martedì 27 ottobre 2020

Stefano Romano, Campione Italiano 2020 di Ultramaratona 24h su strada

 Il mio obiettivo rimarrà sempre lo stesso: arrivare a 250 km

Matteo SIMONE

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Ha avuto luogo presso Bussolengo il Campionato Italiano Individuale Assoluto e Master di Ultramaratona 24h su strada organizzato dal GS Mombocar e tra gli uomini il vincitore è stato Stefano Romano (Torino road Runners ASD) che ha totalizzato 200,565km precedendo Thomas Capponi (Runners Bergamo) 193,724km e Pietro De Marchi (Team Mud & Snow ASD) 192,575.

La Campionessa Italiana è stata la giovanissima e fortissima Eleonora Rachele Corradini che ho conosciuto di recente in trasmissione Atleticat. Le donne hanno dimostrato di essere più determinate e resilienti, come già spiego nel mio libro “Lo sport delle donne. Sempre più determinate, felici e resilienti” edito da Prospettiva editrice, infatti Eleonora (#Faisenzadire ASD) ha totalizzato 221.177km, alla sua seconda esperienza sulla 24 ore, precedendo Elena Fabiani (Woman Triathlon Italia ASD) 209,451km e Francesca Canepa (Atletica Sandro Calvesi) 203,367.

Di seguito approfondiamo la conoscenza di Stefano, Campione Italiano di Ultramaratona 24h su strada, attraverso risposte ad alcune mie domande.

Come è nata l'idea di partecipare a Campionati Italiani 24 ore?La partecipazione alla Lupatotissima è stata, se così si può dire, obbligatoria. Era la mia prima gara nel 2020. Annullata a febbraio Andora, a marzo Torino, annullata a maggio la novecolli, a luglio la 100 km di Asolo e a settembre la 100 km delle Alpi, mi rimaneva provare l’Etna oppure virare su Verona, che ho privilegiato per motivi logistici. È stata ufficializzata valevole per il Campionato Italiano solamente pochi giorni prima della partenza. Ma al di là del valore della gara, l’ho fatta soprattutto per me stesso”. 

L’anno 2020 è un anno segnato dalle conseguenze della pandemia del COVID, dove è stato necessario mettere da parte qualsiasi ambizione, gara, hobby, sport per capire cosa succede e tutelare se stessi e gli altri. Ma comunque occasioni per svagarsi e fare sport ci sono state anche se poche e Stefano ha avuto l’opportunità di mettersi in gioco in un campionato italiano vincendo il titolo assoluto.

Come ti sei preparato?In generale è stato un anno, sportivamente parlando, perso, e quindi ho caricato la manifestazione di ulteriori significati solo nel momento in cui sono partito il giorno prima, in treno da Torino, con un taccuino e la tabella di marcia. Ho preparato la gara in quattro mesi, ma senza averla come punto di riferimento preciso, volevo provare l’Ultrabalaton, che poi è stata annullata, nonostante un mese e mezzo di lockdown durante il quale non mi sono allenato, eccezion fatta per una sgambata solitaria nei pressi di casa mia sotto la pioggia, durata nemmeno mezz’ora. Poi, di colpo, grazie alla campagna di raccolta fondi 1000 km allo Sbarco, quasi dal nulla, ho ricominciato a macinare più di 150 km a settimana, regolarmente, fino a concludere il giro della Sardegna correndone quasi 400 nella prima settimana di settembre. I tempi non erano male, le gambe rispondevano e avevo molta voglia di fare bene. Il mattino della gara mi sono svegliato e mi sono reso conto di non avere più dolori articolari al ginocchio, affaticamenti muscolari o acciacchi di qualsiasi tipo, dopo un anno durante il quale ho convissuto quotidianamente con problemi simili. In quel momento ho capito che potevo fare una buona gara e mi sono detto che valeva la pena provarci fino in fondo”. 

L’ultramaratoneta è sempre pronto per affrontare situazioni difficile o gare considerate anche estreme come una 24 ore di corsa ma è meglio avere strategie e studiare il da farsi per capire cosa si può fare nel miglior modo possibile. Si fa presto a ritornare in forma ritornando a correre per chilometri e chilometri come ha fatto Stefano con il suo progetto 1000km allo sbarco (https://ilsentieroalternativo.blogspot.com/2020/07/stefano-romano-1000km-allo-sbarco-se.html)

Come era il percorso?Il percorso era snodato intorno alla pista di atletica, un po’ tortuoso ma abbastanza vario, con curve e piccoli dislivelli che mi aiutavano a cambiare il ritmo per ‘svegliare le gambe e la mente’, come si dice in gergo”. 

E’ importante trovare spunti e stimoli per andare avanti nella fatica focalizzandosi sulla gara e sul proprio obiettivo di chilometraggio o di posizione in classifica con eventuale ambizione al podio o vincita.

Cosa hai scoperto?Approcciando la gara ho scoperto di avere sviluppato una buona dose di pazienza. Alcuni atleti sono partiti a mille, fra cui Mattia Di Beo, Luka Videtic e Francesca Canepa. Un anno fa mi sarei fatto prendere dall’entusiasmo, ma questa volta sono andato del mio passo, pensando di passare ai 100 km in 5.30 al km di media, quindi in 9 ore e 12 minuti. Ero perfettamente in media fino ad oltre le 12 ore e le cose si stavano mettendo in una prospettiva molto interessante, poiché il mio obiettivo era essenzialmente chilometrico e non relativo alla posizione finale”. 

In effetti la pratica dell’ultramaratona richiede innanzitutto pazienza, attesa e fiducia. Non bisogna aver fretta e nemmeno pensare all’arrivo, tutto va fatto momento per momento godendo l’istante con la consapevolezza che la fatica e le crisi vanno e vengono.

Cosa ti aspettavi? Quali sono state le difficoltà?L’anno precedente il percorso era simile, pur articolandosi nella classica pista di S. Giovanni Lupatoto. Anche l’asfalto, irregolare, me lo ricordava. In pratica era la stessa cosa, con qualche centinaio di metri in meno. L’unica differenza rilevante era il verso di corsa in pista, orario invece che con le tradizionali curve a sinistra. Lì sono iniziate le difficoltà vere e proprie. Da un lato ormai mi sono abituato, dall’altro dovrò ancora migliorare nella loro gestione per evitare di farmi prendere dall’emotività, rischiando di farmi travolgere dagli eventi. I primi dolori mi hanno consigliato di rallentare, ma comunque dopo 16 ore ero oltre i 160 km e potenzialmente in linea per arrivare ai 230 km finali, un obiettivo che consideravo realistico sulla base dello stato di forma dei giorni precedenti. Poi, all’improvviso, mangiando cibo non proprio digeribile, ho iniziato a soffrire di nausea. Non ho mangiato per quasi due ore e le mie energie residue si sono rapidamente esaurite. In pratica fino alla fine non ho fatto altro che camminare, sempre più sofferente. Ho iniziato a guardare la classifica, altro errore: mi ero ripromesso di guardarla solamente all’alba, ma ormai camminavo da più di un’ora e sapendo di essere in crisi ho incominciato, consapevolmente, a gestire il vantaggio nei confronti degli altri italiani rimasti in gara. Molti, i più forti, si erano ritirati, soprattutto Francescato che temevo molto e Maggiola, di cui non conoscevo le reali condizioni di forma. Ma anche Provinciali e Di Beo erano saltati, quindi avevo un vantaggio di quasi 20 km sul gruppone degli altri italiani. E quando qualcuno mi superava, non mi sembrava messo molto meglio di me. Ho ritarato la mia gara non più sulla prestazione assoluta, bensì sul risultato. Credo che solo il fatto di avere preso quella decisione mi abbia fatto percorrere almeno 10 km in meno di quanti potenzialmente avrei potuto farne”. 

Non si finisce mai di imparare, ogni gara riserve difficoltà ma allo stesso tempo dalle difficoltà si conosce sempre più se stessi e si comprende cosa si può migliorare per far meglio la prossima volta.

Qual era il clima di gara?Il clima è stato decisamente buono, non troppo caldo durante il giorno e fresco la notte. Rispetto agli ultimi due anni tutti i partecipanti, me compreso, sono stati decisamente fortunati”.

Cosa ti ha aiutato?A parte il Mondiale di Albi, è stata la prima gara in circuito dove ho potuto usufruire di un supporto costante e splendido, senza il quale avrei probabilmente dovuto affrontare ulteriori difficoltà. Forse le avrei superate lo stesso, di certo senza Claudia avrei terminato la gara in condizioni fisiche e mentali peggiori. Nonostante sia stata in assoluto la 24 ore durante la quale ho sofferto di più, lei è riuscita ad alleggerirmi sempre, a spronarmi quando serviva, ad accompagnarmi nelle mie crisi e perfino sul podio, quando non mi reggevo in piedi per problemi al polpaccio sinistro, all’inguine destro e ai piedi che erano gonfi come mai mi era successo di vedere”. 

L’ultramaratona è una disciplina molto difficile dal punto di vista fisico e mentale, bisogna essere consapevoli della propria fisicità, atleticità e mentalità per avere meno conseguenze negative possibile e per vivere al meglio questo sport che può essere considerato traumatico ma che mette di fronte a se stessi nell’affrontare situazioni critiche da poter e voler risolvere. E’ bello e gratificante avere qualcuno che sostiene prima durante e dopo una gara dura e lunghissima soprattutto se si tratta di attraversare momenti dove non bisogna mollare e poi andare a ritirare il titolo di Campione Italiano.

Soddisfatto?Al termine, ormai certo di essere diventato campione italiano di specialità, cosa che sognavo da oltre due anni, ho semplicemente cercato di raggiungere la cifra simbolica di 200 km, terminando di fatto la gara più di un quarto d’ora prima dello sparo finale. Più che di soddisfazione, si è trattato di una vera e propria liberazione. In fondo ho lavorato duramente per raggiungere questo risultato, sportivamente non certo eccellente, ma il titolo rimane a testimoniare quanto ho fatto da aprile 2018. Circa 15000 km, molti podi, alcune vittorie, una crescita interiore, come uomo e padre, che rappresenta il mio vero traguardo. Quello di Verona è stata, in fondo, solamente la ciliegina sulla torta di un percorso iniziato molto tempo fa, che non si è ancora compiuto nella sua interezza”. 

Belle le parole di Stefano che non parla solo di vittorie ma anche di percorsi, crescita interiore, e genitorialità. Lo sport non è solo forza e resistenza ma anche sensibilità e umiltà, scoperte e confronti.

La consigli? La rifaresti?L’organizzazione della gara, in tempo di COVID, è stata difficoltosa. Alcune restrizioni non le ho ben comprese, i giudici erano molto fiscali e in piena notte è addirittura scoppiato un incendio in una struttura del campo sportivo. Abbiamo respirato monossido di carbonio per mezzora, e in tutto questo i giudici non hanno a mio avviso preso in mano la situazione. In alcune parti del percorso ci dicevano di fermarci, poi tutti continuavano a correre al buio. Io stesso ho avuto uno screzio con il direttore di gara. Intendiamoci, dopo quasi 20 ore la lucidità viene meno un po’ per tutti, però credo sia importante sottolineare questo: i giudici sono lì perché ci sono gli atleti, non viceversa. Noi corriamo tutti i giorni, affrontando difficoltà e sacrifici che persone ‘normali’ nemmeno si immaginano, conciliando tempi di vita, di famiglia, di lavoro, superando infortuni continui, impostando sveglie all’alba, allenandoci in piena notte. Quello che ho sentito, e mi dispiace molto dirlo, è stata una mancanza di rispetto nei confronti non degli atleti, ma delle persone che erano presenti. Proprio per questo motivo non so se rifarò la gara di Verona, alla fine si tratta di prendere tre giorni e partire per seguire una passione. Siamo uomini, e donne, disposti a tutto, che però non possono transigere su alcune cose fondamentali. Scambiando parole alla fine della gara con altri colleghi ultramaratoneti, questo sentimento era condiviso da molti”. 

Ogni gara è un capitolo di vita vissuta che rimane nella mente e nelle sensazioni dell’atleta che dovuto organizzarsi e preparare per presenziare e riporta a casa ricordi ivi da tenere per se, da raccontare. E’ vero che l’ultramaratona è uno sport di sacrificio, di sveglie, di rinunce di equilibri familiari e lavorativi.

Prossimi obiettivi?Parlare dei prossimi obiettivi è anacronistico. Stanno annullando tutte le gare, credo se ne riparlerà verosimilmente in primavera. Di certo, con la 24 ore continuo ad avere un conto aperto. Quattro settimane dopo Verona ho tentato di farne un’altra in Svizzera a Brugg, ma le gambe erano ancora troppo appesantite. Dal punto di vista chilometrico, il mio obiettivo rimarrà sempre lo stesso: arrivare a 250 km. Solo un italiano nella storia ne ha percorsi di più, come ben sai si tratta di Ivan Cudin, che non ha bisogno di presentazioni. Il mio equilibrio psicofisico è molto sottile, mangio solamente alimenti naturali, non prendo integratori, a parte le maltodestrine pure sciolte in acqua che vorrei iniziare a sostituire con una soluzione di acqua, malto d’orzo e limone. Basta veramente poco per andare in crisi, quello che devo migliorare non è tanto la tenuta psicologica o fisica, quanto la mia capacità di trovare soluzioni naturali ed efficaci per fronteggiare le difficoltà in modo rapido ed efficace”. 

Un titolo italiano è sempre apprezzato anche se il risultato chilometrico non è importante, si fa sempre in tempo a prepararsi per portare a compimento propri progetti come quello ambizioso di diventare uno dei più forti ultramaratoneti di tutti i tempi in Italia avvicinandosi ai 250km nella 24 ore.

Un messaggio per chi preferisce il divano?Ai sedentari di professione non ho niente da consigliare in fondo. Semplicemente, non li comprendo, non essendo mai stato come loro. Se il cambiamento non parte da noi stessi, qualsiasi consiglio è inutile e si disperde come parole al vento. Di certo, osservare il mondo dal divano, magari attraverso lo schermo di una televisione, non fa per me”.


Matteo SIMONE

Psicologo, Psicoterapeuta

21163@tiscali.it +393804337230

https://ilsentieroalternativo.blogspot.it/

http://www.ibs.it/libri/simone+matteo/libri+di+matteo+simone.html

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