Ritengo che la possibilità di
andare ai Mondiali della 24 ore sia concreta e realizzabile
Matteo SIMONE
La 22^ edizione della Nove Colli Running di 202,4km è stata vinta da Paolo Bravi in 19h42'09" che ha preceduto Matteo Grassi 20h40'19", Luca Verducci 21h16'16", Stefano Romano 21h52’07”.
Tra le donne vince Maria Ilaria Fossati in
24h13'52" che precede l’italo-polacca Emilia Aleksandra Kotkowiak
26h57'35" e l’italo-albanese Mirela Hilaj 27h 51' 54".
Di seguito approfondiamo la conoscenza di Stefano Romano attraverso risposte ad alcune mie domande.
Di seguito approfondiamo la conoscenza di Stefano Romano attraverso risposte ad alcune mie domande.
Ti sei sentito campione nello sport almeno un giorno della tua vita? “Sinceramente no. Anche dopo aver vinto gare importanti con molti iscritti non ho mai avuto la sensazione di essere un campione, per quanto molte persone intorno a me iniziassero ad usare questo appellativo nei miei confronti. È possibile che questa percezione non mi apparterrà mai completamente, anzi lo ritengo probabile. Nell'ultramaratona la sfida è sempre con se stessi e il risultato è relativo, con il tempo ho compreso che il percorso è molto più importante della prestazione e che il vero miglioramento è pensare di non aver fatto ancora nulla ed avere ancora molto da dimostrare e da dare. Per questo motivo non solo non mi ritengo un campione, ma fisso il livello per potermi considerare tale ad un punto molto elevato.”
Ogni
vissuto è soggettivo con proprie sensazioni, emozioni, percezioni. Ognuno porta
avanti progetti, sfide, sogni. E’ importante il percorso che si intende fare
mettendosi in gioco e impegnandosi per raggiungere mete e obiettivi.
Qual è stato il tuo percorso per diventare atleta?
“Come molti altri ultramaratoneti, sono
sportivo per caso. Non ho mai praticato nessuno sport fino a 22 anni, quando
iniziai a nuotare in piscina. La corsa arrivò solo 3 anni dopo, ma sempre solo
a livello amatoriale, senza fare più di una gara all'anno. Solo dal 2012, anno
in cui terminai la mia prima maratona, scattò qualcosa dentro di me. Iniziai
seriamente con il triathlon con l'obiettivo di terminare un Ironman, ma con il
tempo mi specializzai nell'ultramaratona quando, in seguito a un problema
fisico alla fine del 2015, volli provare la Sei ore di Torino a marzo del 2016.
Pensai che se dovevo correre piano tanto valeva farlo a lungo. Rimasi folgorato
dall'esperienza e dall'enorme soddisfazione che provai nel percorrere 66 km,
all'altalena di emozioni che mi attraversò, all'orgoglio per essere arrivato
per la prima volta fra i primi 10 assoluti. L'anno dopo vinsi con oltre dieci
km in più e da quel momento mi dedicai ancora più intensamente all'allenamento.
In seguito ad alcuni problemi personali fra la fine del 2017 e l'inizio del
2018 la mia crescita atletica si interruppe, ma da un anno a questa parte mi
sto dedicando anima e corpo all'ultramaratona. Prima facevo due o tre gare
all'anno con tre o quattro allenamenti settimanali, mentre oggi se posso mi alleno
tutti i giorni ed effettuo una decina di gare all'anno.”
Nello sport chi ha contribuito
al tuo benessere o alla tua performance? “Credo che il fatto di sentirsi amati, apprezzati e compresi nelle
proprie passioni sia importante in ogni aspetto della vita. Quindi, anche nello
sport e a maggior ragione in una specialità dove ci si mette a nudo e in
discussione fino in fondo. La sensazione di avere incontrato nel mio cammino
alcune persone che hanno coltivato e incoraggiato la mia anima, oltre a
prendersi cura del mio corpo, ha contribuito in modo decisivo ad aumentare le
mie prestazioni, soprattutto a partire dall’estate scorsa.”
Concordo,
lo sport di endurance non è solo massacrarsi di allenamenti e di fatica ma
anche ristabilirsi a dovere con le opportune cure e attenzioni.
Qual è stata la gara dove hai sperimentato
le emozioni più belle? “La gara più
bella è sempre l'ultima, e devo dire che l'esperienza della Novecolli è stata
davvero incredibile. I paesaggi magnifici, la pioggia costante, gli odori
notturni rischiarati dalla luna piena. E poi quando tutto sembra andare alla
grande, sbaglio strada e percorro oltre 4 km in più. Accetto, torno indietro e
vado avanti. Se c'era una possibilità su mille che abbandonassi, ritornando
sulla strada giusta, quella possibilità non esiste più. Gli ultimi km sono
durissimi, arranco su uno stradone al mattino, ma alla fine trovo sempre le
risorse per scattare, al punto che al traguardo appaio fresco e agile. Questa
mia caratteristica, lo sprint finale, la trovo molto interessante. Abbiamo
energie inesauribili, alla fine è sempre la testa che muove le gambe, a
ribadire il primato dell'elettricità sulla meccanica.”
Gli
ultramaratoneti non parlano solo di esperienze di fatica e sofferenza ma anche
di percezioni e odori, a volte l’ultramaratona è come una poesia.
Quale è stata la gara più difficile? “Sicuramente il Campionato italiano della 24
ore del 2018 a Cesano Boscone. Arrivavo molto carico per vincere, ma mi trovai
davanti a un vero osso duro come Tiziano Marchesi, che dopo quasi 17 ore mi era
avanti di oltre un giro, circa 1 km e mezzo. Io ero senza assistenza,
completamente sfatto e con la certezza di non poterlo mai superare. Aveva
un'espressione così sicura di sé, un passo leggero e nel rettilineo accelerava
sempre. Mollai di colpo e tornai a Torino. Ripensando a quel gesto, mi rendo
conto di quanto fosse sbagliato quell'approccio. Correre senza divertirsi,
ascoltare le proprie sensazioni e dare importanza alle proprie emozioni non
porta da nessuna parte. Diventai veramente il criceto intrappolato in un
meccanismo che non comprendevo.”
A
qualcuno succede di puntare in alto e di essere troppo sicuro e poi annullare
tutto ciò che ruota intorno al mondo degli utrarunner, questo fa star male, si
annullano relazioni ed emozioni.
Il 20 ottobre 2018 Stefano corse la "Sri Chinmoy Trofeo 24 ore di Cesano Boscone", totalizzando 173,254 km. Il vincitore fu Tiziano Marchesi 244,248 km, precedendo Nicolangelo D'Avanzo 225,854, completò il podio maschile Enrico Bartolini 213, 081 km (quarto assoluto). Tra le donne vinse la polacca Milena Agnieszka Grabska-Grzegorczyk (terza assoluta) 216,282 km, precedendo Elena Fabiani 189,533 km e alessia La Serra 185,136 km.
Qual è
una tua esperienza che ti possa dare la convinzione che ce la puoi fare? “Da circa un anno mi sono separato.
Affrontare questa esperienza ha rappresentato una sfida enorme, la più dura
della mia vita. Le difficoltà economiche, la solitudine, la sensazione di aver
fallito come padre e come uomo. Oggi sono molto più forte di prima, sono felice
e ho una vita piena che mi riserva ogni giorno sorprese. Ho una grande fiducia
nel futuro e, di conseguenza, grandi aspettative sportive. Ne sono dovuto
uscire da solo, a volte letteralmente strisciando in uno spazio angusto, con la
sensazione di soffocare da un momento all'altro. In gara, questa consapevolezza
mi fa affrontare qualsiasi crisi come un momento di passaggio, una fase che
prima o poi terminerà, dietro alla quale posso ancora trovare la forza di
reagire.”
Nella
vita quotidiana si affrontano situazioni spiacevoli e difficili così come nella
vita sportiva, è bene sempre fare il punto della situazione e riorganizzarsi
per andare avanti e scoprire nuovi stimoli che mettano in moto passioni ed
energie nuove.
Un episodio curioso o
divertente della tua attività sportiva? “Ad Asolo nel 2018 feci la mia prima gara fuori dalla provincia di
Torino, per me era tutto nuovo e non sapevo che obiettivo darmi. Partii
indeciso se essere il primo del secondo gruppo o l'ultimo del gruppo di testa,
ma quando cominciarono le prime salite mi resi conto di andare molto più veloce
degli altri. Rapidamente mi collocai in terza posizione e sfruttai una piega
del regolamento per terminare la gara dopo 50 km invece che farne 100 come
previsto, sapendo che i primi due avrebbero tirato dritto. Vinsi, perché era
troppo allettante. In cima al Monte Grappa arrivai davanti a gente forte come
Marco Lombardi. Faceva freddissimo, il vento era gelido e diluviava. Io ridevo
e bevevo birra senza un cambio. Rimanendo a torso nudo per qualche istante,
osservavo chi arrivava con un principio di ipotermia. Mentre ci riportavano
indietro ad Asolo mi resi conto di quello che avevo fatto, ma naturalmente
nell'ambiente rimarrò sempre il furbetto che si è fermato a metà per vincere. Almeno
fino a quando non vincerò la 100 km su strada considerata fra le più dure di
Europa, cosa che mi sono ripromesso di fare il prima possibile.”
A volte
fa comodo vincere facile per consolidare la fiducia in sé e per prepararsi per
impegni più importanti e stimolanti.
Il 14 luglio 2018 Stefano ha vinto la 6^ edizione di "Asolo 50 km" in 4h51'31", precedendo Marco Lombardi 4h55'38" e Giacomino Barbacetto 5h11'01". Tra le donne vinse Daniela De Stefano 5h42'53", precedendo Elena Di Vittorio 5h49'52" e Sara Lavarini 5h52'59".
L'anno successivo, il 20 luglio 2019, Stefano ha cercato di vincere la 9^ edizione di "Asolo 100 km" ma è arrivato secondo in 9h21'34", preceduto da Enrico Maggiola 8h28'18", completò il podio maschile Remo Morelli (quarto assoluto) 10h23'41". Tra le donne vinse Eleonora Rachele Corradini (terza assoluta) 10h18'28", precedendo Serena Natolini 10h42'01" e Valeria Empoli 10h44'13".
Quali
sensazioni sperimenti facendo sport (pre-gara, in gara, post-gara)? “Parlando di gare, prima c'è sempre un po' di
agitazione, ma quando si comincia tutto fluisce e va accettato. Alla fine si
raccoglie esattamente quello che abbiamo seminato. Come recita una bella frase,
le medaglie si vincono in allenamento e si ritirano in gara. A volte quando
tutto finisce, oltre alla soddisfazione e al rimpianto se qualcosa è andato
storto, compare anche una punta di malinconia, perché quanto si è fatto è
frutto di un'esperienza unica, di allenamenti spartani, sveglie all'alba se non
nel cuore della notte. E da questo, trovo sempre la motivazione per cercare di
alzare ulteriormente l'asticella.”
E’ un
circolo, una giostra, ci si allena, ci si prepara, si stabiliscono mete, si
arriva in partenza, c’è un po’ di ansia o tensione ma anche piacere di essere
presenti incontrando amici e poi si parte vivendo una ricca esperienza durante
la gara portando a casa sempre ricchi insegnamenti.
Quali sono le difficoltà e i rischi? A cosa devi fare attenzione nel
tuo sport? “Credo che il rischio
maggiore di un'esperienza così intensa non sia tanto nel massacrarsi il fisico,
ma vada ricercato nell'identità. Io prima di essere un’ultramaratoneta sono un
padre, ho la fortuna di avere una vita professionale molto ricca e
soddisfacente, amo la bella vita, il cibo, la birra, la musica e ogni forma
artistica. Quando si diventa schiavi delle proprie prestazioni, ricercando
l'approvazione altrui a tutti i costi, si cade nell'errore di vedere la propria
vita secondo un'unica prospettiva. Lì si annidano i pericoli maggiori: il
doping, la dipendenza dai social, ma anche il ricorso ad espedienti come salire
nella macchina del proprio accompagnatore per qualche km sapendo di non essere
visto. Mi chiedo perché e non so darmi una risposta. Non girano soldi
nell'ultramaratona e il movimento, per quanto in crescita, è ancora a un
livello poco più che amatoriale. Alcune gare, come la Nove Colli o la UMS, sono
quasi clandestine, nel senso che nei percorsi sono ben poche le persone a
sapere cosa stai realmente facendo. Il rischio maggiore è pensare di essere
davanti a un pubblico e diventare schiavi della propria recita. Ma quando cade
la maschera, non ci si riconosce più nello specchio.”
Foto di Sandro Marconi “Scrotofoto” |
Quali condizioni ti hanno indotto a fare una prestazione non ottimale?
“Oltre alle difficoltà logistiche legate
agli spostamenti e all'organizzazione di vita, un fattore determinante è la
qualità del sonno. La mia ultima maratona in questo senso è stata in questo
un’esperienza illuminante. Dormivo malissimo da giorni e la notte prima della
gara fu, tanto per cambiare, in bianco. L'obiettivo di scendere sotto le 2 ore
e 50 minuti lo smarrii al trentaduesimo km, quando ero ancora in media per
raggiungerlo. Una crisi nera, mi sentii fisicamente vuoto, all'improvviso
stanchissimo. Fui superato da decine di concorrenti ma non ebbi la forza di
stare dietro a nessuno. Finii in 3 ore e 11 minuti, per me un disastro. Ma mi
resi conto analizzando la performance che senza un riposo adeguato non è
possibile correre sui tuoi limiti così a lungo.”
Sono
tante le chiavi della performance, a Iten mettono al primo posto l’allenamento
seguito dal mangiare e dal riposo.
Cosa
ti fa continuare a fare sport? “L'idea
di essere ancora in una fase di potenziale miglioramento. Ma penso che quando
questa stagione, fisiologicamente, terminerà, potrò anche accettare l'idea di
continuare per semplice passione e per continuare a permettermi di mantenere il
mio stile di vita.”
Ora è il
momento di spingere e di capire cos’altro posso fare per essere più performante
e ambire a qualcosa di importante.
Come
superi crisi, sconfitte, infortuni? “Con
la costanza e la fiducia nelle proprie risorse. L'essere umano è un animale
strano, ma è nato per correre a lungo, ritengo che sia un qualcosa insito nella
nostra natura più profonda. Tutti sanno correre e tutti possono farlo. Milioni
di anni fa i nostri antenati erano predatori di animali di media taglia, che
inseguivano per giorni in gruppi paritari formati da uomini e donne. Questa immagine
è per me potentissima e almeno una volta nella vita vorrei riuscire a
tramutarla in realtà con altre persone. Gli infortuni e le sconfitte fanno
parte del gioco, ma quando in gioco c'è la tua stessa sopravvivenza non puoi
fermarti. Allo stesso modo, non credo esista realmente qualcosa in grado di
fermarti definitivamente se non la morte. L'esempio di Alex Zanardi, uno dei
miei miti sportivi, racconta meglio di queste parole quello che intendo.”
In
effetti bisogna sempre elaborare e trasformare quello che accade,
riorganizzarsi sempre, essere fiduciosi soprattutto in se stessi e continuare a
sognare.
Un messaggio ai ragazzi per
avvicinarsi allo sport? “Imparare ad
essere umili per riuscire ad essere ambiziosi. La società moderna ti fa
apparire tutto bello, facile e a portata di mano. Non è così, da adulti ci si
risveglia comprendendo fino in fondo il valore della bellezza e il dono
dell'umiltà. In questo spero davvero di essere un esempio positivo per i miei
figli, i miei teppisti come li chiamo affettuosamente.”
C’è il rischio di incorrere nel doping? Un
messaggio per sconsigliarne l’uso? “Io
non prendo nessun farmaco da anni, nemmeno antidolorifici o integratori
alimentari. E nonostante questo non mi fermo mai, non manco un giorno da lavoro
dal 2017, quando mia figlia Diana mi accecò accidentalmente per qualche giorno.
Credo basti raccontare questo per far capire come la penso. Se ho un dolore, me
lo tengo, anzi lo ringrazio per avermi fatto capire qualcosa di più vero e
profondo del mio corpo. E sul doping sono radicale. Tutti possono sbagliare per
ignoranza o essere deboli. I recenti casi nell'ultramaratona anche di persone
molto conosciute e quotate mi ha fatto riflettere molto. Ma oltre all'aspetto
umano e alla vicinanza che sento con alcune persone, ritengo che il problema
possa essere risolto solamente prevedendo una squalifica a vita in caso di
positività. Oltre a ciò, ritengo che dietro a tutto questo ci siano molti
interessi. Per me a esempio è incredibile che nel 2019 la marijuana sia
considerata sostanza dopante e una pasticca di Aulin no, ma lo accetto.”
Gli
adulti sono prima di tutto figure di riferimento per i ragazzi per trasmettere
lezioni di vita attraverso sani stili di vita e principi.
Familiari e amici cosa dicono circa il tuo sport? “I miei figli, soprattutto Eleonora che è la
maggiore e ha nove anni, credo sia molto orgogliosa di me. Spesso racconta
delle imprese del suo papà, del fatto che corre per 100 km di seguito. E quando
non torno con coppe o medaglie, rimane delusa… I miei amici e le mie amiche
invece trovo che, pur considerandomi un po' matto, in fondo ammirino la mia
determinazione. Non è da tutti anche solo concepire di essere in grado di fare
determinate cose. Secondo una recente statistica a fronte di milioni di runners
abituali, in Italia, sono solo circa 40000 persone quelle che terminano una
maratona. Ciononostante, sono certo che almeno la metà dei podisti sistematici,
se interpellati, risponderebbero che il loro sogno sarebbe di correre per 42.195
metri senza fermarsi.”
Vero,
anche se una grande parte di persone si dedica all’ultramaratona, c’è comunque
una gran parte che teme la maratona che prima era considerata una gara estrema
da arrivarci preparatissimi e da provarla dopo anni e anni di allenamenti e d
esperienze di gare.
Cosa hai scoperto di
te stesso nel praticare attività fisica? “La scoperta più grande è stata la prima: è semplicemente un qualcosa
che mi fa stare meglio. Ho ridotto il fumo, senza eliminarlo completamente.
Sono più concentrato, attivo. Non ho problemi fisici e non mi ammalo mai. E
quando vado a correre, per me è come fare la mia piccola buona azione
quotidiana verso me stesso. Non tutti si concedono almeno un'ora di evasione
giornaliera facendo un'attività divertente che migliora la qualità della loro
vita. E questo non è un privilegio, è semplicemente una scelta.”
Non si
può sentire: ho ridotto il fumo! Stefano devi azzerare il fumo! Scherzo, ognuno
è in contatto con i propri bisogni ed esigenze e mobilita energie per
soddisfarli.
Riesci a immaginare una
vita senza sport? “Non più. Quando
vedo gente di oltre settanta anni che corre nei circuiti per 24 ore di seguito,
camminando e barcollando, mi commuovo. Probabilmente finirò come loro,
rimanendo incomprensibile alla maggior parte delle persone, se non da chi
pratica questo sport meraviglioso.”
Vero,
anch’io ho fatto un tratto alla 100km del Passatore con un ragazzo in canotta classe
’31, davvero un bell’esempio, un bel testimonial.
Hai mai pensato di smettere di essere atleta? “Solo una volta ho avuto questo pensiero, quando mi trovarono una spina calcaneare
sotto il piede sinistro. Non riuscivo ad appoggiare il piede al mattino e ho
zoppicato vistosamente per settimane. Mi faceva male camminare e correndo il
dolore si attenuava per qualche minuto, tornando a farsi sentire dopo poche ore
più forte di prima. I medici mi consigliarono di ridurre se non di smettere.
Non li ascoltai e andai avanti, fino a quando riuscii a risolvere il problema
con un plantare funzionale. Attualmente sono molto attratto dallo stile
minimalista e dalle fivefingers, che ho provato e mi sono piaciute moltissimo.”
Arrivano
i momenti bui ma come arrivano così possono andar via, importante capire come
starci in quei momenti senza disperarsi troppo.
Ritieni utile lo psicologo dello sport? “Assolutamente sì, soprattutto nell'ultramaratona. Ma io sono laureato
in Psicologia, quindi sono troppo di parte.”
Sogni da realizzare? “Parlando
di sogni, ne ho uno in particolare. Un ricordo di infanzia, mio fratello che
aveva l'accappatoio con i 5 cerchi olimpici. Non posso andare alle Olimpiadi,
perché non esiste una singola distanza dell'ultramaratona inserita nel novero
delle specialità olimpiche. Ma ritengo che la possibilità di andare ai Mondiali
della 24 ore sia concreta e realizzabile, se non a questo giro al prossimo,
quando avrò acquisito una maggiore esperienza. Lì, forse, nell'improbabilissimo
caso di un podio, forse davvero mi sentirei un campione. Il solo pensiero mi fa
piangere e mi stimola nello stesso tempo. Stiamo parlando di sogni, ma siamo
gente strana noi ultra. Ci siamo abituati troppo bene, perché di solito i
nostri sogni, alla fine, si avverano sempre.”
In fondo
in fondo anche gli ultramaratoneti hanno un cuore e si emozionano sognando come
bambini ma impegnandosi al massimo per cercare di trasformare i propri sogni in
realtà.
Matteo SIMONE
Psicologo, Psicoterapeuta Gestalt ed EMDR
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