lunedì 21 dicembre 2015

Sport come strumento per riabilitazione fisica, ma soprattutto terapia mentale

Dott. Matteo Simone 
Psicologo, Psicoterapeuta

Nel libro-dispensa, pubblicato in occasione della corsa di Miguel, “Uisp, Ai vostri posti (il mondo, lo sport, le olimpiadei. I campioni che hanno vinto e quelli che non ce l’hanno fatto)", Casa Editrice Booklab, 2015, è riportato come lo sport può essere uno strumento per la riabilitazione dei pazienti sia fisica che mentale.

Di seguito quanto scritto alle pagg. 122-123:
Ludwing Guttmann rivoluzionò completamente l’approccio ai pazienti con lesioni spinali, introdusse cure e terapie mai provate in passato, perfezionò l’utilizzo della fisioterapia, ma soprattutto riaccese la luce nelle vite di queste persone. 
E lo fece grazie a ciò che da sempre stimola nell’uomo spirito competitivo ma anche fratellanza, voglia di migliorarsi e anche profonde amicizie: lo sport. 
Fu questa l’illuminazione più grande di Guttmann, usare lo sport come strumento per la riabilitazione fisica dei propri pazienti, ma soprattutto come terapia mentale. 
L’idea che una persona con disabilità potesse svolgere una qualsiasi disciplina sportiva, semplicemente folle fino ad allora, inimmaginabile fino ad allora diventa realtà.”

Storicamente, i primi giochi per disabili si tennero nel 1948 in Gran Bretagna, nell’ospedale di Stoke Mandeville, non lontano da Londra, grazie all’entusiastica opera di Sir Ludwig Guttmann, neurochirurgo e direttore di quel centro di riabilitazione motoria. 
Le competizioni, cui parteciparono sportivi handicappati ex membri delle forze armate britanniche, ebbero molto successo e medici e tecnici di tutto il mondo visitarono il centro per apprendere tali metodologie riabilitative.
Nel 1952 per la prima volta i giochi di Stoke Mandeville divennero internazionali, e nel 1960 si svolsero nel contesto delle Olimpiadi di Roma, edizione da cui si comincia a parlare di vere e proprie Paraolimpiadi (SuperAbile Magazine, Anno III - numero cinque, maggio 2014, pp. 26-27).
Il movimento paralimpico italiano ha mosso i primi passi negli anni che precedono i primi Giochi Paralimpici Esitivi di Roma 1960, quando presso il Centro Paraplegici di Ostia dell’INAIL, il prof. Antonio Maglio diede i natali alla sport-terapia in Italia, alla stregua di quanto fatto dal prof. Guttman in Gran Bretagna con i reduci della II Guerra Mondiale. 
Maglio introdusse le attività fisiche attraverso numerose discipline sportive, utilizzando lo spirito agonistico quale stimolo a reagire e ritrovare le proprie abilità (SuperAbile INAIL del 16 Novembre 2015, pp. 16-17).
Ci sorprendiamo ad apprendere che anche i disabili praticano sport, abbiamo difficoltà a immaginare come possano fare a superare le proprie disabilità per praticare un determinato sport, eppure il disabile riesce a eccellere nello sport, ed è anche determinato nei suoi obiettivi, riesce a ottenere i successi prefissati grazie alla sua capacità, determinazione, voglia di emergere, stare con gli altri, dimostrare il suo valore, riscattarsi.
Il Presidente del Comitato Italiano Paralimpico (CIP), Luca Pancalli ci tiene a precisare che: 
Il movimento paralimpico italiano è un pianeta fatto di protagonisti straordinari, di storie meravigliose, di emozioni pazzesche, di gioie e delusioni, di sogni che diventano splendide realtà. 
Un mondo da conoscere, da vivere, una dimensione in cui investire entusiasmo e passione, con la certezza di chi crede che lo sport è uno soltanto. E non ammette differenze.”

Sono Matteo Simone e il prossimo novembre correrò la Maratona di Ravenna 2025 con un obiettivo speciale: raccogliere fondi per i ragazzi e le ragazze di Sport Senza Frontiere. 
Lo sport è da sempre una grande passione nella mia vita e credo fortemente nel suo potere di cambiare le cose, soprattutto per chi vive situazioni di fragilità.
Con il vostro aiuto, possiamo offrire a tanti bambini e adolescenti la possibilità di crescere in un ambiente sano, inclusivo e ricco di opportunità, attraverso lo sport e i valori che trasmette. 
Ogni chilometro che percorrerò sarà dedicato a loro — e ogni vostro contributo sarà un passo in più verso un futuro migliore. 
Grazie di cuore a chi vorrà sostenermi in questa sfida! 🏃‍♂️❤️ .
Ogni metro dei 42.195 correrò per i ragazzi di Sport Senza Frontiere, di solito lo faccio a Roma, quest’anno a Ravenna, aiutatemi ad aiutare donando anche voi, insieme è meglio. 
Ho corso 86 tra maratone e ultramaratone, la mia prima maratona l’ho corsa a Roma il 24 marzo 1996, la maratona più veloce l’ho corsa il 10 dicembre 2000 a Latina in 2h42’17”. 
Nel lontano 2015 ho scoperto l’associazione ONLUS Sport Senza Frontiere, interessandomi ai progetti che promuoveva e così decisi di correre la Maratona di Roma del 2016 con loro e per loro. 
Ho corso già sei edizioni della maratona di Roma di 42,195km per i progetti di SSF, ho già corso tre volte la maratona di Ravenna e quest’anno sarà la mia quarta edizione a Ravenna ma l’obiettivo non sarà solamente una prestazione possibilmente inferiore alle 3h30’ ma soprattutto raccogliere fondi per i ragazzi e le ragazze di Sport Senza Frontiere. 
Lo sport non è solo performance, ma anche inclusione, integrazione, solidarietà, aggregazione quando è possibile. 
È difficile interpretare bene una maratona, ma l’esperienza insegna a gestire forze ed energie fino alla fine della gara.    
La preparazione per affrontare il lungo viaggio di 42,195 km prevede un impegno notevole per allenarsi, correre i cosiddetti allenamenti ‘lunghi’ e ‘lunghissimi’, cioè allenamenti dai 25 i 35 chilometri circa per presentarsi pronti il giorno della gara. 
Nel libro “Maratoneti e ultrarunner. Aspetti psicologici di una sfida (Edizioni Psiconline) descrivo la maratona con le seguenti parole: 
La maratona, oltre a essere una prestazione sportiva agonistica, è un’esperienza. Percorrere una maratona non significa solamente cercare di vincere, cercare di fare la performance della vita, cercare di fare il record personale.
Percorrere una maratona significa anche fare un’esperienza e cioè organizzarsi per partire, per andare in un posto, mettersi d’accordo con i compagni di viaggio, con gli eventuali amici da incontrare nel luogo della maratona.
L’esperienza maratona significa sperimentare l’alimentazione pre-gara, preoccuparsi del tempo atmosferico, pensare all’abbigliamento adatto.
L’esperienza maratona comprende la possibile partecipazione agli eventi collaterali, il presentarsi alla partenza, osservare e prestare attenzione al territorio che si attraversa, ai colori, alle abitazioni, ai corsi d’acqua, alla gente lungo il percorso, soprattutto ai bambini che applaudono e che aspettano che gli batta il ‘cinque’ con il palmo della mano. 
Unitevi a noi correndo o donando, insieme è molto meglio. 

Dott. Matteo Simone 
380-4337230 - 21163@tiscali.it 
Psicologo clinico e dello sport 
Psicoterapeuta Gestalt, AEDP ed EMDR 

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