Matteo SIMONE
Impegnatevi
per ottenere ciò di cui avete bisogno, e quando non riuscite a ottenerlo,
ebbene, sorridete e tentate ancora, in un modo diverso.
(William Hart) (1)
L’atleta può considerare il non
raggiungimento di un obiettivo prefissato come una sconfitta personale. Ma
nello sport si mettono in conto le sconfitte, servono a farti fermare,
riflettere, fare il punto della situazione, osservare, valutare, capire cosa c’è
stato di utile, di importante nella prestazione eseguita e su cosa, invece,
bisogna lavorare, cosa si può migliorare. Quindi, tutto sommato, la sconfitta
potrebbe servire per fare una valutazione delle proprie risorse, punti di forza
e, al contempo, delle criticità.
Importante in caso di prestazione
percepita come sconfitta è la motivazione, se un atleta è fortemente motivato
nel voler praticare il suo sport che comporta lavori, sacrifici, rinunce,
affronterà le sconfitte a testa alta, complimentandosi con se stesso per quello
di buono che è riuscito a fare finora, complimentandosi con l’avversario per la
bravura dimostrata in quell’occasione, anche perché prima o poi lo trovi uno
più forte o che comunque riesce a batterti.
Un aspetto importante
del vero campione è la resilienza, il cui significato è: “mi piego ma non mi
spezzo”, che sta a significare che il vero campione esce fuori dalle sconfitte
con più voglia riscattarsi, di far meglio, di migliorare gli aspetti, le aree
in cui ha mostrato carenza; il concetto di resilienza è presente anche nelle
persone che subiscono traumi, quelli che possiedono questa caratteristica non
vanno incontro a stress acuti, o disturbi post traumatici di stress, ma ne
escono più forti, con un valore aggiunto.
Lo sportivo non è solo, è circondato
dall’allenatore che dovrebbe conoscere le sue potenzialità, i suoi punti di
forza e di debolezza, dovrebbe costruire con l’atleta un progetto di obiettivi
raggiungibili, stimolanti, da rivalutare all’occasione, dare feedback adeguati,
spiegare le sedute di allenamento, l’importanza del gesto sportivo, il
significato, raccontare aneddoti, far parte della storia sportiva dell’atleta,
condividere momenti di gioia e sofferenza, di vincite e di sconfitte, essere
disposto ad ammettere di aver fatto un errore, di aver preteso, di aver
sottovalutato, di non aver considerato.
Diversamente accade per i campioni che
hanno estremo bisogno, estrema necessità di confermarsi campioni, quando si
raggiunge una notorietà molto elevata, eccessiva, si rischia di attrarre
l’interesse non solo della vita sportiva dell’atleta ma dell’intera vita
privata, e questo se all’inizio può essere piacevole per il piacere di essere
riconosciuti, contattati, alla lunga può produrre stress, nervosismo, deconcentrazione,
fino alla distrazione disfunzionale dall’attività sportiva praticata.
L’atleta è tentato a rilassarsi troppo, a
non investire proficuamente nello sport, e questo va a discapito della
performance che richiede un investimento notevole. In questi casi l’atleta
campione è tentato a distrarsi perché cambia la motivazione, conosce il piacere
della notorietà senza faticare, ma la gente si interessa a lui per il solo
fatto di essere stato campione e ciò può portare a una reale fine carriera.
(1)
William Hart, La meditazione vipassana come insegnata da S.N. Goenka
Un’arte di vivere, Edizioni Artestampa, 2011, Modena.
Matteo
SIMONE
Psicologo,
Psicoterapeuta Gestalt ed EMDR
380-4337230
- 21163@tiscali.it
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