Mi piace pensare di essere uno che ‘resiste’ più che uno che
‘vince’
Dott. Matteo Simone
Tra il 27 e il 28 settembre 2025 si è svolta la Spartathlon (GRE), 246km corsa su strada.
Il vincitore è stato Radek
Brunner (CZE) in 21h24’35” precedendo Francesco Perini 22h05’27” (miglior tempo italiano di
sempre) e Yoshihiko Ishikawa, JPN 23h54’23”.
La prima
donna (7^ assoluta) è stata Andrea Morocza (HUN) 25h09’06”, precedendo Despoina
Simantrakou (GRE) 25h37’44” (10^ assoluta) e Natasa Robnik (SLO) 26h09’38” (13^
assoluta).
Tra i finisher anche Girolamo Capezzera (G.S. Athlos
Matera) 35h00’57” e di seguito approfondiamo la sua conoscenza
attraverso risposte ad alcune mie domande.
Come ti definisci atleticamente? Non mi considero un atleta
nel senso classico del termine. Non sono mai stato particolarmente portato per
la corsa veloce o per gli sport di squadra. Atleticamente sono una persona
normale che ha trovato nella corsa lunga distanza il suo spazio. Mi piace
pensare di essere uno che ‘resiste’ più che uno che ‘vince’. Non vado forte, ma
vado avanti. E questo, soprattutto nelle ultramaratone, fa la differenza.
Girolamo si definisce ‘uno che resiste più che uno che vince’ ma in realtà vince con se stesso, andando sempre avanti vero il traguardo anche se è sfidante e difficile ma non impossibile.
Cosa e chi contribuisce alle tue
prestazioni? Tantissimo viene dalla testa e dalla mia voglia di provarci sempre. Poi c’è il
lavoro fatto con costanza, i lunghi allenamenti che non sempre sono facili
da conciliare con il resto della vita.
Però non sarei qui senza chi mi sta accanto:
la famiglia che sopporta i miei impegni e le mie assenze, gli amici che
mi incoraggiano, i compagni di corsa che condividono con me fatiche e
allenamenti. Alla fine, questo sport sembra individuale, ma in realtà c’è
sempre un mondo dietro che ti aiuta a portarlo avanti.
In effetti, dietro l’atleta
c’è un mondo di persona
che supporta, sopporta,
gioisce, esulta, aiuta, fa il tifo.
Uno
sport di fatica e soddisfazione, di lunghi allenamenti, sfide, mete, obiettivi
da portare a termine, viaggi verso mete da raggiungere e viaggi dentro se
stessi per approfondire la conoscenza personale e quindi percorsi di crescita
personale oltre che sportiva.
Cosa pensano familiari, amici e colleghi
della tua attività
sportiva? C’è un po’ di tutto:
chi pensa che sia una pazzia, chi non riesce nemmeno a immaginare cosa
significhi correre per 200 km, e chi invece mi guarda con orgoglio. Devo dire
che, anche se non sempre capiscono fino in fondo, mi hanno sempre
sostenuto. Spesso mi sento dire ‘non so come fai’,
e in effetti a volte non
lo so nemmeno io, ma so che avere il loro supporto mi dà una spinta in più.
Quali competenze, risorse
e caratteristiche possiedi
nel tuo sport? Forse la mia qualità
più grande è la costanza. Non salto mai gli allenamenti senza un motivo valido, e nel tempo questo
mi ha dato una base solida.
Ho imparato ad ascoltare il mio
corpo, a capire quando spingere
e quando rallentare. Mentalmente sono testardo: quando mi metto in testa una
cosa, cerco di portarla a termine.
Non mi considero un atleta
fortissimo, ma ho imparato ad arrangiarmi e a
costruirmi a poco a poco le mie risorse.
Quali sono le difficoltà e i rischi nella pratica del tuo sport? La
difficoltà principale è che si tratta di una sfida
continua contro la fatica e il tempo. Le ore passano,
il corpo si ribella, la mente si stanca, e lì è facile
lasciarsi andare. I rischi sono tanti: infortuni, dolori cronici, problemi
dovuti a caldo, freddo o disidratazione. Ma c’è anche un rischio mentale,
quello di perdere motivazione nei momenti bui. In questo sport bisogna sapersi
rimettere in piedi tante volte.
Gare considerate estreme da portare
a termine con allenamenti mirati
e tanto impegno,
costanza e soprattutto forza mentale per non mollare, per continuare
fino alla fine, malgrado segnali di cedimento, dolori, criticità, avversità,
andando oltre osando ma senza strafare.
Per quali aspetti
e fasi ritieni utile lo psicologo nel tuo sport? Credo che lo psicologo possa aiutare tanto soprattutto nella gestione dei momenti di
crisi. In una gara lunga, le crisi arrivano
sempre, e non basta il fisico per superarle. Ci vuole una testa allenata. Uno psicologo può
darti strumenti concreti per affrontare lo sconforto, per lavorare sull’ansia
pre-gara o sulla paura di fallire. Anche dopo, quando ci sono sconfitte o
infortuni, può aiutare a non viverli come fallimenti ma come tappe di un
percorso.
C’è tanto nella
mente di un ultramaratoneta quando deve affrontare gare considerate estreme per
la lunghezza chilometrica, percorsi impegnativi, clima atmosferico avverso e
bisogna tenere a bada tutto, tirare fuori le chiavi mentali per centrarsi e focalizzarsi per quell’obiettivo
in quel momento, voluto da tempo e arrivati in quel luogo e in quel momento
pronti per trasformare il sogno in realtà, senza stress e senza fretta ma con
il giusto ritmo.
L'evento sportivo in cui hai vissuto
le emozioni più belle?
La Spartathlon senza dubbio.
Ci sono state tante gare belle
e significative, ma niente è paragonabile a quel traguardo. Toccare la statua di Leonida non è stato solo finire una corsa: è stato chiudere un cerchio. Ho provato
un’emozione fortissima, quasi difficile da spiegare a parole: felicità,
orgoglio, liberazione e anche commozione. Mi sono sentito parte di qualcosa di
grande.
Davvero una grande impresa
prima di tutto qualificarsi, poi prepararsi, poi essere alla partenza,
poi essere in gara e finalmente arrivare
al traguardo increduli
per quello che si è riusciti a fare,
un sogno iniziato da anni che pian piano si è visto trasformare in realtà, passo
dopo passo, crisi dopo crisi.
La tua situazione sportiva più difficile?
La Spartathlon stessa
è stata una continua lotta con
me stesso. Ci sono stati momenti, soprattutto di notte, in cui ero davvero al
limite. Mi sono chiesto più volte se ce l’avrei fatta. Però anche in altre gare
o durante alcuni infortuni ho vissuto momenti difficili. A volte la vera
difficoltà non è correre, ma accettare di fermarsi e recuperare.
Esperienze molto provanti e durissime dove si tira fuori l’essenza del vero se stessi, allenandosi alle difficoltà che si
superano una per volta rafforzandosi sempre di più, con coraggio e resilienza.
Come hai affrontato, gestito e superato
eventuali crisi, sconfitte o infortuni? Ho imparato a non scappare dalle crisi ma a
guardarle in faccia. Quando in gara sto
male, riduco tutto al minimo: mi dico ‘arriva al prossimo ristoro’,
oppure ‘cammina dieci minuti e poi riparti’.
Non penso mai alla distanza totale, altrimenti diventa impossibile. Con
gli infortuni invece ho imparato la pazienza, che non è il mio punto forte. Ho
capito che fermarsi non significa arrendersi, ma investire sul futuro.
Gare davvero
durissime dove bisogna sviluppare pazienza e fiducia che passi tutti, un po’
per volta, credendoci e fidandosi che le energie
tornino, che i dolori passano,
gestendo ogni criticità e avversità.
Cosa hai scoperto di te stesso praticando sport? Ho scoperto
di avere una forza che non conoscevo. Non intendo solo fisica, ma soprattutto
mentale. Ho capito che il corpo può arrivare molto più lontano di quanto la
testa immagini, se sai gestirlo. E ho scoperto che la fatica, invece di
distruggerti, può costruirti.
La fatica
è una delle chiavi del successo, se fatichi abbastanza in allenamento, in gara poi tutto
sarà più liscio e meno difficile. Si impara a gestire ogni difficoltà
rafforzandosi sempre di più grazie alla fatica che si è disposti a sopportare
in allenamento e poi in gara.
Quale allenamento mentale utilizzi? Soprattutto la
visualizzazione: mi immagino il traguardo, la sensazione che avrò nel finirlo, e questo mi tira avanti.
Poi divido sempre
la gara in piccoli pezzi,
così non mi sento schiacciato dalla distanza. Uso molto anche il dialogo con me stesso:
mi ripeto frasi semplici che mi danno carica, tipo ‘un passo
alla volta’, ‘non mollare
ora’.
Ottime strategie
vedersi sempre arrivare, al traguardo, credendoci che si può fare, dialogando
con se stessi, con compassione e cura di sé, promettendosi di riuscirci
uscendone bene e comunque in salute, nonostante la tanta fatica.
Che effetto ti ha fatto portare a termine la Spartathlon? Un
mix di emozioni che ancora oggi faccio fatica
a descrivere. Per un attimo
non ci credevo, poi sono arrivate lacrime
e sorrisi insieme. È stata la
realizzazione di un sogno che inseguivo da tanto, e allo stesso tempo una
liberazione da mesi di sacrifici e allenamenti. È stato uno dei momenti più
intensi della mia vita.
Gare durissime che una volta finite svuotano
l’atleta, tirano fuori le emozioni
che sintetizzano il percorso fatto finora,
di fatica e speranza, fiducia
e resilienza.
Criticità? I momenti
più difficili? Le ore di notte
sono state le più dure. Il buio, la stanchezza, la solitudine… in certi
momenti mi sembrava di non avere più energia. Anche gli ultimi chilometri sono stati tremendi:
il corpo non rispondeva più e ogni passo era dolore. Però sono
stati proprio quei momenti a rendere tutto così speciale, perché se fosse stato
facile non avrebbe avuto lo stesso valore.
Gare durissime
per le tantissime ore di
attività fisica fino alla fine, giorno e
notte, dove si è da
soli con se stessi, dove assalgono dubbi e timori e bisogna
trovare la forza fisica e mentale per continuare ancora un po’.
Come ti sei preparato? Con tanta costanza e senza
scorciatoie. Ho fatto lunghissimi allenamenti, a volte anche quando non ne
avevo voglia. Ho curato molto l’alimentazione, il recupero, il sonno. Ho fatto
simulazioni in condizioni dure per abituarmi. E soprattutto ho cercato di allenare
anche la testa, perché sapevo che sarebbe stata la parte più importante.
Si può fare tutto organizzandosi, preparandosi, immaginando ciò che potrebbe accadere,
e ciò che si vorrebbe fare,
simulando condizioni di gara, curando ogni aspetto che può essere fondamentale
tra i quali alimentazione e aspetto mentale.
Prossimi obiettivi? Sogni realizzati e da realizzare? La
Spartathlon era un sogno grande che ora posso
dire di aver realizzato. Non voglio fermarmi,
ma non inseguo nemmeno per forza
la ‘gara più dura’. Mi piacerebbe provare altre ultramaratone in posti
particolari, unendo la corsa alla scoperta del mondo. Il sogno più grande è continuare a correre con passione, senza farmi schiacciare dalle aspettative.
Quali sono gli ingredienti del successo? Per me il successo
non è solo il traguardo, ma il percorso per arrivarci. Gli ingredienti sono
costanza, sacrificio, pazienza e soprattutto passione. Se non ami quello che fai, non reggi le ore di allenamento e la fatica.
E poi un pizzico di
testardaggine che ti impedisce di mollare.
La motivazione e
la passione devono essere sempre alimentate per poter mobilitare le energie
sufficienti per impegnarsi con costanza e determinazione.
Come sei cambiato grazie allo sport? Lo sport mi ha reso più
paziente e più forte. Prima mollavo più facilmente davanti alle difficoltà, ora
invece so che vale la pena resistere un po’ di più. Mi ha insegnato a
sopportare, a gestire meglio lo stress e a guardare le cose con più calma. In generale
mi sento più equilibrato.
Lo sport di
endurance aiuta ad aver pazienza e fiducia e saper gestire ogni cosa senza
sentirsi schiacciati.
Chi ti ispira? Mi ispirano
tanti atleti che hanno fatto la storia delle ultramaratone, ma anche
le persone normali che corrono senza cercare visibilità, solo per passione. Mi
ispirano le persone che non mollano mai, anche lontano dallo sport, chi
affronta la vita con coraggio.
Cosa c'è oltre lo
sport? C’è la vita di
tutti i giorni: la famiglia, gli amici,
il lavoro, le piccole cose che contano. Lo sport è una parte fondamentale di me, ma non è tutto. Oltre c’è il piacere
di stare con chi amo, di
viaggiare, di crescere come persona. La corsa è una grande maestra, ma poi bisogna portare
quello che insegna anche nella vita di tutti i giorni.
Dott. Matteo Simone
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