A cura di STEFANO SEVERONI
Sabato 4 Giugno 2016 presso l’impianto sportivo Nando Martellini in Roma
c’è stata la Staffetta 12xmezzora dalle
ore 16 alle 22.00. 54 squadre hanno partecipato alla
manifestazione, un evento non solo sportivo, bensì una manifestazione culturale
della durata di tre giorni (3/5 giugno) il cui obiettivo è coniugare in sé sia
lo sport, sia l’attività di promozione sociale e culturale dedicata agli
sportivi e a tutta
la cittadinanza. Per
la cronaca agonistica, in campo maschile ha vinto Podistica Solidarietà 1 (94˙226 m) davanti a Ozimo Team (91˙377 m) e Atletica
La Sbarra Team Black (89˙538 m) e
in campo femminile Atletica La Sbarra
Team Purple (76˙037 m).
Abbiamo intervistato Annalisa Gabriele dopo la gara, al fine di cogliere
cosa rappresenta partecipare a una manifestazione, che ha visto tanti
protagonisti, dagli atleti, agli organizzatori, allo speaker, ai Giudici di Gara, agli espositori nei numerosi stand, che hanno coinvolto tante persone.
L’atleta tesserata per ASD Amatori Villa
Pamphili ha gareggiato alle ore 20.00 con Ozimo Team, coprendo la distanza di 7˙953 m = 3’46” al km = 15˙897
km/h.
Una gara ‒ la Staffetta 12xmezzora ‒ all’interno di
una manifestazione culturali Sport
Against Violence. Raccontaci la tua esperienza personale. È il secondo anno che partecipo a questa splendida manifestazione e
la trovo davvero stupenda. Quasi sempre si corre per il proprio piacere, per raggiungere
un obiettivo personale. Ma sabato sera questo traguardo si amplia. La nostra
corsa può assumere un significato più importante. E diventa il pretesto per
portare avanti i diritti e le problematiche di chi non a voce.
Cosa hai pensato durante
la gara? Hai prestato attenzione al tuo corpo, al ritmo di corsa, all’ambiente
o agli altri? Penso a tante cose. Mi sono
lasciata coinvolgere dal clima festoso. Dal multiforme vortice di atleti
diversi, che giravano in pista. Dal tifo dei miei compagni.
Perché amiamo i cani, mangiamo i maiali e indossiamo le mucche è il titolo di un libro di un’autrice
francese, Melanie Joy, un’analisi psicologica, che disegna il rapporto ambiguo
uomo-animale. Parlaci del tuo rapporto con le nostre amiche “bestie”. Amo e rispetto gli animali. Ne invidio la forza, il loro saper essere
essenziali e l’istinto. Amo osservarli e viverli nel loro ambiente. In mezzo
alle foreste, tra le onde del mare. Trovo ipnotico il canto degli uccelli al
mattino o le fusa di un gatto. Trovo invece aberrante il concetto di cane da
“appartamento” o “bonsai”.
Correre in pista per mezz’ora
in un anello di 400 m e in senso rigidamente antiorario. Ti risulta più
difficoltoso che correre su strada o in un parco? Dal punto di vista puramente atletico funzionale, correre in pista
è chiaramente più semplice. Non ci sono asperità, salite o pericolosi cambi di
direzione. Puoi scegliere un ritmo sostenibile e portarlo avanti. Detto così
sembra facile e invece correre in pista è difficilissimo. È un braccio di ferro
mentale con le proprie debolezze. Non ci sono scuse. Siamo solo noi, la nostra
corsa e il cronometro, che scandisce i giri. Senza filtri.
Staffetta 12xmezzora: la definizione è un po’ impropria, in quanto non c’è scambio di
un testimone come nelle staffette 4x100 m e 4x400 m, ma un avvicendarsi di
atleti appartenenti a un team a una
prova di corsa di resistenza. Hai percepito lo spirito di squadra? Assolutamente. Correre per un risultato comune dà una spinta in
più. Ci siamo incitati e supportati dall’inizio alla fine. E anche quando non
eravamo tutti fisicamente presenti, ci aggiornavamo continuamente. Ci siamo
applauditi e presi in giro, a prescindere dal valore delle singole prestazioni.
Molti di noi hanno corso nonostante condizioni fisiche non ottimali e per
questo li ringrazio tutti.
Alla gara hanno partecipato
anche atleti con alcune forme di disabilità. Hai apprezzato la loro presenza e
il loro supporto? Correre al loro fianco è un
onore. Emanano una forza e una gioia che tutti dovremmo imparare a ritrovare.
Si percepisce, che mentre corrono si liberano da tanti freni e lacci sia fisici
che mentali. Sono coraggio, determinazione e allegria. Io confronto a loro mi
sento l’ultima della fila.
Lungo il percorso
c’erano ristori con acqua. Ma purtroppo anche nel mondo dell’atletica leggera
c’è chi non si accontenta di ciò che offre la natura, ma assume sostanze
dopanti, un fenomeno da debellare. Cosa ne pensi? Mi domando spesso cosa li
spinge. Quali vuoti cercano di colmare, quale sofferenza cercano di lenire per
accontentarsi di un trionfo fasullo. Per arrivare a mettere in pericolo la
proprio salute, a fronte di momentanee prestazioni mentoniere. Nella nostra
società d'altronde manca una vera cultura dello sport. Il rispetto delle regole e dei valori fin dalla scuola. Lo sport impara a conquistarsi le proprie
vittorie e affrontare le inevitabili sconfitte. Ma oggi siamo abituati ad avere
tutto e subito. Indispensabili poi maggiori controlli. La certezza di essere
scoperti sarebbe per molti un deterrente.
Nel prossimo mese di
agosto, Rio ospiterà una nuova edizione dei Giochi Olimpici moderni.: prima le
Olimpiadi e poi le Paralimpiadi. Non ritieni che sarebbe opportuno un unico
evento? Sicuramente unire le due manifestazioni darebbe maggior rilievo e
visibilità ai risultati degli atleti disabili. Spesso le Paralimpiadi sono
pressoché ignorate.
Da quando hai iniziato a
praticare l’atletica leggera? Dal 2007.
Com’è il tuoi
allenamento? Corro tutti i giorni. Di
solito il mercoledì ripetute e il venerdì variazioni. Poi gareggio tanto.
I tuoi obiettivi
sportivi. Nessuno in particolare. Spero solo
continuare a correre al meglio gestendo bene le mie risorse fisiche.
Oltre alla corsa
pratichi altre attività sportive? Bici,
nuoto, trekking. Ma solo come
attività di piacere.
Presti cura
all’alimentazione, a tecniche di rigenerazione (massaggi, fisioterapia, ecc.) e
al giusto riposo per recuperare le energie profuse in allenamento? Il nostro corpo è una macchina che và curata. Prima di tutto per la
nostra salute e il nostro benessere. Poi viene lo sport che non dev’essere né il motivo principe per cui ci si cura
né la scusa per cui si esagera. Dovremmo cercare un equilibrio fisico e mentale
che parta da dentro. Lo sport può
essere una leva, una motivazione da cui partire o il completamente di una
crescita personale. Ma noi siamo molto di più.
Perché amiamo i cani, mangiamo i maiali e indossiamo le mucche è il titolo di un libro di un’autrice
francese, Melanie Joy, un’analisi psicologica, che disegna il rapporto ambiguo
uomo-animale. Parlaci del tuo rapporto con le nostre amiche “bestie”. Amo e rispetto gli animali. Ne invidio la forza, il loro saper essere
essenziali e l’istinto. Amo osservarli e viverli nel loro ambiente. In mezzo
alle foreste, tra le onde del mare. Trovo ipnotico il canto degli uccelli al
mattino o le fusa di un gatto. Trovo invece aberrante il concetto di cane da
“appartamento” o “bonsai”.
Non ritieni che la corsa
possa essere considerata una disciplina, che consente di prendere
consapevolezza delle proprie capacità fisiche, psichiche ed emotive? Per te
qual è il principale beneficio? La corsa e i
tanti sport di resistenza mettono a
nudo il nostro essere. Scopriamo cose di noi che rimarrebbero nascoste sotto la
patina della nostra comoda quotidianità. Ci scopriamo guerrieri o codardi.
Pazzi, sognatori o gioiosi bambini. Affrontiamo ostacoli, sudiamo, cadiamo e ci
sbucciamo palmi e ginocchia. Svestiamo tacchi e cravatte per indossare colori
sgargianti e cappellini. Ci mascheriamo o ci togliamo finalmente la maschera?
Non lo so, ma so che mentre si corre, si fatica o si soffre, è impossibile
mentire. Fingere di essere altro. Ciò che siamo viene fuori. A volte non ci
piace, ma per fortuna c’è sempre tempo per migliorare.
STEFANO SEVERONI
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