integrazione di aspetti della Psicologia dello Sport con tecniche della Psicoterapia della Gestalt, il protocollo EMDR adattato alle prestazioni eccellenti e l’Ipnosi Ericksoniana.
Gli aspetti della psicologia dello sport che ho considerato di primaria importanza sono il goal setting (formulazione degli obiettivi) e l’autoefficacia di Bandura.
Essendo io stesso un atleta ed avendo avuto l’opportunità di fare un esperienza/stage di circa 4 mesi presso un Centro Sportivo di atleti professionisti, ho potuto rendermi conto che è importante un lavoro di definizione degli obiettivi sfidanti, chiari, raggiungibili dal quale partire per individuare le risorse, qualità, caratteristiche occorrenti da acquisire o potenziare per raggiungere tali obiettivi.
L’obiettivo deve essere ben formulato, visibile (immaginabile), possibile, sfidante, di mia responsabilità, raggiungibile in un tempo prefissato (con scadenza), identificabile in un risultato.
Fissare obiettivi limitati, raggiungibili e progressivamente più ambiziosi è uno dei modi migliori per aumentare l'autoefficacia dell'atleta.
Utilizzando il modello O.R.A. si definisce chiaramente l’obiettivo temporale e le risorse per raggiungerlo. E’ importante riuscire a vedersi con l’obiettivo raggiunto. Attraverso l’ipnosi Ericksoniana ci si immagina avanti nel tempo con l’obiettivo raggiunto: Come ti vedi avendo già raggiunto l’obiettivo? Dove? Con chi? Come ti senti? Come è stato raggiungere l’obiettivo? Cosa hai fatto? Chi ti ha aiutato? Quali sono state le tue risorse? Come hai iniziato? Da dove sei partito? Quali difficoltà hai incontrato? Come le hai superate?

giovedì 10 dicembre 2015

A volte la corsa chiama ed è difficile resistere, certi non si fermano più


A volte si incontra per caso una passione, un amico, uno sport, un partner. 

A volte su invito di amici, parenti o medici ci dedichiamo ad attività per noi sconosciute o che non abbiamo mai avuto modo o occasione di praticare o di interessarci e come per magia gradualmente ci accorgiamo di diventare quasi dipendenti, ci accorgiamo che tali attività, tali interessi per qualche motivo ci procurano benessere, ci fanno sperimentare situazioni piacevoli.
Ma è importante fare le cose con attenzione, lo spiega per esempio l’ultrarunner Michele Graglia rispondendo alla domanda: Qual è stato il tuo percorso per diventare un ultramaratoneta? “Sotto le feste di Natale 2010 lessi per caso il libro UltraMarathon Man di Dean Karnazes. Lo trovai di grandissima ispirazione e senza cognizione di causa alcuna decisi di voler provare questa pratica. Dopo meno di 6 mesi (Maggio 2011) partecipai alla KEYS100 (160km) dove, dopo allenamenti intensissimi, mi trovai in testa fino al 140Km. Purtroppo la mia inesperienza (e completa ignoranza in ambito nutrizionale e di idratazione) gioco un ruolo fondamentale quando picchiai a terra svenuto per gravi problemi di iponatrimia. Impiegai più di 2 mesi per riprendermi e poco più di 6 mesi dopo partecipai alla EVERGLADES 50 (miles) dove portai a casa la vittoria, e da quel momento non mi sono più fermato.” 

Decidere le priorità, gli obiettivi e impegnarsi per il raggiungimento

Ci vuole convinzione, grinta, forza, determinazione per dedicarsi ad un periodo di preparazione atletica, in base agli obiettivi, può richiedere sacrifici enormi, rinunce, spese, difficoltà, rischi, infortuni e non tutti sono disposti a questi impegni.
Si può fare preparazione atletica in vista di una performance atletica, in vista dell’ottenimento di risultati personali o di squadra, si può fare preparazione atletica in vista di performance artistiche come concerti o performance circensi, ma qualsiasi siano i motivi della necessità o esigenza di una preparazione atletica non bisogna perdere di vista il fattore mentale.
E’ indispensabile fare progetti credibili a se stessi, un ottimo punto di partenza è credere di essere in grado di fare qualcosa, perché ci si sente di esserlo, perché si è sperimentato gradualmente dei miglioramenti. (1)
Il talento non basta per raggiungere l’eccellenza, l’impegno è di rilevanza fondamentale.
Lo spiega bene Pietro Trabucchi nel suo libro Perseverare è umano:  “Negli anni Novanta Anders Ericsson e la sua équipe di ricercatori ha dimostrato che le grandi prestazioni in qualsiasi campo, dalla musica agli scacchi, dallo sport all’arte e alla letteratura, sono frutto in maniera preponderante dell’esercizio e della preparazione piuttosto che di capacità innate.  Le sue acquisizioni sono oggi note con il nome di ‘regola delle diecimila ore’. Ericsson e colleghi cominciarono i loro studi osservando i violinisti che studiavano al conservatorio di Berlino.
Da allora – era il 1993 – sono stati compiuti moltissimi studi sulle prestazioni di eccellenza in tutti i campi dell’attività umana e tutti, nessuno escluso, hanno confermato l’intuizione pioneristica di Ericsson. Tutte richiedono una quantità di impegno individuale, sotto forma di esercizio intenzionale, riassumibile a grandi linee in almeno diecimila ore di allenamento. (2)

Michele Graglia, Ultrarunner: Da quel momento non mi sono più fermato

Matteo Simone

Michele Graglia non è uno dei tanti ultramaratoneti che ho intervistato, ma uno dei più resistenti e più resilienti per l’impegno, la determinazione, la passione nel dedicarsi a gare lunghissime e durissime di corsa a piedi. 

Questa sua dote e passione l’ha scoperta alcuni anni fa imbattendosi con le corse di lunga distanze, e da allora non si è più fermato ma ha trovato le modalità giuste per essere più performante diventando espertissimo e formandosi per quanto riguarda l’importantissimo approccio mentale ed anche formandosi sull’alimentazione giusta.

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