sabato 5 luglio 2025

Francis Cutaia: L'ultra non è una prova contro il corpo, è un dialogo con lui

 I sogni non muoiono mai  
Dott. Matteo Simone 
 

La pratica dell’ultramaratona permette di stabilire obiettivi molto sfidanti da preparare per poterli portare a compimento. 

Di seguito approfondiamo la conoscenza di Francis attraverso risposte ad alcune mie domande. 
Quando e come hai iniziato a correre le ultramaratone? Non ho iniziato con le lunghe distanze. Come molti, ho prima corso per divertimento, per schiarirmi le idee. Qualche chilometro qua e là, soprattutto per mantenersi in forma. Poi un giorno, un amico mi ha parlato di un trail di 25 km. Mi sembrava pazzesco. E proprio questo è ciò che mi ha attratto. Di filo in ago, ho voluto vedere fino a che punto potevo arrivare. La prima maratona è stata una rivelazione: non solo una prova fisica, ma un viaggio interiore.
L'ultramaratona è arrivata poi, quasi naturalmente, come una continuazione logica per qualcuno che non cerca di battere gli altri, ma di scoprire se stesso. Ho imparato ad ascoltare il mio corpo, a rispettare la stanchezza, a correre quando è buio, quando fa caldo, quando tutto in me mi urla di smettere. E paradossalmente, è in questi momenti che mi sento più vivo. Non è una corsa contro il tempo. È una traversata. Di paesaggi, di limiti, di sé. 

Bellissima
questa testimonianza di Francis che racconta come le ultramaratone sono una scoperta per se stessi, si fanno cose ritenute incomprensibili e bizzarre ma hanno un senso per chi le fa, la scoperta di se stessi, esperienze molto intense che mettono alla prova ma fanno scoprire ricchezze e risorse dentro di noi considerati tesori personali.
 
Cosa dicono familiari e amici della tua attività sportiva? Preoccupazione, è vero. Anche l'incomprensione. Perché l'ultra non è qualcosa che si spiega facilmente davanti a un caffè. Ma con il tempo, hanno visto che non era un hobby. Che tornavo da ogni gara un po' più stanco, sì... ma anche più sereno. Più vivo. Quindi, le domande sono cambiate. Ora, chiedono: Dove corri la prossima volta?’ Alcuni rimangono ammirati, altri perplessi. Ma tutti, a modo loro, rispettano questa passione che mi anima. E per me, è già una bella vittoria.  

Trattasi di uno stile di vita che trasforma le persone, permette di sentirsi più consapevoli, vivi, capaci, autoefficaci, resilienti anche se le sfide sembrano difficili e ritenute estreme. 
Quali competenze, risorse e caratteristiche possiedi come atleta? Prima di tutto, la tenacia. Non è il talento che mi fa andare avanti, è la costanza. Saper alzarmi quando piove, correre quando il corpo protesta, e continuare quando non risponde più niente. Possiedo anche una grande capacità di adattamento. L'ultramaratona è l'imprevisto: tempo capriccioso, terreno instabile, corpo imprevedibile. Bisogna saper ascoltare, aggiustare, improvvisare senza farsi prendere dal panico.
Sul piano mentale, mi baso sulla disciplina: quella che mi spinge ad allenarmi anche senza motivazione. E sulla resilienza, questa forza silenziosa che mi solleva dopo il fallimento.
Credo anche di avere una buona gestione dello sforzo nel tempo. Sapere quando rallentare, quando rilanciare, quando mangiare, quando pensare a qualcos'altro. L'ultra è tanto una questione di corpo quanto di strategia. Infine, sono portato dalla passione, questa risorsa inesauribile che dà senso a ogni passo, anche quando il traguardo sembra ad anni luce di distanza.
 

Bellissima questa descrizione poetica di Francis, c’è tanta roba dietro l’ultramaratona e sono tanti gli aspetti che sviluppano gli ultramaratoneti. Molto bella e significativa la definizione di Francis della resilienza: ‘E sulla resilienza, questa forza silenziosa che mi solleva dopo il fallimento’. Si tratta davvero di rialzarsi silenziosamente, cautamente, gradualmente dopo un fallimento. L’ultramaratoneta diventa il manager di se stesso, sa cosa e come fare, come gestire energie residue, come integrare, quando accelerare e quando rallentare o riposare.  
Pensi che uno psicologo sia utile nel tuo sport? In quali aspetti e fasi?
Sì, forse. Nell'ultramaratona, la mente è determinante - a volte più - della condizione fisica.  Uno psicologo dello sport può aiutare a diversi livelli, in diverse fasi del percorso di un atleta.  
🔹 Prima della gara: Aiuta a porre obiettivi chiari, realistici e a gestire i dubbi che precedono la partenza. Può anche accompagnare nella gestione della pressione o nella paura del fallimento.  
🔹 Durante la preparazione: Il carico mentale di un allenamento lungo, impegnativo e a volte solitario è pesante. Lavorare sulla motivazione intrinseca, sulla visualizzazione positiva o sulle tecniche di concentrazione può fare una grande differenza.   
🔹 Durante la gara (a monte o in proiezione): Si attraversano tempeste interiori: il dolore, la voglia di arrendersi, i pensieri parassiti. Un lavoro psicologico a monte può imparare a identificare questi momenti critici e a rispondervi con routine mentali efficaci.   
🔹 Dopo la gara: A volte c'è un vuoto post-gara', una sorta di discesa emotiva. Uno psicologo può aiutare a digerire l'esperienza, che si concluda con un successo o con un abbandono. 
La resistenza estrema non è solo una questione di gambe: è anche una prova di lucidità, di gestione emotiva e di conoscenza di sé. In quanto tale, il sostegno psicologico è una risorsa preziosa - e troppo spesso trascurata.
  

Nell’ultramaratona decide quasi tutto la mente che dialoga con il corpo ed è importante allenare non solo il corpo ma tantissimo la mente a prepararsi a ogni situazione e condizione per saperla gestire e non facendosi trovare impreparata. E quindi tanto lavoro sull’autoconsapevolezza, sula respirazione, sui pensieri positivi, sulle visualizzazioni di scenari futuri da immaginare, attraversare, gestire. 
L'evento sportivo in cui hai vissuto le emozioni più gratificanti? Senza esitazione, era Marathon des Sables e il deserto di Namibia. Quel giorno, non era solo una gara. Era un'immersione totale in qualcosa di più grande di me: il silenzio crudo della natura, la prova del corpo e la solitudine piena di significato. Ricordo un momento- Con temperature fino a 60 gradi al massimo. Ero al limite, e allo stesso tempo, più vivo che mai. È paradossale, ma in questa estrema stanchezza, ho trovato una forma di chiarezza.
Una sorta di spogliamento interiore, come se tutto ciò che non era essenziale fosse evaporato.
Non c'era né tempo, né gloria, solo io, di fronte a me stesso. E questa emozione, cruda, sincera, rara… è ciò che mi fa tornare, gara dopo gara.
 

Tra il 3 e il 9 ottobre 2021 Francis ha portato a termine la “Marathon des Sables Maroc”, 234km/6tappe in 2 giorni 7h5422”. 
Trattasi di una gara davvero difficile nel deserto ma considerata un viaggio interiore, gestendo ogni momento, ogni situazione. 
La tua situazione sportiva più difficile? Come hai superato crisi, sconfitte e infortuni? Imparando a non fuggire da loro. Le crisi fanno parte del viaggio. Ci sono stati momenti in cui ho dubitato, in cui ho avuto voglia di fermare tutto. Abbandoni in gara, dolori che duravano settimane, domande senza risposta. Ma ho capito che non erano fallimenti, solo tappe. Cosa mi ha aiutato? L'accettazione prima di tutto - non negare la caduta, ma guardarla in faccia. Poi la pazienza, perché guarire richiede tempo, e a volte bisogna saper rallentare per ripartire più forte. Ho anche imparato molto ad ascoltare il mio corpo. Una ferita non è una punizione, è un messaggio.
Mi ci è voluto del tempo per capirlo, ma oggi mi alleno con più intelligenza di prima.
E infine, ho sempre mantenuto una rotta: la passione. Non scompare nel fallimento - al contrario, si rivela. Mi ha permesso di ripartire dopo ogni duro colpo, un po' più umile… ma sempre in piedi.
 
Comprendendo che questi momenti fanno parte del percorso. Ogni ferita, ogni abbandono, ogni passaggio a vuoto mi ha insegnato qualcosa che il successo non mi avrebbe mai offerto: la pazienza, l'ascolto, l'umiltà. Quando il corpo si lascia andare, ci vuole tempo, a volte silenzio, spesso dubbio. Ma ho imparato a non affrettarmi, a ricostruire lentamente, con rispetto per me stesso. Le sconfitte, le ho guardate in faccia. Mi sono permesso di cadere… ma mai di rinunciare. E nelle crisi, ho sempre trovato un punto di ancoraggio: una ragione per continuare, anche minuscola. Un ricordo, un'immagine, una promessa fatta a me stesso. È qui che si diventa veramente atleti: non quando si supera il traguardo, ma quando si decide di rialzarsi. 

È importante accogliere qualsiasi cosa, qualsiasi esperienza anche la più negativa e cercare di trarne vantaggi apprendendo da ogni esperienza e senza fretta capire cosa è veramente successo, come si può rimediare, come si potrebbe fare meglio la volta successiva. 
Cosa hai scoperto di te praticando sport?
Ho scoperto di essere molto più forte di quanto pensassi... ma non in senso fisico. Ho scoperto una forza interiore - quella che si manifesta quando niente va più, quando il corpo grida stop, ma che la mente sussurra: ancora un passo. Ho anche scoperto i miei limiti... e ho imparato a rispettarli. Lo sport mi ha mostrato che il coraggio non è sempre avanzare a tutti i costi, ma a volte sapersi fermare. Di ascoltare. Di aspettare. Di ripartire diversamente. Ho scoperto che mi piacevano le sfide, non per battere gli altri, ma per conoscermi meglio. Lo sport mi è servito da specchio: riflette chi sono quando soffro, quando dubito, quando persevero. E soprattutto, ho capito che quello che cerco correndo non è la performance. È la verità di un momento. Un modo di esistere pienamente, lì, ora. 

La pratica dell’ultramaratona mette davanti a limiti fisici e mentali che non per
forza bisogna attraversare ma solo tenerne conto e capire cosa si può fare, cosa si vuole fare, cosa si deve fare in pace con se stessi, senza giudizio, senza stress, senza tensione ma con il piacere di portare avanti progetti e sfide, osando ma senza strafare.
 
Sogni realizzati, da realizzare, irrealizzati? Ho realizzato diversi sogni che non avrei nemmeno osato formulare ad alta voce qualche anno fa. Correre un'ultramaratona in condizioni estreme, superare i miei limiti fisici e mentali, sentire quell'orgoglio silenzioso tagliando il traguardo - o semplicemente non rinunciando. Questi momenti sono incisi. Non sono trofei, ma punti di riferimento interiori. Ma ho ancora dei sogni da realizzare. Correre in luoghi che mi parlano - il deserto di Atacama, o un ultra in totale autonomia. E anche, forse, trasmettere: accompagnare gli altri, condividere ciò che ho imparato, aprire strade per coloro che iniziano. ‘I Sogni non Muoiono Mai’, questo è il mio detto. 

Vivere significa avere progetti, stimoli, sfide da portare avanti da soli o in compagnia e anche trasmettere ad altri passione, coraggio, insegnamenti, esperienze.
  
Qualche consiglio per chi vuole cimentarsi nelle ultramaratone? Con il rispetto. Non solo sport, ma voi stessi. L'ultra non è una prova contro il corpo, è un dialogo con lui. Andate a tappe. Non si passa da 10 km a 100 km in tre mesi. Ascolta i tuoi progressi, non il tuo ego. Lavora la mente tanto quanto le gambe. È nella testa che si finisce un ultra. Visualizzate, respirate, preparatevi a incontrare momenti di solitudine, e anche di abbattimento. È normale. E passa. Non abbiate paura di camminare. In ultra, camminare fa parte della corsa. Non è imbrogliare, è durare. Circondatevi. Di un allenatore, di corridori esperti, di parenti che capiscono perché andate a correre alle 5 una domenica mattina. E soprattutto... fatelo per le giuste ragioni. Non per i 'like' o le medaglie. Per voi. Perché senti che lì, in questa lunga strada silenziosa, c'è qualcosa da scoprire. 

Importante considerare sempre le motivazioni interne, il piacere di farlo e seguire percorsi graduali affidandosi e confrontandosi con amici, familiari, esperti, professionisti. 
Chi ti ispira?
Le grandi figure dell'ultra, ovviamente. Ma in fondo, sono soprattutto gli anonimi che mi ispirano: 
• Colui o colei che finisce ultimo, ma non si arrende.  
• Il corridore o la corridore di 60 anni che incatena i chilometri senza rumore, solo con il sorriso.  
• Quelli che corrono per guarire qualcosa che non si vede.  
Sono loro, i veri eroi dell'ultra. E a volte, mi sorprendo a voler assomigliare a loro. 
Cosa c’è oltre lo sport? Al di là dello sport, c'è tutta una ricchezza umana e filosofica. Lo sport è spesso molto più di una semplice attività fisica o di una competizione. È un modo per esplorare valori come la perseveranza, la disciplina, la resilienza, la solidarietà, la ricerca di sé. Oltre allo sport, c'è anche la dimensione sociale e culturale: legami umani che si intessono, scambi, comunità.
Lo sport può essere un vettore di pace, di inclusione, di superamento delle barriere.
Infine, al di là dello sport, c'è la vita stessa - con le sue emozioni, i suoi apprendimenti, le sue battaglie e le sue gioie. A volte, lo sport diventa una metafora per affrontare le sfide quotidiane, per connettersi a qualcosa di più grande di sé.
 

Lo sport è anche solidarietà, condivisione, inclusione, viaggi interiori unici e intense. Fatica da non evitare per fortificarsi.  
Cosa e chi ti aiuta a migliorare il tuo benessere e le tue prestazioni? Ciò che mi aiuta a migliorare il mio benessere e le mie prestazioni è un mix di diverse cose:  
1. L'ascolto del mio corpo - sapere quando spingere, quando rallentare, quando riposare. È essenziale per evitare lesioni e rimanere sostenibili.   
2.
La regolarità e la disciplina - avere una routine, anche semplice, permette di progredire a poco a poco. 
 
3. L'alimentazione e il sonno - nutrire bene il proprio corpo e recuperare bene, è la base per essere al top.  
4. La mente - coltivare un atteggiamento positivo, gestire lo stress, rimanere motivati anche quando è difficile.  
5. L'ambiente e il sostegno sociale - circondarsi di persone che incoraggiano, condividono gli stessi valori, fa la differenza.  
6. La curiosità e l'apprendimento continuo - rimanere aperti a testare nuovi metodi, tecniche o idee per migliorare. 

Dott. Matteo Simone 
380-4337230 - 21163@tiscali.it  
Psicologo, Psicoterapeuta Gestalt ed EMDR 

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