sabato 25 ottobre 2025

Girolamo Capezzera finisher alla Spartathlon 246km 2025 in 35h00’57”

 Mi piace pensare di essere uno che ‘resiste’ più che uno che ‘vince’
Dott. Matteo Simone
 

Tra il 27 e il 28 settembre 2025 si è svolta la Spartathlon (GRE), 246km corsa su strada.

Il vincitore è stato Radek Brunner (CZE) in 21h24’35” precedendo Francesco Perini 22h05’27” (miglior tempo italiano di sempre) e Yoshihiko Ishikawa, JPN 23h54’23”.
La prima donna (7^ assoluta) è stata Andrea Morocza (HUN) 25h09’06”, precedendo Despoina Simantrakou (GRE) 25h37’44” (10^ assoluta) e Natasa Robnik (SLO) 26h09’38” (13^ assoluta).
Tra i finisher anche Girolamo Capezzera (G.S. Athlos Matera) 35h00’57” e di seguito approfondiamo la sua conoscenza attraverso risposte ad alcune mie domande.
Come ti definisci atleticamente? Non mi considero un atleta nel senso classico del termine. Non sono mai stato particolarmente portato per la corsa veloce o per gli sport di squadra. Atleticamente sono una persona normale che ha trovato nella corsa lunga distanza il suo spazio. Mi piace pensare di essere uno che ‘resiste’ più che uno che ‘vince’. Non vado forte, ma vado avanti. E questo, soprattutto nelle ultramaratone, fa la differenza.

Girolamo
si definisce ‘uno che resiste più che uno che vince’ ma in realtà vince con se stesso, andando sempre avanti vero il traguardo anche se è sfidante e difficile ma non impossibile.
Cosa e chi contribuisce alle tue prestazioni? Tantissimo viene dalla testa e dalla mia voglia di provarci sempre. Poi c’è il lavoro fatto con costanza, i lunghi allenamenti che non sempre sono facili da conciliare con il resto della vita. Però non sarei qui senza chi mi sta accanto: la famiglia che sopporta i miei impegni e le mie assenze, gli amici che mi incoraggiano, i compagni di corsa che condividono con me fatiche e allenamenti. Alla fine, questo sport sembra individuale, ma in realtà c’è sempre un mondo dietro che ti aiuta a portarlo avanti.

In effetti, dietro l’atleta c’è un mondo di persona che supporta, sopporta, gioisce, esulta, aiuta, fa il tifo.
Uno sport di fatica e soddisfazione, di lunghi allenamenti, sfide, mete, obiettivi da portare a termine, viaggi verso mete da raggiungere e viaggi dentro se stessi per approfondire la conoscenza personale e quindi percorsi di crescita personale oltre che sportiva.
Cosa pensano familiari, amici e colleghi della tua attività sportiva?
C’è un po’ di tutto: chi pensa che sia una pazzia, chi non riesce nemmeno a immaginare cosa significhi correre per 200 km, e chi invece mi guarda con orgoglio. Devo dire che, anche se non sempre capiscono fino in fondo, mi hanno sempre sostenuto. Spesso mi sento dire ‘non so come fai’, e in effetti a volte non lo so nemmeno io, ma so che avere il loro supporto mi dà una spinta in più.
Quali competenze, risorse e caratteristiche possiedi nel tuo sport? Forse la mia qualità più grande è la costanza. Non salto mai gli allenamenti senza un motivo valido, e nel tempo questo mi ha dato una base solida. Ho imparato ad ascoltare il mio corpo, a capire quando spingere e quando rallentare. Mentalmente sono testardo: quando mi metto in testa una cosa, cerco di portarla a termine. Non mi considero un atleta fortissimo, ma ho imparato ad arrangiarmi e a costruirmi a poco a poco le mie risorse.
Quali sono le difficoltà e i rischi nella pratica del tuo sport? La difficoltà principale è che si tratta di una sfida continua contro la fatica e il tempo. Le ore passano, il corpo si ribella, la mente si stanca, e lì è facile lasciarsi andare. I rischi sono tanti: infortuni, dolori cronici, problemi dovuti a caldo, freddo o disidratazione. Ma c’è anche un rischio mentale, quello di perdere motivazione nei momenti bui. In questo sport bisogna sapersi rimettere in piedi tante volte.

Gare
considerate estreme da portare a termine con allenamenti mirati e tanto impegno, costanza e soprattutto forza mentale per non mollare, per continuare fino alla fine, malgrado segnali di cedimento, dolori, criticità, avversità, andando oltre osando ma senza strafare.
Per quali aspetti e fasi ritieni utile lo psicologo nel tuo sport? Credo che lo psicologo possa aiutare tanto soprattutto nella gestione dei momenti di crisi. In una gara lunga, le crisi arrivano sempre, e non basta il fisico per superarle. Ci vuole una testa allenata. Uno psicologo può darti strumenti concreti per affrontare lo sconforto, per lavorare sull’ansia pre-gara o sulla paura di fallire. Anche dopo, quando ci sono sconfitte o infortuni, può aiutare a non viverli come fallimenti ma come tappe di un percorso.

C’è tanto nella mente di un ultramaratoneta quando deve affrontare gare considerate estreme per la lunghezza chilometrica, percorsi impegnativi, clima atmosferico avverso e bisogna tenere a
bada tutto, tirare fuori le chiavi mentali per centrarsi e focalizzarsi per quell’obiettivo in quel momento, voluto da tempo e arrivati in quel luogo e in quel momento pronti per trasformare il sogno in realtà, senza stress e senza fretta ma con il giusto ritmo.
L'evento sportivo in cui hai vissuto le emozioni più belle? La Spartathlon senza dubbio. Ci sono state tante gare belle e significative, ma niente è paragonabile a quel traguardo. Toccare la statua di Leonida non è stato solo finire una corsa: è stato chiudere un cerchio. Ho provato un’emozione fortissima, quasi difficile da spiegare a parole: felicità, orgoglio, liberazione e anche commozione. Mi sono sentito parte di qualcosa di grande.

Davvero una grande impresa prima di tutto qualificarsi, poi prepararsi, poi essere alla partenza, poi essere in gara e finalmente arrivare al traguardo increduli per quello che si è riusciti a fare, un sogno iniziato da anni che pian piano si è visto trasformare in realtà, passo dopo passo, crisi dopo crisi.
La tua situazione sportiva più difficile? La Spartathlon stessa è stata una continua lotta con me stesso. Ci sono stati momenti, soprattutto di notte, in cui ero davvero al limite. Mi sono chiesto più volte se ce l’avrei fatta. Però anche in altre gare o durante alcuni infortuni ho vissuto momenti difficili. A volte la vera difficoltà non è correre, ma accettare di fermarsi e recuperare.

Esperienze molto provanti e durissime dove si tira fuori l’essenza del vero se stessi, allenandosi alle difficoltà che si superano una per volta rafforzandosi sempre di più, con coraggio e resilienza.
Come hai affrontato, gestito e superato eventuali crisi, sconfitte o infortuni? Ho imparato a non scappare dalle crisi ma a guardarle in faccia. Quando in gara sto male, riduco tutto al minimo: mi dico ‘arriva al prossimo ristoro’, oppure ‘cammina dieci minuti e poi riparti’. Non penso mai alla distanza totale, altrimenti diventa impossibile. Con gli infortuni invece ho imparato la pazienza, che non è il mio punto forte. Ho capito che fermarsi non significa arrendersi, ma investire sul futuro.

Gare davvero durissime dove bisogna sviluppare pazienza e fiducia che passi tutti, un po’ per volta, credendoci e fidandosi che le energie tornino, che i dolori passano, gestendo ogni criticità e avversità.
Cosa hai scoperto di te stesso praticando sport? Ho scoperto di avere una forza che non conoscevo. Non intendo solo fisica, ma soprattutto mentale. Ho capito che il corpo può arrivare molto più lontano di quanto la testa immagini, se sai gestirlo. E ho scoperto che la fatica, invece di distruggerti, può costruirti.

La
fatica è una delle chiavi del successo, se fatichi abbastanza in allenamento, in gara poi tutto sarà più liscio e meno difficile. Si impara a gestire ogni difficoltà rafforzandosi sempre di più grazie alla fatica che si è disposti a sopportare in allenamento e poi in gara.
Quale allenamento mentale utilizzi? Soprattutto la visualizzazione: mi immagino il traguardo, la sensazione che avrò nel finirlo, e questo mi tira avanti. Poi divido sempre la gara in piccoli pezzi, così non mi sento schiacciato dalla distanza. Uso molto anche il dialogo con me stesso: mi ripeto frasi semplici che mi danno carica, tipo ‘un passo alla volta’, ‘non mollare ora’.

Ottime strategie vedersi sempre arrivare, al traguardo, credendoci che si può fare, dialogando con se stessi, con compassione e cura di sé, promettendosi di riuscirci uscendone bene e comunque in salute, nonostante la tanta fatica.
Che effetto ti ha fatto portare a termine la Spartathlon? Un mix di emozioni che ancora oggi faccio fatica a descrivere. Per un attimo non ci credevo, poi sono arrivate lacrime e sorrisi insieme. È stata la realizzazione di un sogno che inseguivo da tanto, e allo stesso tempo una liberazione da mesi di sacrifici e allenamenti. È stato uno dei momenti più intensi della mia vita.

Gare
durissime che una volta finite svuotano l’atleta, tirano fuori le emozioni che sintetizzano il percorso fatto finora, di fatica e speranza, fiducia e resilienza.
Criticità? I momenti più difficili? Le ore di notte sono state le più dure. Il buio, la stanchezza, la solitudine… in certi momenti mi sembrava di non avere più energia. Anche gli ultimi chilometri sono stati tremendi: il corpo non rispondeva più e ogni passo era dolore. Però sono stati proprio quei momenti a rendere tutto così speciale, perché se fosse stato facile non avrebbe avuto lo stesso valore.

Gare durissime per le tantissime ore di attività fisica fino alla fine, giorno e notte, dove si è da soli con se stessi, dove assalgono dubbi e timori e bisogna trovare la forza fisica e mentale per continuare ancora un po’.
Come ti sei preparato? Con tanta costanza e senza scorciatoie. Ho fatto lunghissimi allenamenti, a volte anche quando non ne avevo voglia. Ho curato molto l’alimentazione, il recupero, il sonno. Ho fatto simulazioni in condizioni dure per abituarmi. E soprattutto ho cercato di allenare anche la testa, perché sapevo che sarebbe stata la parte più importante.

Si
può fare tutto organizzandosi, preparandosi, immaginando ciò che potrebbe accadere, e ciò che si vorrebbe fare, simulando condizioni di gara, curando ogni aspetto che può essere fondamentale tra i quali alimentazione e aspetto mentale.
Prossimi obiettivi? Sogni realizzati e da realizzare? La Spartathlon era un sogno grande che ora posso dire di aver realizzato. Non voglio fermarmi, ma non inseguo nemmeno per forza la ‘gara più dura’. Mi piacerebbe provare altre ultramaratone in posti particolari, unendo la corsa alla scoperta del mondo. Il sogno più grande è continuare a correre con passione, senza farmi schiacciare dalle aspettative.
Quali sono gli ingredienti del successo? Per me il successo non è solo il traguardo, ma il percorso per arrivarci. Gli ingredienti sono costanza, sacrificio, pazienza e soprattutto passione. Se non ami quello che fai, non reggi le ore di allenamento e la fatica. E poi un pizzico di testardaggine che ti impedisce di mollare.

La motivazione e la passione devono essere sempre alimentate per poter mobilitare le energie sufficienti per impegnarsi con costanza e determinazione.
Come sei cambiato grazie allo sport? Lo sport mi ha reso più paziente e più forte. Prima mollavo più facilmente davanti alle difficoltà, ora invece so che vale la pena resistere un po’ di più. Mi ha insegnato a sopportare, a gestire meglio lo stress e a guardare le cose con più calma. In generale mi sento più equilibrato.

Lo sport di endurance aiuta ad aver pazienza e fiducia e saper gestire ogni cosa senza sentirsi
schiacciati.
Chi ti ispira? Mi ispirano tanti atleti che hanno fatto la storia delle ultramaratone, ma anche le persone normali che corrono senza cercare visibilità, solo per passione. Mi ispirano le persone che non mollano mai, anche lontano dallo sport, chi affronta la vita con coraggio.
Cosa c'è oltre lo sport? C’è la vita di tutti i giorni: la famiglia, gli amici, il lavoro, le piccole cose che contano. Lo sport è una parte fondamentale di me, ma non è tutto. Oltre c’è il piacere di stare con chi amo, di viaggiare, di crescere come persona. La corsa è una grande maestra, ma poi bisogna portare quello che insegna anche nella vita di tutti i giorni.

Dott. Matteo Simone

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