lunedì 20 luglio 2020

Vincenzo Luciani: Per correre le ultramaratone deve funzionare bene il cervello

Matteo SIMONE 

Forse Vincenzo è uno dei primi ultramaratoneti che ho conosciuto tantissimissimi anni fa, quando ancora era temuta la maratona e le ultramaratone sembravano qualcosa di inavvicinabili. 

La sua società sportiva 'Atletica del Parco', di cui Vincenzo era presidente, era la prima squadra di ultramaratoneti che io conoscevo. Atleti che mi parlavano del Passatore, del caldo, delle flebo, dei piatti, dei cibi, della 50km di Romagna, insomma altri tempi.
Poi la squadra, vicina di zona, Villa de Sanctis si è potenziata con gli atleti che in massa si dedicavano alle ultramaratone. 
Vincenzo ha portato con lui tanti atleti a sperimentarsi nelle lunghe distanze e ora si racconta rispondendo ad alcune mie domande di alcuni anni fa.
Così si presenta rispondendo a un mio questionario: “Una premessa è doverosa. Sono stato ultramaratoneta fino al 2007, anno in cui ho corso il Giro del Lago Trasimeno, la 50 km di Romagna e la Pistoia-Abetone. Da allora mi sono limitato a fare delle maratone di 42 km. Perciò le mie risposte saranno rivolte al passato.

Eleonora Mella: Per me la corsa è vita, senza mi sento un po' spenta

La corsa mi ha aiutata anche nella vita privata e nel lavoro, mi ha resa migliore
Matteo Simone 
Psicologo, Psicoterapeuta

Lo sport cambia le persone, le rende più consapevoli, più in contatto con i propri bisogni ed esigenze, più felici e resilienti, più sani, forti, fiduciosi e meno paurosi.

Di seguito Eleonora racconta la sua esperienza rispondendo ad alcune mie domande.
Qual è stato il tuo percorso nella pratica dell'attività fisica?Ho fatto sport da bambina (ginnastica artistica) ma solo dai 6 ai 9 anni. Poi più nulla fino ai 38 anni quando ho smesso di fumare ed ho cominciato a ‘corricchiare’ a Villa Borghese”.
Che significa per te praticare attività fisica?Per me la corsa è vita, senza mi sento un po' spenta, la corsa mi ha aiutata anche nella vita privata e nel lavoro, mi ha resa migliore”.

martedì 14 luglio 2020

Nella vita prima o poi lo trovi uno sport che fa appassionare


Nella vita prima o poi lo trovi uno sport che fa appassionare, fa mettere in gioco, fa sperimentare benessere e performance. Lo sport permette di far parte di una squadra che segue obiettivi condivisi, fa condividere allenamenti e gare, trasferte e viaggi.

Non c’è un’età per iniziare o per cambiare uno sport, importante è quello che si sperimenta e a volte le sensazioni e le emozioni sono ricche e intense. Lo sport è una palestra di vita, una modalità per sperimentarsi e mettersi alla prova, un’opportunità per apprendere dall’esperienza e portare a casa sempre insegnamenti.

Lo sport nutriente per l'anima, il cuore e la mente

Psicologo, Psicoterapeuta

A volte lo sport può essere considerato una terapia naturale migliore di tanti farmaci, un addestramento alla vita, un'opportunità per incrementare consapevolezza nei propri mezzi e proprie capacità, uno strumento per sviluppare fiducia in sé.

La pratica dell'esercizio fisico aiuta a stare al mondo con una visione positiva e propositiva, permette di elaborare pensieri e problemi, prendere decisioni ragionate, aiuta a pianificare progetti e mete, a stare con gli altri confrontandosi e condividendo gioia e fatica.

lunedì 13 luglio 2020

Praticare la bici come sport o per conoscenza del territorio e di se stessi

Psicologo, Psicoterapeuta

Con la bici si può uscire da soli o in gruppo, si può praticare la bici come sport o per lunghi percorsi di conoscenza del territorio e di se stessi. Pedalare, cercando l'equilibrio in bici, aiuta a pensare e riflettere, fare piani e programmi, elaborare pensieri e situazioni, ricordare episodi e situazioni, insomma la bicicletta può essere considerata un'opportunità per esplorare se stessi in profondità oltre che i territori.

La bicicletta permette di considerare la ciclicità della vita, che comprende salite e discese, fatica e rilassamento, periodi tristi e felici. Come nell’esperienza della bici così anche nella vita ci sono situazioni difficili e dobbiamo essere cauti e fiduciosi nell’affrontarle e poi accorgersi di aver risolto, di essere arrivati e apprezzeremo noi stessi per aver superato e vinto tutto, salite e crisi.

Francesco, triathlon: Le gare più belle sono quelle in cui stabilisco un nuovo personale

Matteo Simone 
Psicologo, Psicoterapeuta

Sollecitato da un amico triatleta, ho pensato di scrivere un libro che parli non solo di campioni ma anche dell’atleta comune lavoratore che deve districarsi tra famiglia e lavoro per coltivare la sua passione sportiva cercando di trovare il tempo per allenarsi, fare sport, stare con amici atleti, partecipare a gare.

Per tale motivo ho pensato di predisporre un questionario per raccogliere il punto di vista di atleti comuni e campioni approfondendo il mondo dello sport e in particolare gli aspetti che incidono sul benessere e sulla performance.
Di seguito si racconta Francesco Coronas della “Podistica Solidarietà (Triathlon)”.

venerdì 10 luglio 2020

Stefano Romano, ultramaratoneta: La fatica non mi ha mai fatto paura

Sono solamente un buon dilettante che non riesce a smettere di sognare in grande
Matteo SIMONE  

Essere ultramaratoneti significa essere pronti a tutto, a fare tanti chilometri di corsa, a faticare tanto con il corpo e con la mente, a raggiungere obiettivi difficili e sfidanti, a progettare sfide da portare a termine.

Quando c’è un problema si sa che bisogna organizzarsi e cambiare piani e programmi provvisoriamente e riorganizzarsi. In questo periodo di confinamento tanti si sono fermati o organizzati per fare qualcosa di diverso ma sempre stimolante. E’ interessante l’esperienza di Stefano Romano, atleta della nazionale ultramaratoneti.
Come hai gestito il periodo del COVID?Inizialmente ho cercato di continuare a correre, nonostante i divieti diventassero sempre più stringenti. Ho sempre corso da solo, quindi non avevo grossi problemi, a parte gli allenamenti collettivi del mercoledì che avevo appena iniziato, dove comunque alla fine eseguivo le ripetute sempre in solitaria. Torino è grande e andavo in collina, a volte uscivo dalla città e a volte mi incrociavo con altri ultramaratoneti giusto per fare due chiacchiere mantenendo le distanze, d'altronde non ho mai corso a distanze inferiori al metro, credo con nessuno. Poi quando gli scenari sono cambiati e si poteva sgambettare cricetando ho provato a girare la questione. La sfida adesso era opposta: adesso non dovevo più correre. Ho sempre avuto necessità di spazio, strade lunghe, ampie, salite, orizzonti diversi e non dell'isolato sotto casa, del tapis-roulant o di qualche altro surrogato. Non pensavo, in tutta sincerità, di reggere botta così bene. Ne è venuta fuori una convivenza non programmata, una grande serenità interiore e la convinzione di ritornare meglio di prima. È bello anche ricostruire da capo, non so se ne avessi realmente bisogno, difficile dirlo. Ma a volte è la vita a metterti davanti a delle sfide che nemmeno immaginavi”.

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