lunedì 15 giugno 2015

Cosa pensano familiari e amici della tua partecipazione a gare estreme?

Matteo Simone 3804337230- 21163@tiscali.it 

I
familiari inizialmente non approvano la passione di un ultramaratoneta che percorre tanti chilometri su strade o sentieri in condizioni atmosferiche difficili, a volte ai limiti della sopravvivenza, ma con il tempo comprendono che l’atleta si dedica a una passione che lo coinvolge e che gli permette di sperimentare benessere.

Gli amici inizialmente considerano l’atleta fuori di se, ai limiti della pazzia, ma con il tempo apprezzano gli aspetti del carattere che gli permettono di sostenere allenamenti e competizioni di lunghissima durata e di difficoltà elevatissima, diventando quasi fieri di essere amici e raccontando in giro le gesta, così a volte sono considerate, dei propri amici atleti, quasi a vantarsi di conoscere gente che fa l’impossibile, extraterrestri.

Ultramaratoneti per vedere il mondo sotto occhi diversi

Tutto è relativo, tutto è soggettivo, tutto è personale, è quello che succede per tanti ultramaratoneti, o ultrarunner, o ultratrailer che vedono il mondo in modo diverso dai normali runner o dalle persone comuni che praticano una qualsiasi attività sportiva o che seguono lo sport in TV o sui mass media.

E’ quello che emerge da interviste ad ultramaratoneti per la redazione di un testo rivolto a loro ma anche a coloro che non conoscono questo mondo particolare per capire le loro motivazioni, passioni, stranezze, conoscere aneddoti, modalità di superare crisi, difficoltà, aspetti psicologici che utilizzano per raggiungere i loro obiettivi.

Ultramaratona non è solo muovere le gambe, ma usare la testa

Gli ultramaratoneti, in genere non sperimentano l’ansia della competizione, del pregara, ma quello che in genere avviene una certa aspettativa positiva, non si vede l’ora di affrontare il lungo viaggio che, come i lunghi viaggi, è fatto di conoscenza, di scoperte, di imprevisti.
Gli ultramaratoneti come si fa per i lunghi viaggi, si preparano in anticipo, si informano sulle condizioni climatiche sul percorso, su quello che è opportuno o indispensabile portare a seguito, si documentano. Come i lunghi viaggi diventa importante la preparazione, l’attesa, c’è una voglia di divertirsi, di conoscere, di scoprire se stessi e quello che succede.
Per gli ultramaratoneti non si tratta di fare gare estreme ma occasioni per divertirsi, infatti affrontano tale imprese con opportuna preparazione e accorgimenti in modo da non trovarsi in condizioni di estrema difficoltà, certo, come nei lunghi viaggi che capitano imprevisti, anche nelle ultramaratone possono accadere degli imprevisti lungo il percorso, ma ciò non impedisce di fare esperienze che danno un senso alla propria vita.
Ecco cosa raccontano alcuni grandi ultraviaggiatori rispondendo alla domanda Che significa per te partecipare ad una gara estrema?”.:
Angelo fiorini: “Cosa significava per me partecipare a gare estreme? La gente si domandava: ma chi te lo fa fare!!!!!! Per una medaglia! A queste persone rispondevo che solo chi prova una passione poteva capire l’adrenalina che cresce dentro di te quando fai una cosa cui credi e che non deve avere necessariamente un rientro economico e la corsa non ne ha nessuno! E la felicità nel tornare a casa con la medaglia al collo! Capisco che sia difficile per i più capire questa passione, ma sono soddisfazioni che ti riempiono di orgoglio anche se certe imprese non portano niente di concreto ti danno una carica che ti fa superare la fatica fisica. “

mercoledì 10 giugno 2015

Cosa significa partecipare a una gara estrema?

Matteo Simone 


La partecipazione a gare estreme è una scoperta, un contattare il proprio limite, sfidare se stessi, conoscere nuovi percorsi, sentire nuove emozioni; mentre alcuni considerano le gare estreme qualcosa da affrontare serenamente con sicurezza a volte sottovalutando la difficoltà ed il rischio che si corre.

Per gli ultramaratoneti non si tratta di fare gare estreme ma occasioni per divertirsi, infatti affrontano tale imprese con opportuna preparazione e accorgimenti in modo da non trovarsi in condizioni di estrema difficoltà, certo, come nei lunghi viaggi che capitano imprevisti, anche nelle ultramaratone possono accadere degli imprevisti lungo il percorso, ma ciò non impedisce di fare esperienze che danno un senso alla propria vita.

Se ti alleni bene il tuo corpo si adatta a tutto

Gli ultramaratoneti riportano di non considerare la partecipazione ad ultramaratone come spingersi oltre i limiti ma hanno un approccio di sicurezza in quello che fanno avendo sperimentato con gradualità crescente la propria autoefficacia, cioè di poter riuscire ad aumentare il chilometraggio in allenamento ed in gara utilizzando delle strategie che gli permettano di superare eventuali crisi, difficoltà o quello che viene definito limite. Altri vogliono sperimentare sensazioni che possono essere di dolore o sofferenza che comunque non impedisce il raggiungimento di un loro obiettivo.
Alla domanda: “Cosa ti spinge a spostare sempre più in avanti i limiti fisici?”, di seguito le risposte ricevute:
“Rispondo per il passato: mi spingevo oltre i limiti fisici, perché ero e sono uno ‘tosto’, un caparbio, che si piega ma non si spezza, e credo in quello che fa e che soprattutto credo che provare non costa niente, e se riesco bene altrimenti posso dire di averci provato. E mi ha detto bene fino alla Sparta Atene dove ho sperimentato a quello cui nessuno pensa: che in queste gare estreme si può rischiare seriamente la salute!! A pro’ di che?”
“Vedere fin dove riesco a spingermi.”
“Non lo so, c’è qualcosa dentro che mi spinge ad andare oltre, che mi fa star bene dopo una fatica del genere, soddisfatto di aver superato me stesso.”
“Le sensazioni indescrivibili che comunque si provano prima, durante e dopo. Quando non le avvertirò più, smetterò di “spostare in avanti” il limite.”
“Il desiderio di sfidare il proprio corpo, ma mantenendo sempre la consapevolezza del proprio gesto.”
“Conoscere appunto i miei limiti.”

Come fare per torvare un po di forza quando ci si sente azzerati

Il lavoro da fare non è semplice ed è lungo, di pende dalla persona, richiede volontà e resistenza. Bisogna lavorare su diversi aspetti tra i quali l’autoconsapevolezza, la ricerca di risorse personali, l’incremento dell’autoefficacia, lo stabilire priorità e/o obiettivi.
E’ possibile iniziare dall’azzeramento, una sorta di vuoto fertile e focalizzarsi sul respiro e le sensazioni corporee per sentirsi, sentire il vero se stresso, comprendere nel “qui e ora” come si sta, cosa si vuole e, un po per volta, mobilitare le energie per soddisfare i propri bisogni.
Qualcuno ci ha provato e mi ha risposto: “Grazie! Ci provo! Guarda sono in bici proprio perché riesco a pensare solo al respiro e alla natura così bella! Oggi è la prima volta dopo tanto tempo e vedo che mi sta piacendo. Fa bene allo spirito.”
William Hart, nel suo testo “L’ARTE DI VIVERE”(1), spiega l’importanza di sviluppare l’autoconsapevolezza vivendo nel qui e ora: “Quando ci sediamo tranquilli e fissiamo l’attenzione sul respiro, senza l’interferenza di alcun pensiero, attiviamo e manteniamo un salutare stato di autoconsapevolezza.
Fissare l’attenzione sul respiro favorisce lo sviluppo della consapevolezza del momento presente. La giusta concentrazione consiste nel mantenere questa consapevolezza il più a lungo possibile, momento dopo momento. Ogni giorno, nel compiere le azioni abituali, dobbiamo essere concentrati.”
KABAT-ZINN nel suoi testo “Dovunque tu vada ci sei già. In cammino verso la consapevolezza” (2) illustra l’importanza del non fare, di fermarsi, di sperimentare l’essere: “Un buon modo di interrompere le nostre occupazioni è passare per un momento alla ‘modalità dell’essere’. Valutate semplicemente questo momento, senza tentare affatto di cambiarlo. Cosa sta accadendo? Cosa provate? Cosa vedete? Cosa sentite?

La corsa più dura del mondo

Sulla rivista Acqua&sapone di maggio 2012 Angela Iantosca intervista Roberto Ghidoni che ci spiega come ha scoperto la corsa più dura del Mondo: “Una mia amica mi fece vedere un video riguardante la traversata dell’alaska, la Iditasport Extreme. E decisi che era giunto il momento di partire.” E’ quello che è successo e succede a tanti che vengono chiamati, attratti dalle lunghe distanze o da percorsi estremi.
Alla corsa più dura del mondo si può partecipare come runner, in bici o con gli sci, importante è percorrere la distanza prevista in totale autosufficienza. Il 1999 Roberto venne a conoscenza di questa gara ed il 2000 si iscrisse per partecipare arrivando al 3° posto percorrendo la distanza di 560km. Da lì scattò una passione irrefrenabile paragonabile al mal d’africa, una sorta di mal d’Alaska. L’anno dopo, più determinato e sicuro fa il bis arrivando primo ex-equo. L’anno successivo, il 2002 la competizione cambia nome in “Idita Trail Invitational” e Roberto partecipa percorrendo e vincendo la distanza di 1765km. Ancora l’anno successivo, per motivi climatici la distanza è ridotta a 1265 km e roberto sempre più determinato e con più esperienza arriva primo non solo dei runners ma anche degli atleti in bici e con gli sci. Il 2004 nonostante una tromboflebite arriva primo dei runners con un vantaggio di 11 ore sul secondo arrivato.
Di seguito riporto l’intervista di Angela Iantosca fatta a roberto Ghidoni e riportata sulla rivista Acqua&sapone di maggio 2012 :

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