Per essere chiamato
"traumatico" l'evento deve produrre nell’individuo un'esperienza
vissuta come "critica", eccedente cioè l'ambito delle esperienze
normalmente da lui prevedibili e gestibili.
Per il DSM IV, 1994, il trauma è “Un evento vissuto al di fuori della norma, estremo, violento, lesivo,
che minaccia o ferisce l’integrità fisica e psichica di un singolo o di un gruppo
di persone; in genere richiede uno sforzo inabituale per essere superato”.
Si può considerare il trauma da due
diversi punti di vista: se si considera l’aspetto oggettivo, si valuta prevalentemente la drammaticità
intrinseca all’evento.
Esistono eventi come l’abuso o la tortura, per esempio, che
sono esperienze dolorose e insostenibili per chiunque le subisce, e che si
connotano come esperienze oggettivamente traumatiche.
Se si considera la dimensione soggettiva l’attenzione si sposta
dall’evento al soggetto dell’evento.
In questo
caso è decisivo il modo individuale di elaborare l’evento traumatico.
Non ci sono
due persone che provino o manifestino il trauma esattamente allo stesso modo. Quel che risulta nocivo per una persona
può essere stimolante per un’altra.
Raramente l'attraversare tali
esperienze, pur se penose e difficili, determina lo sviluppo di una vera e
propria sindrome clinica, o il (PTSD). Perché un evento estremo, ancorché molto
doloroso, si traduca in una sindrome, è necessario il concorso di ulteriori
fattori personali ed esperienziali nella storia pregressa dell'individuo (quali
fenomeni di abuso e trascuratezza nell'infanzia, problematiche
psicologiche pregresse, etc.).
Dopo
un'esperienza traumatica, una persona può rivivere il trauma mentalmente e
fisicamente, perciò evita il ricordo del trauma, chiamato anche trigger (termine
inglese che significa appunto "grilletto", perché scatena il
ricordo), in quanto questo può essere insopportabile e persino doloroso.
Le persone
traumatizzate possono cercare sollievo nelle sostanze psicotrope, tra cui
l'alcool, per cercare di sfuggire ai sentimenti legati al trauma.
Una prima descrizione dettagliata del
PTSD era stata fatta nel 1861 sui reduci della guerra civile americana i cui
dolori toracici e palpitazioni venivano considerati come sintomi di un disturbo
cardiaco funzionale, definito come il “cuore del soldato”.
Il termine shock da granata o da
esplosione (shell shock) venne usato per la prima volta in un articolo sul
Lancet nel 1915 dallo psicologo medico Charles Myers, che combatté nella
British Expeditionary Force in Francia nella Prima Guerra Mondiale, per
indicare i disturbi psicologici che causarono il rimpatrio di molti militari
fin dal dicembre 1914.
All’inizio la comunità scientifica
considerò lo shock da granata dal punto di vista “organico”, cioè come
espressione di una lesione neurologica, conseguente all’urto di potenti agenti
esterni.
Ben presto, però, si dovette fare i conti con il numero crescente di soldati
che, essendo stati vicini o avendo assistito a un’esplosione, senza aver subito
alcuna ferita al capo, presentavano comunque una serie di sintomi di difficile
interpretazione: amnesia, scarsa concentrazione, mal di testa, ronzii,
vertigini e tremore, che non guarivano con le cure ospedaliere.
Nei giorni 28 e 29 settembre 1918,
presso l’Aula dell’Accademia Ungherese, si svolse il V Congresso Internazionale
di Psicoanalisi.
ll tema dominante del Congresso di
Budapest è quello delle patologie mentali da trauma bellico.
La prima relazione è di Ferenczi: «La guerra ha provocato malattie nervose in misura massiccia … che dovevano essere comprese e curate, e i neurologi sono stati costretti a riconoscere che avevano tralasciato qualcosa. Questo qualcosa era (…) la psiche» (Ferenczi, 1919, p. 12)
La prima relazione è di Ferenczi: «La guerra ha provocato malattie nervose in misura massiccia … che dovevano essere comprese e curate, e i neurologi sono stati costretti a riconoscere che avevano tralasciato qualcosa. Questo qualcosa era (…) la psiche» (Ferenczi, 1919, p. 12)
Durante e dopo la Guerra del Vietnam
(1965-1973) molti soldati presentarono gravi disturbi psicologici a seguito
dell’esposizione a traumi bellici. In considerazione del fatto che nell’allora
vigente DSM-II (1968) non era contenuta una diagnosi corrispondente allo stress
da battaglia, per gli psichiatri americani diventò urgente e necessario trovare
un termine, che indicasse gli effetti di quel tipo di stress sulla psiche. Il
termine “Sindrome post-Vietnam”, proposto in mancanza di un termine migliore,
fu sostituito da quello più comprensivo di “Disturbo da stress da catastrofe”.
La task force dell’APA (American
Psychiatric Association) per il DSM-III (1980), riconoscendo che il “Disturbo
da stress da catastrofe” poteva originare anche da traumi non bellici, suggerì
la locuzione di “Disturbo da stress post-traumatico” (PTSD).
Furono i
disturbi psichici osservati nei combattenti e nei reduci del Vietnam a determinare
la creazione del PTSD nel DSM-III, cui corrisposero i seguenti criteri
diagnostici:
´ A) Essere stati esposti ad un evento traumatico
´ B) Rivivere in modo persistente l’evento traumatico
(ricordi, sogni)
´ C) Reagire a livello fisiologico ai fattori scatenanti
di cui sopra,
´ D) Evitare in modo persistente gli stimoli associati
all’evento traumatico
´ E) Presentare un aumento dell’arousal (eccitazione,
reattività, allarme)
´ F) Durata del disturbo superiore a un mese
´ G) Sperimentare una significativa riduzione del
funzionamento a livello sociale, occupazionale o in altre aree della
vita.
Il DSM-IV prevede, più restrittivamente, che “la persona abbia vissuto, assistito o si sia confrontata con un evento o con eventi
che hanno implicato morte, o gravi lesioni, o una minaccia all’integrità fisica
propria o di altri” e che “la risposta della persona comprenda paura intensa, sentimenti di impotenza o di
orrore”.
Solo una parte dei soggetti esposti a
traumi, anche di notevole gravità, sviluppa il PTSD. Una crescente mole di dati
sottolinea, inoltre, l’importanza di fattori
di rischio quali predisposizione genetica, familiarità psichiatrica, età
all’epoca dell’esposizione allo stressor,
tratti di personalità, pregressi disturbi psichiatrici, esposizione a
precedenti eventi stressanti, caratteristiche del trauma.
Nel DSM-5 (maggio 2013) il PTSD entra a
far parte di una nuova categoria diagnostica, denominata “Disturbi
correlati a traumi e agenti stressanti”, nei quali l’esordio è preceduto
dall’esposizione a un evento ambientale traumatico o, comunque, avverso.
I soggetti affetti da DPTS possono
presentare abuso
di alcool e di altre droghe come
tentativo di automedicazione per mitigare i sintomi e dimenticare il
trauma, ed elevato rischio di comportamenti
suicidari. Taluni possono manifestare
sentimenti di colpa per essere
sopravvissuti ad eventi catastrofici in cui altre persone, soprattutto
parenti o amici, hanno perso la vita.
Un altro sintomo molto diffuso è il senso di colpa, per essere sopravvissuti o
non aver potuto salvare altri individui. Dal punto di vista più
prettamente fisico, alcuni sintomi sono dolori al torace, capogiri, problemi
gastrointestinali, emicranie, indebolimento del sistema immunitario.
Quando il soggetto (soldato o civile)
affetto da PTSD non trova riconoscimento e accoglimento del danno subito,
possono essere messi in atto alcuni comportamenti per così dire di “autocura”,
che hanno lo scopo di aumentare la tolleranza sia allo stress subito, sia agli
stressor successivi.
Tra questi comportamenti il più
importante e pericoloso a livello sia clinico che sociale é quello
dell’assunzione di droghe e alcoolici.
Terapie e
trattamenti specifici per il DPTS
La maggior parte degli studi
sottolineano l’importanza dell’utilizzo di terapie integrate, ovvero dell’abbinamento
di terapie psicofarmacologiche e di psicoterapia.
In particolare, una recente review del British Medical Journal, riassume i
trattamenti psicoterapeutici utilizzabili per il DPTS in tre principali gruppi:
i trattamenti di stampo cognitivo-comportamentale o puramente cognitivo,
l’EMDR, la terapia psicofarmacologica.
L’Eye movement Desensitization and
Reprocessing (EMDR) è il trattamento più efficace per disturbo di stress acuto
e PTSD:
-approccio psicoterapeutico integrato e
trasversale;
- focalizzazione sul ricordo
dell’esperienza traumatica;
- il paradigma dell’Elaborazione
Adattiva dell’Informazione;
- la stimolazione bilaterale oculare,
uditiva, tattile;
- a method
evidence-based for the treatment of the
PTSD.
Si tratta di una metodologia che
utilizza i movimenti oculari o altre forme di stimolazione ritmica destro-
sinistra per trattare disturbi legati ad esperienze passate o a disagi presenti
dei soggetti.
LO PSICOLOGO
NELL’EMERGENZA si documenta; è
presente; incontra l’altro, diverso da lui; è disponibile all’ascolto empatico;
si adatta al contesto e al setting; utilizza tecniche di mediazione,
negoziazione e gestione dei conflitti; promuove il lavoro di rete.
In una emergenza, lo psicologo deve
valutare il contesto dove andrà ad operare e sapere: cosa trova; chi trova; con chi opera; di cosa ha bisogno; quali problemi
potrebbe avere.
In una maxiemergenza (disastri,
calamità, etc.), oltre all'intervento di crisi nell'immediatezza
dell'emergenza, lo psicologo dell'emergenza deve anche contribuire al
collegamento tra l'assistenza diretta nelle tendopoli e la liason con i servizi sanitari; all'assistenza
nelle interazioni e gestione dei conflitti all'interno della
comunità; alle attività di supporto nella ripresa dei servizi educativi
(affiancamento degli insegnanti nella ripresa dell'attività
scolastica, consulenze psicoeducative, etc.); al sostegno ai processi di empowerment psicosociale e comunitario;
al supporto psicologico, man mano che famiglie, gruppi e comunità ripristinano
un proprio "senso del futuro", e riprendono gradualmente a svolgere
una progettazione autonoma delle proprie attività, ricostruendosi una
prospettiva esistenziale in un contesto ambientale e materiale spesso
profondamente mutato
Matteo SIMONE
Psicologo, Psicoterapeuta
3804337230 - 21163@tiscali.it
http://www.psicologiadellosport.net
Psicologo, Psicoterapeuta
3804337230 - 21163@tiscali.it
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