Il mio obiettivo rimarrà sempre lo stesso: arrivare
a 250 km
Matteo SIMONE
Ha avuto luogo presso Bussolengo il Campionato
Italiano Individuale Assoluto e Master di Ultramaratona 24h su strada organizzato
dal GS Mombocar e tra gli uomini il vincitore è stato Stefano Romano (Torino
road Runners ASD) che ha totalizzato 200,565km precedendo Thomas Capponi
(Runners Bergamo) 193,724km e Pietro De Marchi (Team Mud & Snow ASD) 192,575.
La Campionessa Italiana è stata la
giovanissima e fortissima Eleonora Rachele Corradini che ho conosciuto di
recente in trasmissione Atleticat. Le donne hanno dimostrato di essere più
determinate e resilienti, come già spiego nel mio libro “Lo sport delle donne.
Sempre più determinate, felici e resilienti” edito da Prospettiva editrice,
infatti Eleonora (#Faisenzadire ASD) ha totalizzato 221.177km, alla sua seconda
esperienza sulla 24 ore, precedendo Elena Fabiani (Woman Triathlon Italia ASD) 209,451km
e Francesca Canepa (Atletica Sandro Calvesi) 203,367.
Di seguito approfondiamo la conoscenza
di Stefano, Campione Italiano di Ultramaratona 24h su strada, attraverso
risposte ad alcune mie domande.
Come
è nata l'idea di partecipare a Campionati Italiani 24 ore?
“La partecipazione alla Lupatotissima è stata,
se così si può dire, obbligatoria. Era la mia prima gara nel 2020. Annullata a
febbraio Andora, a marzo Torino, annullata a maggio la Nove Colli, a luglio la
100 km di Asolo e a settembre la 100 km delle Alpi, mi rimaneva provare l’Etna
oppure virare su Verona, che ho privilegiato per motivi logistici. È stata
ufficializzata valevole per il Campionato Italiano solamente pochi giorni prima
della partenza. Ma al di là del valore della gara, l’ho fatta soprattutto per
me stesso”.
L’anno 2020 è un anno segnato dalle
conseguenze della pandemia del COVID, dove è stato necessario mettere da parte
qualsiasi ambizione, gara, hobby, sport per capire cosa succede e tutelare se
stessi e gli altri. Ma comunque occasioni per svagarsi e fare sport ci sono
state anche se poche e Stefano ha avuto l’opportunità di mettersi in gioco in
un campionato italiano vincendo il titolo assoluto.
Come
ti sei preparato? “In
generale è stato un anno, sportivamente parlando, perso, e quindi ho caricato
la manifestazione di ulteriori significati solo nel momento in cui sono partito
il giorno prima, in treno da Torino, con un taccuino e la tabella di marcia. Ho
preparato la gara in quattro mesi, ma senza averla come punto di riferimento
preciso, volevo provare l’Ultrabalaton, che poi è stata annullata, nonostante
un mese e mezzo di lockdown durante il quale non mi sono allenato, eccezion
fatta per una sgambata solitaria nei pressi di casa mia sotto la pioggia,
durata nemmeno mezz’ora.
Poi, di colpo, grazie alla campagna di raccolta fondi
1000 km allo Sbarco, quasi dal nulla, ho ricominciato a macinare più di 150 km
a settimana, regolarmente, fino a concludere il giro della Sardegna correndone
quasi 400 nella prima settimana di settembre. I tempi non erano male, le gambe
rispondevano e avevo molta voglia di fare bene. Il mattino della gara mi sono
svegliato e mi sono reso conto di non avere più dolori articolari al ginocchio,
affaticamenti muscolari o acciacchi di qualsiasi tipo, dopo un anno durante il
quale ho convissuto quotidianamente con problemi simili. In quel momento ho
capito che potevo fare una buona gara e mi sono detto che valeva la pena
provarci fino in fondo”.
L’ultramaratoneta è sempre pronto per
affrontare situazioni difficile o gare considerate anche estreme come una 24 ore
di corsa ma è meglio avere strategie e studiare il da farsi per capire cosa si
può fare nel miglior modo possibile. Si fa presto a ritornare in forma
ritornando a correre per chilometri e chilometri come ha fatto Stefano con il
suo progetto 1000km allo sbarco (https://ilsentieroalternativo.blogspot.com/2020/07/stefano-romano-1000km-allo-sbarco-se.html) Come
era il percorso? “Il
percorso era snodato intorno alla pista di atletica, un po’ tortuoso ma
abbastanza vario, con curve e piccoli dislivelli che mi aiutavano a cambiare il
ritmo per ‘svegliare le gambe e la mente’, come si dice in gergo”.
E’ importante trovare spunti e stimoli
per andare avanti nella fatica focalizzandosi sulla gara e sul proprio
obiettivo di chilometraggio o di posizione in classifica con eventuale
ambizione al podio o vincita.
Cosa
hai scoperto? “Approcciando
la gara ho scoperto di avere sviluppato una buona dose di pazienza. Alcuni
atleti sono partiti a mille, fra cui Mattia Di Beo, Luka Videtic e Francesca
Canepa. Un anno fa mi sarei fatto prendere dall’entusiasmo, ma questa volta
sono andato del mio passo, pensando di passare ai 100 km in 5.30 al km di
media, quindi in 9 ore e 12 minuti. Ero perfettamente in media fino ad oltre le
12 ore e le cose si stavano mettendo in una prospettiva molto interessante,
poiché il mio obiettivo era essenzialmente chilometrico e non relativo alla
posizione finale”.
In effetti la pratica dell’ultramaratona
richiede innanzitutto pazienza, attesa e fiducia. Non bisogna aver fretta e
nemmeno pensare all’arrivo, tutto va fatto momento per momento godendo
l’istante con la consapevolezza che la fatica e le crisi vanno e vengono.
Cosa
ti aspettavi? Quali
sono state le difficoltà? “L’anno
precedente il percorso era simile, pur articolandosi nella classica pista di S.
Giovanni Lupatoto. Anche l’asfalto, irregolare, me lo ricordava. In pratica era
la stessa cosa, con qualche centinaio di metri in meno. L’unica differenza
rilevante era il verso di corsa in pista, orario invece che con le tradizionali
curve a sinistra. Lì sono iniziate le
difficoltà vere e proprie. Da un lato ormai mi sono abituato, dall’altro dovrò
ancora migliorare nella loro gestione per evitare di farmi prendere
dall’emotività, rischiando di farmi travolgere dagli eventi. I primi dolori mi
hanno consigliato di rallentare, ma comunque dopo 16 ore ero oltre i 160 km e
potenzialmente in linea per arrivare ai 230 km finali, un obiettivo che
consideravo realistico sulla base dello stato di forma dei giorni precedenti.
Poi, all’improvviso, mangiando cibo non proprio digeribile, ho iniziato a
soffrire di nausea. Non ho mangiato per quasi due ore e le mie energie residue
si sono rapidamente esaurite. In pratica fino alla fine non ho fatto altro che
camminare, sempre più sofferente.
Ho iniziato a guardare la classifica, altro
errore: mi ero ripromesso di guardarla solamente all’alba, ma ormai camminavo
da più di un’ora e sapendo di essere in crisi ho incominciato, consapevolmente,
a gestire il vantaggio nei confronti degli altri italiani rimasti in gara.
Molti, i più forti, si erano ritirati, soprattutto Francescato che temevo molto
e Maggiola, di cui non conoscevo le reali condizioni di forma. Ma anche
Provinciali e Di Beo erano saltati, quindi avevo un vantaggio di quasi 20 km
sul gruppone degli altri italiani. E quando qualcuno mi superava, non mi
sembrava messo molto meglio di me. Ho ritarato la mia gara non più sulla
prestazione assoluta, bensì sul risultato. Credo che solo il fatto di avere
preso quella decisione mi abbia fatto percorrere almeno 10 km in meno di quanti
potenzialmente avrei potuto farne”.
Non si finisce mai di imparare, ogni
gara riserve difficoltà ma allo stesso tempo dalle difficoltà si conosce sempre
più se stessi e si comprende cosa si può migliorare per far meglio la prossima
volta. Qual
era il clima di gara? “Il
clima è stato decisamente buono, non troppo caldo durante il giorno e fresco la
notte. Rispetto agli ultimi due anni tutti i partecipanti, me compreso, sono
stati decisamente fortunati”.
Cosa
ti ha aiutato? “A
parte il Mondiale di Albi, è stata la prima gara in circuito dove ho potuto
usufruire di un supporto costante e splendido, senza il quale avrei
probabilmente dovuto affrontare ulteriori difficoltà. Forse le avrei superate
lo stesso, di certo senza Claudia avrei terminato la gara in condizioni fisiche
e mentali peggiori. Nonostante sia stata in assoluto la 24 ore durante la quale
ho sofferto di più, lei è riuscita ad alleggerirmi sempre, a spronarmi quando
serviva, ad accompagnarmi nelle mie crisi e perfino sul podio, quando non mi
reggevo in piedi per problemi al polpaccio sinistro, all’inguine destro e ai
piedi che erano gonfi come mai mi era successo di vedere”.
L’ultramaratona è una disciplina molto
difficile dal punto di vista fisico e mentale, bisogna essere consapevoli della
propria fisicità, atleticità e mentalità per avere meno conseguenze negative
possibile e per vivere al meglio questo sport che può essere considerato
traumatico ma che mette di fronte a se stessi nell’affrontare situazioni
critiche da poter e voler risolvere. E’ bello e gratificante avere qualcuno che
sostiene prima durante e dopo una gara dura e lunghissima soprattutto se si
tratta di attraversare momenti dove non bisogna mollare e poi andare a ritirare
il titolo di Campione Italiano.
Soddisfatto?
“Al termine, ormai certo di essere
diventato campione italiano di specialità, cosa che sognavo da oltre due anni,
ho semplicemente cercato di raggiungere la cifra simbolica di 200 km,
terminando di fatto la gara più di un quarto d’ora prima dello sparo finale.
Più che di soddisfazione, si è trattato di una vera e propria liberazione. In
fondo ho lavorato duramente per raggiungere questo risultato, sportivamente non
certo eccellente, ma il titolo rimane a testimoniare quanto ho fatto da aprile
2018. Circa 15000 km, molti podi, alcune vittorie, una crescita interiore, come
uomo e padre, che rappresenta il mio vero traguardo. Quello di Verona è stata, in
fondo, solamente la ciliegina sulla torta di un percorso iniziato molto tempo
fa, che non si è ancora compiuto nella sua interezza”.
Belle le parole di Stefano che non parla
solo di vittorie ma anche di percorsi, crescita interiore, e genitorialità. Lo
sport non è solo forza e resistenza ma anche sensibilità e umiltà, scoperte e
confronti. La
consigli? La rifaresti? “L’organizzazione della gara, in tempo di Covid, è stata difficoltosa.
Alcune restrizioni non le ho ben comprese, i giudici erano molto fiscali e in
piena notte è addirittura scoppiato un incendio in una struttura del campo
sportivo. Abbiamo respirato monossido di carbonio per mezzora, e in tutto
questo i giudici non hanno a mio avviso preso in mano la situazione. In alcune
parti del percorso ci dicevano di fermarci, poi tutti continuavano a correre al
buio. Io stesso ho avuto uno screzio con il direttore di gara. Intendiamoci,
dopo quasi 20 ore la lucidità viene meno un po’ per tutti, però credo sia
importante sottolineare questo: i giudici sono lì perché ci sono gli atleti,
non viceversa. Noi corriamo tutti i giorni, affrontando difficoltà e sacrifici
che persone ‘normali’ nemmeno si immaginano, conciliando tempi di vita, di
famiglia, di lavoro, superando infortuni continui, impostando sveglie all’alba,
allenandoci in piena notte.
Quello che ho sentito, e mi dispiace molto dirlo, è
stata una mancanza di rispetto nei confronti non degli atleti, ma delle persone
che erano presenti. Proprio per questo motivo non so se rifarò la gara di
Verona, alla fine si tratta di prendere tre giorni e partire per seguire una
passione. Siamo uomini, e donne, disposti a tutto, che però non possono
transigere su alcune cose fondamentali. Scambiando parole alla fine della gara
con altri colleghi ultramaratoneti, questo sentimento era condiviso da molti”.
Ogni gara è un capitolo di vita vissuta
che rimane nella mente e nelle sensazioni dell’atleta che dovuto organizzarsi e
preparare per presenziare e riporta a casa ricordi ivi da tenere per se, da
raccontare. E’ vero che l’ultramaratona è uno sport di sacrificio, di sveglie,
di rinunce di equilibri familiari e lavorativi.
Prossimi
obiettivi? “Parlare dei
prossimi obiettivi è anacronistico. Stanno annullando tutte le gare, credo se
ne riparlerà verosimilmente in primavera. Di certo, con la 24 ore continuo ad
avere un conto aperto. Quattro settimane dopo Verona ho tentato di farne
un’altra in Svizzera a Brugg, ma le gambe erano ancora troppo appesantite. Dal
punto di vista chilometrico, il mio obiettivo rimarrà sempre lo stesso:
arrivare a 250 km. Solo un italiano nella storia ne ha percorsi di più, come
ben sai si tratta di Ivan Cudin, che non ha bisogno di presentazioni.
Il mio
equilibrio psicofisico è molto sottile, mangio solamente alimenti naturali, non
prendo integratori, a parte le maltodestrine pure sciolte in acqua che vorrei
iniziare a sostituire con una soluzione di acqua, malto d’orzo e limone. Basta
veramente poco per andare in crisi, quello che devo migliorare non è tanto la
tenuta psicologica o fisica, quanto la mia capacità di trovare soluzioni
naturali ed efficaci per fronteggiare le difficoltà in modo rapido ed efficace”.
Un titolo italiano è sempre apprezzato
anche se il risultato chilometrico non è importante, si fa sempre in tempo a
prepararsi per portare a compimento propri progetti come quello ambizioso di
diventare uno dei più forti ultramaratoneti di tutti i tempi in Italia avvicinandosi
ai 250km nella 24 ore.
Un
messaggio per chi preferisce il divano? “Ai sedentari di professione non ho niente da consigliare in fondo. Semplicemente,
non li comprendo, non essendo mai stato come loro. Se il cambiamento non parte
da noi stessi, qualsiasi consiglio è inutile e si disperde come parole al
vento. Di certo, osservare il mondo dal divano, magari attraverso lo schermo di
una televisione, non fa per me”.
Matteo SIMONE
380-4337230 - 21163@tiscali.it
Psicologo, Psicoterapeuta Gestalt ed EMDR
https://ilsentieroalternativo.blogspot.com/
http://www.unilibro.it/libri/f/autore/simone_matteo
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