Ai Campionati Mondiali che si sono svolti a Copenaghen (DEN) dal 27 luglio al 2 agosto 2015, per gli azzurri Michele Frangilli, Mauro Nespoli e David Pasqualucci arriva un brillante argento.
Non riescono
nell’impresa di battere la Corea del Sud nella finalissima dell’arco olimpico
maschile e alla
fine possono solo fare i complimenti agli avversari.
Da segnalare anche la qualificazione olimpica di
Frangilli e Nespoli come squadra maschile quella individuale femminile per
Guendalina Sartori.
Di seguito le dichiarazioni di
alcuni atleti. (2)
Michele Frangilli:
"Nel complesso un Mondiale ottimo: siamo venuti per la qualificazione
olimpica, era l'obiettivo principale e l'abbiamo centrato. Siamo riusciti ad
arrivare anche in finale e sono veramente contento perché la prima medaglia
d'argento al Mondiale l'avevo vinta venti anni fa: dopo tutto questo tempo
essere ancora a questi livelli e salire sul podio è davvero tanta roba. La
finale? Ho tirato anche bene, ma nelle prime frecce ho avuto un po' di problemi
nel regolare il mirino. Ringrazio i miei compagni di squadra Mauro e David per
come siamo arrivati fino a qui, hanno tirato forte e hanno tenuto duro. David è
un po' arrabbiato per come è finita la finale, lo capisco, ma era la sua prima
esperienza mondiale e gli auguro di fare una lunga carriera come la mia e come
quella che sta facendo Mauro.”
L’atleta può
considerare il non raggiungimento di un obiettivo prefissato come una sconfitta
personale. Ma nello sport si mettono in conto le sconfitte, servono a farti
fermare, riflettere, fare il punto della situazione, osservare, valutare,
capire cosa c’è stato di utile, di importante nella prestazione eseguita e su
cosa, invece, bisogna lavorare, cosa si può migliorare. Quindi, tutto sommato,
la sconfitta potrebbe servire per fare una valutazione delle proprie risorse, punti
di forza e, al contempo, delle criticità.
Importante in caso di prestazione percepita
come sconfitta è la motivazione, se un atleta è fortemente motivato nel voler
praticare il suo sport che comporta lavori, sacrifici, rinunce, affronterà le
sconfitte a testa alta, complimentandosi con se stesso per quello di buono che
è riuscito a fare finora, complimentandosi con l’avversario per la bravura
dimostrata in quell’occasione, anche perché prima o poi lo trovi uno più forte
o che comunque riesce a batterti; in questo caso un aspetto importante del vero
campione è la resilienza, il cui significato è: “mi piego ma non mi spezzo”,
che sta a significare che il vero campione esce fuori dalle sconfitte con più
voglia riscattarsi, di far meglio, di migliorare gli aspetti, le aree in cui ha
mostrato carenza; il concetto di resilienza è presente anche nelle persone che
subiscono traumi, quelli che possiedono questa caratteristica non vanno
incontro a stress acuti, o disturbi post traumatici di stress, ma ne escono più
forti, con un valore aggiunto.
Lo sportivo non è solo, è circondato
dall’allenatore che dovrebbe conoscere le sue potenzialità, i suoi punti di
forza e di debolezza, dovrebbe costruire con l’atleta un progetto di obiettivi
raggiungibili, stimolanti, da rivalutare all’occasione, dare feedback adeguati,
spiegare le sedute di allenamento, l’importanza del gesto sportivo, il
significato, raccontare aneddoti, far parte della storia sportiva dell’atleta,
condividere momenti di gioia e sofferenza, di vincite e di sconfitte, essere
disposto ad ammettere di aver fatto un errore, di aver preteso, di aver
sottovalutato, di non aver considerato.
Diversamente
accade per i campioni che hanno estremo bisogno, estrema necessità di
confermarsi campioni, quando si raggiunge una notorietà molto elevata,
eccessiva, si rischia di attrarre l’interesse non solo della vita sportiva
dell’atleta ma dell’intera vita privata, e questo se all’inizio può essere
piacevole per il piacere di essere riconosciuti, ma tutto ciò può produrre
stress, nervosismo, deconcentrazione, fino alla distrazione disfunzionale dall’attività
sportiva praticata.
L’atleta è
tentato a rilassarsi troppo, a non investire proficuamente nello sport, e
questo va a discapito dellla performance che richiede un investimento notevole.
In questi casi l’atleta campione è tentato a distrarsi perché cambia la
motivazione, conosce il piacere della notorietà senza faticare, e ciò può
portare a una reale fine carriera.
(1)
William Hart, LA MEDITAZIONE VIPASSANA come insegnata da
S.N. Goenka Un’arte di vivere, Edizioni ARTESTAMPA, 2011, Modena.
Psicologo clinico e dello sport, Psicoterapeuta
Gestalt ed EMDR
380-4337230 - 21163@tiscali.it
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