lunedì 24 agosto 2015

La corsa è un gesto naturale, lo amo, farà sempre parte della mia quotidianità

Simona Morbelli, un amante della corsa al naturale, per sentieri, per montagne. L’ho conosciuta in occasione del raduno premondiale della nazionale italiana ultratrail, simpatica, sempre solare, di corsa facile e con un completino in gonnella ma veloce in piano, salita e discesa. Simona racconta di se, delle sue passioni prima di conoscere la corsa, delle sue esperienze in gara, motivazioni, passioni, sogni.
Ti puoi definire ultramaratoneta?  “Mi definisco un ultratrailer anche se in queste ultime due stagioni ho scoperto di trovarmi a mio agio anche in altre tipi di gare, i City Trail ad esempio mi divertono e motivano.” A Simona piace divertirsi faticando, è alla scoperta del nuovo per sorprendere gli altri ma anche se stessa, valida e competitiva atleta in grado di dare filo da torcere alle più agguerrite avversarie.
Mi spieghi il City TrailI city Trail come l’Urban Trail a Lione o l’Eco Trail di Parigi, sono corse nelle città e sulle eventuali colline sopra la città, parchi, etc. I dislivelli sono limitati, a Parigi ad esempio, su 80 km vi sono 1750 di dislivello, 70 km sono su percorso sterrato e parchi, l'asfalto l ho incontrato solo gli ultimi km, quelli che servivano per raggiungere il primo piano della Tour Eiffel. Ho fatto questa gara due volte, all'estero sono gare molto sentite ed importanti. Alla partenza non meno di 1500 concorrenti. Normalmente i City Trail sono sono molto nervosi, scale, cavalcavia, strappetti nei parchi, Parigi ha un percorso più fluido senza però consentire mai al l'atleta di annoiarsi."
Cosa significa per te essere ultramaratoneta? Essere un ultratrailer significa non solo amare la corsa in natura ma, nel mio caso, l'essere attratta dalle incognite che quest'ultima riserva, dal meteo alle difficoltà del percorso, alla capacità che ha il proprio corpo ad adattarsi all'imprevisto.” E’ attratta dal difficiele, dalle difficoltà ed a lei piace affrontare percorsi e condizioni ostili ed estreme per vedere ogni volta come se la cava e come ne esce fuori, è come dimostrare a se stessa e agli altri di essere in grado, ri riuscire, di essere capace.
Qual è stato il tuo percorso per  diventare un ultramaratoneta?  “Nasco alpinista (parolone) e scalatrice, ho iniziato a correre casualmente per aumentare la capacità polmonare.” Come tanti altri scopre la corsa per caso e se ne innamora.
Cosa ti motiva ad essere ultramaratoneta? Ognuno di noi, in modi differenti dovrebbe cercare di migliorarsi. Sono sempre stata attratta da ogni cosa che potesse portarmi a superare i miei limiti. Ho iniziato correndo un circuito di 3.3 km nella riserva di caccia di casa mia in campagna, adesso reputo corta una gara da 50 km ed ho imparato a gestirmi in maniera tale da migliorarmi nella prestazione dopo il 50 km. Simona apprende a far bene gradualmente con esperienza di superamento graduale delle difficoltà ed ostacoli, aumenta gradualmente l’asticella ed allunga i percorsi di gara un po per volta accorgendosi sempre di pù di essere portata per questo tipo di competizione che gli da tanta soddisfazione.
Hai mai pensato di smettere di essere ultramaratoneta? La corsa per me è un gesto naturale, lo amo, e se un giorno dovessi mettermi a fare delle regate oppure motocross la corsa in natura farà sempre parte della mia quotidianità.E’ un amante del nuovo, si adatta alle circostanze ed ai cambiamenti ma la corsa è un amore che non abbandonerà mai, sarà per lei propedeutico per qualsiasi attività.
Hai mai rischiato per infortuni o altri problemi di smettere di essere ultramaratoneta? “Gli infortuni capitano, a volte si sta fermi solo qualche giorno, a volte qualche mese. Esistono però lavori alternativi molto efficaci come la bici o il nuoto. Ti aiutano a rimanere in forma con il fiato ed a fare un ottimo lavoro di forza. In questo modo si può ritornare più forti di prima essendoti anche ‘depurato’ dai carichi di lavoro quotidiani della corsa.” Con l’esperienza a livello Internazionale si impara a mettere in conto gli infortuni ed a saperli gestire e superarli con attività alternative e con un’adatta riabilitazione per ritornare più motivati e con voglia di fare meglio.
Hai sperimentato l’esperienza del limite nelle tue gare?  “Supero il limite ogni volta che decido di prepararmi per un tipo di gara completamente differente nel percorso dal mio conosciuto oppure, soprattutto fu così all'inizio nel kilometraggio. Ho iniziato la mia carriera con le ultra in montagna, quando decisi di prepararmi per un ultra city Trail, i miei allenamenti passarono dai sentieri sotto il Monte Bianco alla ciclabile di Aosta, ripetute da 10.500 metri avanti, indietro. Il lavoro mentale è fondamentale.” Sempre alla ricerca di nuove e sfidanti competizioni, in questo modo è una sorta di messa alla prova per cercare di individuare se c’è un limite che la preoccupi, ma scopre che è importante la preparazione fisica e l’approccio mentale per questo tipo di gare di endurance con forte difficoltà di sentieri e dislivelli.
Quali i meccanismi psicologici ritieni ti aiutano a partecipare a gare estreme?  “La motivazione credo sia la componente principale. Fare qualcosa che ti piace e farlo con degli obiettivi porta ognuno di noi a migliorarsi e non mollare. Forza, determinazione, costanza, resilienza, nel momento stesso in cui sei realmente motivato il tuo corpo aiutato dalla tua mente ti può portare ovunque.” E’ consapevole che il motore del suo successo in quello che fa è la motivazione, finchè è motivata cè voglia di migliorarsi e di far bene, con la motivazione si è più resilienti, si è più disposti ad affrontare fatica e sofferenza, se manca la motivazione tutto diventa più difficile e si è pià disposti a mollare.
Quale è stata la tua gara più estrema o più difficile?Annecy 2015. Partecipare ai campionati del mondo con la maglia azzurra ha avuto per me un valore enorme, oserei dire inaspettato per quanto forte. Mi sono preparata al meglio, sono partita volendo onorare me stessa, la maglia e la gara per poi scoprire dopo pochi km che non avrei potuto farlo a causa di un ernia (diagnosticata quattro giorni dopo), che mi ha bloccato il gesto. Ho continuato la gara  finché ho potuto nonostante fossi l'ombra di me stessa. Solo dopo due giorni, tornata nella quotidianità  mi sono lasciata andare in un pianto ininterrotto.” Quando ce la metti tutta per far bene, per onorare una maglia indossata della nazionale italiana ma scopri che il fisico si arrende ti si rivolge contro allora c’è un momento di disperazione, di fallimento, di sconfitta, di riflessione, ti mette davanti al limite, alla difficoltà, alla resa, in questo momento bisogna farsene una ragione e saper pazientare in attesa di un recupero per poter lavorare meglio con costanza e ritornare a far bene.
Quale è una gara estrema che ritieni non poterci mai riuscire a portarla a termine?Potrei rispondere elencando diverse gare così come avrei potuto farlo anni fa. Tra queste cerano ultra che poi ho addirittura vinto. Credo che determinando gli obiettivi, che non devono essere per forza sempre e solo quelli della vittoria o podio a tutti i costi, potrei anche portare a termine una gara a 50 gradi costanti di migliaia di km dove non si corre quasi mai se non in discesa. Premetto che odio il caldo, non amo particolarmente le gare a tappe ed amo le gare veloci perché performo bene nella corsa. L'abitudine alle cose consente alla mente di fregarci. Cambiare equivale ad evolversi.” Sempre pronta Simona, non disdegna nuove sfide che una volta definito l’obiettivo e la scadenza temporale è disposta a prepararsi senza trascurare nessun dettaglio per far bene.
Cosa ti spinge a spostare sempre più in avanti i limiti fisici?Non mi sono mai accontenta in nulla. Da ragazzina, mentre le mie amichette pensavano al loro micro mondo fatto di quello che ogni giorno vedevano intorno a loro io già pianificavo dove e come avrei voluto vivere. In questo modo ho pianificato gli studi che mi permettessero di vivere esattamente dove e come avrei voluto. Dopo il master ho lavorato in finanza tra Milano e Londra in una banca d'investimento per diversi anni poi, diventata mamma delle mie due bimbe, da Chicago dove vivevo in quel momento, ho voluto che la mia vita prendesse, per un determinato periodo, una direzione differente. Ho iniziato ad avvicinarmi alla natura scalando e praticando free ride con conseguente scelta di passare molto tempo dell'anno a  Courmayeur dove avevo già una casa di villeggiatura. Da lì è arrivata la corsa. I limiti non sono solo fisici ma soprattutto mentali. Molto dipende dal nostro background ed io non ho mai avuto questi problemi. Non potrei vivere più di un certo periodo di tempo una stessa tipologia di quotidianità. Alzo sempre l'asticella sia nello sport che nella vita al di fuori di esso.” E’ sorprendente Simona, è una che punta in alto nello sport e nella vita, è una scalatrice, quello che fa lo fa al massimo e con la passione vera.
Cosa pensano i tuoi famigliari ed amici della tua partecipazione a gare estreme?Nessuno si stupisce più di quello che faccio come lo faccio e perché lo faccio dal tempo delle scuole medie.” In famiglia hanno imparato a conoscerla bene e quindi non si sorprendono di niente quello che fa per loro è ordinario, una sorta di superwoman.
Che significa per te partecipare ad una gara estrema?L'estremo è soggettivo e dipende anche dalla preparazione personale. Potrei veder scalare un 9A+ con elasticita' e grazia stupendomi, senza rendermi conto che per l'atleta che sta compiendo quel gesto si tratta di un qualcosa di conosciuto e di fattibile dal momento che lo sta facendo. Il mio estremo potrebbe dunque essere quello di portare a termine con una buona prestazione una gara per nulla affine alle mie caratteristiche atletiche senza per questo cercare il pericolo, parola amata molto da chi ci vorrebbe tutti insani di mente per giustificare la propria inadeguatezza.
Cosa hai scoperto del tuo carattere nel diventare ultramaratoneta?Più che scoperto, ho modificato il mio stile di vita spostando i valori su altre direzioni. Adesso vivo in maniera sana, sono più libera con me stessa e la mia anima è più leggera. Sulla tenace testona testarda agonista erano già tutti d'accordo da quando, nemmeno undicenne, costringevo i miei genitori a seguirmi segretamente durante le mie competizioni atletiche. Non volevo nessuno perché non volevo mi vedessero nel caso non fossi salita a podio. Delirio.
Come è cambiata la tua vita famigliare, lavorativa?Non sempre è facile fare tutto, sono spesso via per motivi famigliari e spesso per la corsa o eventi legati ad essa. Non ho mai avuto una quotidianita fatta dalle stesse cose, ho sempre viaggiato molto ed ho diversi interessi e passioni oltre alla corsa. Diciamo che per allenarmi a volte costringo la mia famiglia a fare a meno di me oppure a modificare alcune programmazioni.
Se potessi tornare indietro cosa faresti? O non faresti?Rifarei tutto cercando di migliorare ogni cosa, anche gli errori, li aggiusterei quel tanto da rifarli con meno leggerezza. La cosa importante degli errori fatti, sta nel saper migliorare se stessi dopo averli compiuti. Posso dire di esserci riuscita per metà, laltra metà non ha ancora imparato nulla. Evviva.” A volte si apprende dagli errori, altre volte c’è una sorta di coazione a ripetere, ma può andar bene anche così.
Usi farmaci, integratori? Per quale motivo?Ho la fortuna di essere seguita da Fulvio Massa, mio preparatore, fisioterapista e massaggiatore sportivo. Sono seguita anche da uno staff di professionisti che mi aiutano nell'integrazione e cure mediche. Mi sottopongo a sforzi enormi durante il periodo di carico e la conseguente gara, mi sembra  logico prendermi cura di me stessa. Faccio esami di controllo ogni sei mesi ed in base ad eventuali carenze gestisco il recupero. Vitamine, ferro,potassio  antiossidanti, omega3.” Per essere a certi livelli e per competere in competizioni che richiedono ore ed ore di duro lavoro è importante affidarsi ad esperti e non trascurare nessun aspetto.
E’ successo che ti abbiano consigliato di ridurre la tua attività sportiva?A questa domanda sorrido. Sono davvero gestita al meglio. Ho una programmazione accurata che tiene conto delle mie gare e del mio benessere psicofisico. Faccio una gara al mese, questo sia perché non trovo logico e proficuo ne per la forma fisica tantomeno per la performance fare gare ogni fine settimana, inoltre oltre a ritenerlo poco professionale ho per fortuna altri interessi che mi impegnano i we senza per forza evitare gli allenamenti. Quelli non si evitano mai, ma si possono fare ovunque.
Hai un sogno nel cassetto?Vincere il giro del mondo a vela senza strumentazioni, solo a carteggio. Una regata ovviamente molto dura  sospesa con l'arrivo della strumentazione a bordo. La ripristineranno a breve dopo diversi anni.
Grazie Simona per la ultra simpatia ed ultra generosità e per la voglia di condividere esperienze.

Matteo SIMONE
Psicologo, Psicoterapeuta Gestalt ed EMDR

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