I muscoli hanno una memoria e io cerco di tenergliela viva!
Giuseppina Cirulli (classe 1959) è un'ex ostacolista e velocista italiana, 10 volte consecutive campionessa nazionale sui 400 m hs (dal 1977 al 1986). Vanta anche due titoli indoor, nei 400 m e negli 800 m.
Di seguito approfondiamo la conoscenza di Giuseppina attraverso risposte ad alcune mie domande.
Come ti definisci atleticamente? Una persona che ha cercato di fare, al meglio delle proprie possibilità, un’attività che amava tanto. Un’atleta che ha dato il suo contributo al mondo dello sport italiano. Una persona che ha trasformato la sua passione in risultati tangibili.
Grandissima e validissima atleta in giro per il mondo rappresentando la nazione Italia con le sue eccellenti performance sportive. Medaglia d'argento conquistata ai Giochi del Mediterraneo di Casablanca 1983.
Quando ti sei sentita una campionessa? Dopo parecchi anni che ho smesso di correre ho apprezzato i risultati ottenuti in pista. Solo allora ho avuto la consapevolezza del loro effettivo valore.
La gara della tua vita in cui hai vissuto le emozioni più belle? Il record italiano dopo un mese dalle olimpiadi (Los Angeles 1984) dove avevo già ottenuto il record in semifinale. Correndo a Catania nel settembre ‘84, confermavo il mio stato di grazia affrontando la gara andando subito in testa. Fu una bella soddisfazione dopo una brutta arrabbiatura con i dirigenti Fidal per via di una mancata partecipazione alla finale olimpica della staffetta del miglio, ampiamente guadagnata in semifinale con il record italiano.
Sesta in semifinale alle Olimpiadi di Los Angeles 1984 realizzando il nuovo record nazionale della specialità, eliminata in semifinale anche ai mondiali di Helsinki 1983. Oltre alla partecipazione alle olimpiadi e ai mondiali, Giuseppina vanta due presenze agli europei e 13 nella Coppa Europa di atletica leggera, tre nella Finale A (un 5º, un 7º e un 8º posto).
Il 7 settembre 1984 ha stabilito a Catania il record italiano sui 400 hs in 56"44, ancora oggi sesta prestazione italiana di tutti i tempi. 47 volte maglia azzurra.
Quali abilità, risorse, caratteristiche, qualità hai dimostrato di possedere? La mia qualità più spiccata è caratteriale. Sono costante, ho un grande senso di responsabilità e sono testarda. Questo, ovviamente, se sto affrontando qualcosa di cui sono fortemente convinta e appassionata. Per quanto riguarda le qualità fisiche sicuramente posso affermare di essere coordinata, di avere un’alta resistenza alla fatica e padronanza dei miei gruppi muscolari. Pur non essendo veloce in assoluto, una delle mie migliori qualità era la resistenza alla velocità. Infine, posseggo buone fibre muscolari e, nel corso di vent’anni di impegno sportivo, non ho mai subito infortuni.
Per eccellere nello sport c’è bisogno di cuore, testa e corpo. È importante essere altamente motivati e avere fortissima passione, crederci tantissimo e sempre, avere elevata consapevolezza dei propri mezzi, risorse, capacità, caratteristiche e qualità fisiche e mentali.
Che sensazioni hai provato nello sport: allenamento, prima della gara, gara, dopo la gara? Beh descrivere le numerose sensazioni che si provano durante tutta una carriera sportiva è praticamente impossibile. Non basterebbe un lungo papiro. Ricordo le prime volte che andavo ad allenarmi, avevo tanta voglia di esprimermi e mi emozionavo ogni volta. Le soddisfazioni per le buone prestazioni, la felicità alle prime convocazioni in Nazionale, la paura di affrontare una gara difficile, le frustrazioni per le sconfitte e la gioia incontenibile per le vittorie. La tristezza nei periodi bui e la pazienza di aspettare momenti migliori. L’amicizia, la generosità, la condivisione, il senso di appartenenza e i forti legami affettivi. Tutte queste emozioni hanno fatto di me la donna che sono, fiera di mettere i piedi a terra a testa alta.
Bellissima testimonianza di quanto valore ha lo sport e quanto regala agli atleti in termini di sensazioni ed emozioni. Tanti dubbi, pensieri, incertezze, paure, tensioni, ma anche tante belle emozioni positive, soddisfazioni, riuscite, possibilmente anche podi, vittorie, record oltre alle sconfitte che vanno esaminate, elaborate e trasformati in messaggi da comprendere su eventuali criticità da potenziare.
Quali sono state le difficoltà e i rischi nel tuo sport? Le difficoltà nel praticare l’atletica sono state per lo più organizzative e oggettive per via delle distanze che una città come Roma comporta. Mi alzavo all’alba al mattino per poter consumare una sorta di pranzo che mi permettesse di arrivare (con una merenda nel mezzo) all’allenamento pomeridiano. Ci impiegavo un’ora per recarmi a scuola in autobus e uscita da scuola, sempre con il bus, all’Acquacetosa, sede dei miei allenamenti… tanti sacrifici e rinunce per un’adolescente che aveva anche voglia di stare con i coetanei. Sinceramente non ho mai sentito di correre rischi.
Se la passione e la motivazione sono altissime si riesce a fare tutto, a incastrare studio, allenamento e amicizie; si riesce a organizzarsi per raggiungere luoghi di allegamento e di gara, si riesce a organizzarsi per mangiare bene e integrarsi, prima, durante e dopo l’allenamento, cercando di migliorare sempre di più continuando anche a sperimentare benessere psicofisico e relazionale.
Cosa ti ha fatto smettere e cosa ti ha spinto a fare sport? Fin da bambina sentivo di voler costruire una cosa tutta mia, un progetto che potesse affermarmi e distinguere, regalandomi nel contempo gioie e soddisfazioni. Questo desiderio ma anche l’opportunità di avvicinarmi al mondo dello sport mi ha spinta verso l’atletica leggera. Scherzando potrei dire che ho smesso per anzianità… in verità sentivo di non poter dare più niente allo sport dal punto di vista del risultato. Personalmente sentivo il desiderio di dedicarmi ad altro costruendomi una famiglia e dedicandomi anche al lavoro.
Nella vita si fanno sempre progetti stabilendo obiettivi, target, sogni da tramutare in realtà, si seguono percorsi di studio, lavoro, allenamenti mirati mobilitando energie sufficienti per centrare ogni obiettivo e ci sono anche fasi da attraversare, del gioco, dell’amore, dello sport, del lavoro, della performance.
Il tuo messaggio affinché i giovani si avvicinino a questo sport? Penso che lo sport sia altamente formativo. Praticare sport insegna al giovane a gestire le frustrazioni, contenere le emozioni e imparare a confrontarsi con gli altri accettandone le diversità. Non spingerei i ragazzi a praticare l’atletica (anche se questa è alla base di ogni disciplina sportiva), li esorterei a muoversi laddove si sentano più portati, e per le caratteristiche fisiche che per quelle emotive. Ci sono ragazzi ai quali è consigliato praticare uno sport di squadra per la loro indole, altri, più individualisti, si orientano su sport in cui competono da soli… I giovani vanno stimolati al movimento cominciando dalla scuola, nell’ora di educazione fisica, oltre alla attività fisica, si potrebbero proiettare immagini di grandi manifestazioni sportive. Questo perché i ragazzi tendono a emulare, non a caso, dopo le Olimpiadi c’è sempre un gran movimento e tante iscrizioni di nuovi giovani nelle società sportive. Più che parlare ai ragazzi per stimolarli a praticare sport mi concentrerei a lavorare con loro affinché non smettano di praticarlo. I vantaggi nell’abitudine al movimento sono numerosi e non sono solo fisici. Alla soglia dei 66 anni mi reco in palestra tre volte a settimana, i muscoli hanno una memoria e io cerco di tenergliela viva!
Ottima testimonianza che utilizzerò nei miei prossimi eventi: workshop, conferenze, seminari, convegni, citando l’autrice Giuseppina Cirulli.
In effetti lo sport regala tanto alle persone di ogni età ma soprattutto ai giovani che hanno bisogno di direzioni, percorsi per star bene, per conoscersi meglio, per incanalare energie da soli o insieme costruendo carattere e personalità che li faccia essere persone adulte responsabili, consapevoli, maturi alla ricerca del meglio per loro e per gli altri, accettando fatica che poi porta ad avere risultati e soddisfazioni.
C'è stato rischio di doping nello sport nella tua carriera? Gli anni in cui ho praticato l’atletica rappresentano un periodo in cui si è fatto uso di doping in maniera selvaggia. Nei paesi dell’Est esisteva il doping di Stato. Molti atleti accettavano queste pratiche per emergere dalla massa e poter godere di privilegi nei loro Paesi spesso umiliati da dittature e condizioni di vita sfavorevoli. Ho però la sensazione che molti atleti dell’epoca ne fossero del tutto ignari (in Germania dell’Est iniziavano ad assumere queste sostanze fin dalle scuole medie)! Noi atlete ‘pulite’ eravamo molto danneggiate ma anche impotenti nei confronti di una situazione che nessuno voleva cambiare a iniziare dalle Federazioni compiacenti e affamate di medaglie. Per noi poche medaglie e tanta rabbia! Per anni mi sono sentita 'Truffata’. Mai avrei potuto accettare di assumere ‘aiutini’ simili, la mia autostima sarebbe finita sotto i piedi e il mio orgoglio annullato.
Che messaggio vorresti dare per sconsigliare l'uso del doping? Penso che il doping sia una pessima scorciatoia per ottenere in fretta risultati migliori ma falsi, risultati che non sono frutto del sano allenamento ma della volontà di barare. È truffare il tuo leale avversario, è confrontarsi imbrogliando gli altri. Inoltre bisogna considerare i danni irreversibili che l’assunzione del doping può provocare (tumori, sterilità, impotenza oltre alla comparsa delle caratteristiche maschili come incremento della quantità di peli, sviluppo dei genitali maschili e profondità della voce). Alcune pratiche dopanti sono state causa di morte (Florence Griffith, velocista statunitense fece un massiccio uso di steroidi anabolizzanti nonché di GH, ormone della crescita. Pare che la partita di GH fosse infetta. All’età di 38 anni lasciò una figlia di 8 anni e suo marito durante la notte).
In effetti chi utilizza doping deve fare i conti non solo con la collettività e i propri cari ma soprattutto con se stesso, sentendosi una persona fallita, scorretta, truffatrice.
La tua gara più estrema e difficile? Non ricordo particolari episodi che hanno reso delle competizioni più difficili di altre. È ovvio che è capitato di doversi confrontare in condizioni fisiche non proprio ideali ma questo accade anche nella quotidianità di ogni individuo. Lo sport ci insegna fin da bambini ad affrontare le difficoltà della vita, ci dà gli strumenti per trasformare le avversità in opportunità di crescita.
Pensi che uno psicologo dello sport sia utile? Sotto quali aspetti e in quali fasi? Credo che un aiuto psicologico nello sport serva specialmente ai ragazzi/e in età evolutiva. Spesso i giovani atleti, per molteplici ragioni, si trovino privi di motivazioni. Può essere per il troppo impegno nello studio, a causa dei genitori che desiderano che i propri figli abbiano un rendimento scolastico migliore, per via dei primi rapporti sentimentali e molto altro… ecco, in questa fase penso che un ‘accompagnamento’ possa servire. Il discorso diventa però di carattere sociale e politico se affermo che la figura dello psicologo dovrebbe essere presente anche nelle scuole… ma questo è un altro argomento di non facile soluzione. Anche gli atleti cosiddetti evoluti traggono benefici da un supporto psicologico (famoso è quello che Jacobs ha ricevuto prima della vincente finale olimpica di Tokyo 2021). Le fasi sono decise dal bisogno del singolo. Un/a atleta nella sua carriera subisce emozioni non sempre positive che possono alterare le sue percezioni, convinzioni, certezze, subire frustrazioni e qualche volta dei torti. In questi casi l’atleta potrebbe sentirne il bisogno. Ai miei tempi mancavano tante cose di cui oggi usufruiscono i ns atleti compresa la figura dello psicologo.
Sempre più si considera l’importanza di un confronto, un supporto, un aiuto di uno psicologo nei diversi settori, dallo sport, alla scuola, alle famiglie per accettare, affrontare, gestire, situazioni nuove, cambiamenti, criticità, avversità, trovando modalità e strumenti utili ed evitare conseguenze peggiori in termini di malessere ed eventuali sintomi o patologie.
Se potessi tornare indietro cosa faresti o non faresti? Ho fatto sempre ciò che ho desiderato e che ho considerato giusto per me. Cambierei alcune cose di tipo tecnico ma allora non lo reputai necessario. Rifarei tutto quello che ho fatto!
Sogni realizzati e rimasti irrealizzati? Ho realizzato il sogno di praticare uno sport che ho amato tantissimo vincendo le perplessità dei miei genitori. Non è bello vivere di rimpianti e non ne ho, sono convinta però di essere rimasta ‘ingabbiata’ nel mio ruolo di ostacolista e non essermi dedicata alla gara più lunga, quella degli 800 mt, dove ho dimostrato di avere qualità che mi avrebbero regalato buoni risultati. Un sogno non realizzato infine è stato quello di non correre una finale olimpica.
Si fa quel che si può nel miglior modo possibile con consapevolezza e determinazione e a volte passano treni che vorremmo prendere ma comunque si cerca di vivere al meglio con quello che c’è ogni momento, ogni giorno.
Quali sono stati gli allenamenti più importanti? Non esistono allenamenti che non siano importanti. Tutti servono a ottenere lo scopo per cui ci si allena. Però posso dire che gli allenamenti cosiddetti di ‘rifinitura’, quelli tecnici e quelli più a ridosso della competizione sono i più ‘delicati’.
Ogni gara prevede una preparazione accurata corposa qualitativa e quantitativa e ogni tanto bisogna fare degli allenamenti specifici per testare la forma e capire quanto si può valere in gara cercando di fare proiezioni attendibili.
Quali sono gli ingredienti del successo? Il discorso è molto ampio e di difficile omologazione. Credo che non ci sia una ricetta uguale per tutti e che i fattori possano davvero essere molti. Indubbiamente essere nati con qualità fisiche che permettano, grazie all’allenamento, di esprimere buoni risultati a livello nazionale o, meglio ancora, internazionale è l’ingrediente principale. Se non si hanno certe qualità l’allenamento e gli aspetti caratteriali non portano a risultati di un certo valore. Credo sia utile avere una grande motivazione, che può avere diversi obiettivi, ma comunque molto forte. Di solito sono le passioni a muovere le nostre azioni, dunque una spinta emozionale è indispensabile.
Nello sport, come nella vita a influenzare i nostri risultati sono gli incontri, le situazioni, le reazioni alle avversità e il gradimento delle cose belle. Tutte queste cose sono elementi che potrebbero determinare il successo oppure no! Un ultimo elemento che reputo importante per godersi il proprio successo è l’umiltà, valore fondamentale ma spesso dimenticato. La nostra società è altamente competitiva, se non si ottiene il miglior risultato nel lavoro, nello studio o nello sport non si ha valore. Così non è, bisogna prendere coscienza del proprio valore (nutrire autostima) e dei propri limiti solo così i nostri risultati assumeranno un successo. Sarà un successo relativo, ma per noi assumerà un valore assoluto!
Interessantissima e utilissima testimonianza che rafforza il concetto che alla base di tutto ci sono i geni, il talento, le potenzialità innate e poi tocca essere altamente motivati con forte passione per essere disposti a dedicarsi a una passione, spendere tempo utile per allenamenti e studio e soprattutto non abbattersi alle prime sconfitte ma continuare a perseverare nel raggiungimento dei propri sogni difficili, ambiziosi, ma non impossibili.
Cosa c'è dietro un titolo italiano? Per quel che riguarda l’aspetto tecnico è importante la possibilità e la fortuna di sviluppare un programma di allenamento ben studiato che porti il miglior risultato nel momento giusto. Per quanto riguarda l’aspetto emotivo, per quel che mi riguarda, è necessaria la consapevolezza del proprio stato fisico affinché si possa sviluppare una gara il cui risultato rispecchi al meglio la condizione del momento. Ovviamente, essendo io una specialista di una gara tecnica, avevo anche alcune altre cose da pensare. Detto questo, vincere un titolo italiano significava per me confermare che il lavoro era stato svolto bene, che in Italia nessun’altra mi era arrivata davanti e che potevo finalmente assaporare la giusta gratificazione a tanti sacrifici e fatiche. Vorrei anche sottolineare il sentimento di gratitudine che provavo e provo, per colei che mi ha sempre seguita con passione senza alcun ritorno economico (la mia allenatrice Paola Giuli).
Dietro successi, titoli, record c’è sempre tanto lavoro, tanta passione e motivazione, tanta fiducia in sé ma soprattutto qualcuno che sostiene, supporta, allena ed è importante tanta gratitudine nei loro confronti che lavorano umilmente di nascosto in attesa delle migliori prestazioni degli atleti che seguono.
A chi ti ispiravi? Non avevo un modello a cui ispirarmi ma nutrivo una grande ammirazione per le atlete nate con qualità più spiccate delle mie, e con le quali ‘Madre Natura’ era stata più generosa.
Cosa dicevano familiari e amici circa il tuo sport? I miei genitori all’inizio furono molto contrari, per diverse ragioni, al fatto che io volessi praticare uno sport. Loro non avrebbero potuto seguirmi, avevano un negozio di generi alimentari che li teneva impegnati fino a sera tarda. Abitavo a Roma, una città difficile per una ragazzina di 12 anni che deve star lontana da casa per tutto il giorno; la mia scuola era lontana dalla mia abitazione, il campo d’allenamento altrettanto. Io con la mia caparbietà li convinsi a farmi provare nonostante le difficoltà. I primi risultati arrivarono subito, questo li convinse a lasciarmi fare. Negli anni successivi erano molto orgogliosi e fieri di me e dei miei risultati. I compagni di scuola e i miei amici sono sempre stati i primi e i migliori tifosi.
Dott. Matteo SIMONE
Psicologo, Psicoterapeuta Gestalt ed EMDR
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