Matteo SIMONE
Matteo SIMONE
Lo sport rende felici, diventa un insegnamento utile ad affrontare la vita quotidiana, avvicina persone, popoli, culture e mondi, ma una cosa importantissima è la psicologia della squadra, dei vari componenti che decidono di allearsi per portare avanti un obiettivo comune, condiviso, difficile, sfidante ma raggiungibile.
Ci sono gare in tandem come possono essere quelle degli atleti
con disabilità visiva ma anche gare di endurance considerate estreme da fare a
coppia e questa è un’esperienza che hanno fatto due miei amici Vito Rubino e
Palas Policroniades. Loro due, coppia anche nella vita, hanno partecipato
al Tour Divide.
Il
Tour Divide è la gara di mountain bike più lunga al mondo, 4500 km
non-stop e in autosufficienza sulle Montagne Rocciose.
La gara va dal Canada al
Messico (inizia a Banff, Canada e finisce ad Antelope Wells, New Mexico al
confine con il Messico) e accumula 60,000 metri di dislivello (pari a 7 volte
l’Everest). I concorrenti sono responsabili di portare tutto l’occorrente tra
cui cibo, acqua, e attrezzatura da campeggio, e devono navigare lungo tutto il
percorso. Non è possibile avere nessun aiuto esterno preorganizzato. Meno della
metà dei partecipanti riescono a finire. Vito Rubino e Palas Policroniades ce
l’hanno fatta, in 30 giorni e 16 ore, usando una mountain bike in versione
tandem. Sono stati gli unici a completare la gara in tandem quest’anno e sono i
quinti in assoluto a partecipare in tandem.
In tandem
Vito e Palas raccontano la loro esperienza di seguito, rispondendo ad alcune
mie domande.
Come
siete arrivati alla decisione di partecipare a tale gara? “Il desiderio irresistibile di avventura. Poi la voglia
di esplorare posti nuovi e paesaggi spettacolari e infine la voglia di
esplorare noi stessi e le nostre capacità.”
Conoscendo
Vito, posso pensare che sia alla ricerca di avventure sportive sempre più ardue
e con la voglia di affrontarle con la complicità e la presenza di sua moglie, a
Palas non resta che aderire ai suoi progetti ben motivata di far bene e
scoprendo di essere un’avventuriera intrepida anche lei.
Prima di
tale impresa sentivate di potercela fare per aver sperimentato altra impresa
simile? “L’anno
scorso ho completato la Race Across Amerca (un coast to coast da quasi 5000 km
in 11 giorni e 19 ore), mentre Palas ha coordinato la mia squadra di supporto
di 9 persone. Ma una delle difficoltà del Tour Divide è proprio l’autosufficienza,
perché non c’è nessuno al seguito. Quindi ci siamo allenati durante i fine
settimana facendo delle uscite da 2-3 giorni in auto-sufficienza, in modo da
replicare le condizioni di gara.”
Gara
durissima e per pochi anche la RAAM che Vito è riuscito a portare a termine nel
tempo limite con l’aiuto della sua moglie Palas che lo supportava coordinando
le sue attività di recupero, ristoro ed organizzative.
Uno dei
due era più o meno sicuro o convinto nella partecipazione a tale gara? “Entrambi eravamo completamente determinati a portare a
termine la gara. Bisogna esserci al 100% per farcela.”
In questo
caso oltre alle capacità individuali di sapersi gestire in gare durissime è
importante anche l’intesa della coppia per riuscire a rispettare il passo
dell’altro, non strafare ma nemmeno andare troppo lenti, un compromesso che si
può trovare se ci si conosce bene e da tempo.
C’è stata
un’alternanza nelle fasi organizzative giornaliere: alimentazione, sveglia,
manutenzione? “I nostri
giorni erano da 18-20 ore. In genere ci svegliavamo tra le 6 e le 8 del
mattino, pedalavamo fino alle 2-4 di notte, poi accampavamo, mangiavamo
qualcosa, e dormivamo da un minimo di 2 ore a un massimo di 5 ore (con
l’eccezione di un paio di notti che abbiamo dormito di più e le ultime due
notti che non abbiamo dormito).
Il giorno dopo, facevamo colazione, disfacevamo
la tenda e poi in marcia. Mangiavamo in parte in sella e in parte durante delle
piccole soste. Ci rifornivamo in paesini di passaggio. Altre volte invece, per
far fronte a delle condizioni metereologiche, ci siamo dovuti fermare al
tramonto e siamo ripartiti prima dell’alba. La manutenzione basica della
bicicletta la facevamo circa ogni due giorni, oppure quando si rompeva
qualcosa.”
Una piccola
azienda, una macchina da guerra, tutto doveva funzionare alla perfezione.
Quale era
la parte della giornata più difficile per ognuno di voi? “La sveglia dopo 2-3 ore di sonno. E anche quando pedalavamo
durante la notte e iniziavamo ad avere allucinazioni e colpi di sonno. Palas si
è addormentata qualche volta mentre pedalava, mentre quando io stavo per
addormentarmi sulla bici ci fermavamo e dormivamo 10 minuti per strada.
Ricominciare era dura, ma dopo un po’ eravamo a pieno ritmo.”
Leggendo
questa risposta mi viene da ridere, il primo pensiero è di considerare quello
che raccontano Vito e Palas una follia, ma poi subito mi rendo conto che
abbiamo bisogno tutti di sperimentare, ognuno a modo suo, non c’è niente da
giudicare, ogni cosa ha un senso per la persona che la sperimenta. Mi immagino
io stesso su un tandem con un’altra persona che sperimento un’esperienza
simile.
La
postazione in bici era sempre la stessa o vi alternavate avanti dietro? “In principio è possibile cambiare postazione, ma a
costo di cambiare tutte le impostazioni (sellino, manubrio, etc..). Quindi per
praticità io ero sempre nella posizione anteriore di ‘Captain’ e Palas nella
posizione di ‘Stoker’. E poi anche perché quando le discese erano ripide e
pericolose Palas tipicamente chiudeva gli occhi, il che non sarebbe stato molto
sicuro se fosse stata lei alla guida.”
Ancora,
attraverso le descrizioni delle esperienze della coppia Vito e Palas, si può
provare ad immaginare l’esperienza del viaggio, uno davanti e l’altro dietro,
il capitano che spinge e l’altro che si affida con occhi chiusi sperimentando
libertà ma anche forza e coraggio.
C’era
possibilità di rifornirsi facilmente durante il percorso? “Bisognava programmarlo studiando bene la mappa.
Generalmente ci affidavamo a ruscelli per l’acqua (avendo l’accortezza di
filtrarla) mentre invece portavamo acqua in più (fino a 14 litri) nelle parti
più aride. Per il cibo ci rifornivamo nei paesini di passaggio; non si
attraversano grandi città. Quando andava bene trovavamo dei supermercati
normali, ma il più delle volte nel Tour Divide si fa ricorso al cosiddetto
‘gas-station food’, cioè il cibo che si vende nei negozini/mini-market dei
benzinai. Il mio piatto preferito? ‘Beef Ravioli’ in scatola by ‘Chef
Boyardee’, una specialità americana di ispirazione italiana preparata da uno
chef immaginario francese. Lascio immaginare… Ma la cosa buona è che si trovava
in tutti i mini-market dei benzinai.”
Usavate
social o telefono per restare in contatto con famiglia, amici e ricevere
sostegno? “Avevamo un
dispositivo GPS per essere seguiti durante il percorso da amici e famiglia
(durante gli ultimi 10 giorni di gara). Durante la maggior parte del percorso
non c’è copertura telefonica, quindi è stato difficile mantenerci in contatto
con la famiglia, soprattutto nelle parti più remote del percorso. Per lo più
pero eravamo scollegati. Quando c’era segnale mandavamo messaggi di aggiornamenti
utilizzando viber, whatsapp o il sito ufficiale della gara.”
Quasi
scollegati dal mondo esterno social, ma in contatto con i propri bisogni ed
emozioni, la coppia avanza, tanto famigliari ed amici sanno che Vito e Palas
hanno sempre qualcosa di straordinario da inventarsi e sono sicuri per la loro
salute e incolumità, conoscono le loro capacità.
Durante
il percorso c’erano controlli sanitari o cancelli orari? “Nel Tour Divide non ci sono controlli sanitari e/o
cancelli orari. Gli atleti sono completamente indipendenti e responsabili di
controllare le proprie condizioni e idoneità a continuare. Non esiste un tempo
limite ufficiale ma
si considera come cutoff un tempo pari al tempo record (nella categoria di
riferimento) x 2. In generale, un tempo inferiore ai 34 giorni è considerato un
tempo di tutto rispetto. (Per confronto ciclisti che percorrono questo
tracciato senza gareggiare ci mettono 2-3 mesi.)”
Avevate
modo di confrontarvi con gli altri concorrenti o gente lungo il percorso? “Nel Tour Divide si può decidere di partire
con altri partecipanti (il cosiddetto ‘Grand Depart’), oppure si può partire in
un qualsiasi altro momento e cronometrare il proprio tentativo
(possibilmente, ma non obbligatoriamente, facendo uso di un tracker GPS). La
seconda modalità è detta ITT (Individual Time Trial) ed è quella che abbiamo
seguito noi. Quindi eravamo pressoché in solitaria. Abbiamo incontrato altri
ciclisti sul percorso che però non partecipavano alla gara. Per il resto
potevamo passare giorni senza vedere un’anima.”
Com’è
tornare dentro le mura di casa? “È come essere nella gabbia di uno zoo. No, davvero.
Dopo essere stati in totale libertà per 30 giorni, ti senti in totale armonia
con la natura. Riempirti i polmoni di aria pura, avere montagne e alberi che ti
circondano, condividere i sentieri con antilopi e cavalli selvatici, bere acqua
da ruscelli e dormire sotto cieli stellati ti fa sentire in un paradiso
terrestre. Dopo questo le mura di casa ti stanno un po’ strette.”
Come
state ora dopo la lunga impresa sportiva? “Tristi che sia finita ma contenti di avercela fatta.”
Bella
esperienza, grazie Vito e Palas.
Sto
continuando ad approfondire il mondo degli ultrarunner sia in modo diretto partecipando ad
alcune gare, sia attraverso interviste, racconti e testimonianze da parte di
atleti.
Riporto l’esperienza raccontata dalla coppia Palas Policroniades e Vito Rubino, dal Canada al Messico in mountain bike tandem per 30 giorni, nel libro “Lo sport delle donne. Donne sempre più determinate, competitive e resilienti” – 8 ottobre 2018, di Matteo Simone (Autore), Formato Kindle 3,49 €, Copertina flessibile 11,90 €.
Questo articolo è acquistabile con il Bonus Cultura e/o Carta del Docente quando venduto e spedito da Amazon.
Vito è menzionato nei libri:
“Maratoneti e ultrarunner. Aspetti psicologici di una sfida”, edito da Edizioni Psiconline.
“Cosa spinge le persone a fare sport?”, edito da Aracne Editrice.
Matteo SIMONE
Psicologo, Psicoterapeuta Gestalt ed EMDR
Nessun commento:
Posta un commento