(a
cura di Stefano Severoni)
Sulle pagine di facebook immagini e brevi commenti sull’esperienza di
Matteo Simone in Kenia nel mese di gennaio 2018. Com’è stata articolata la tua
giornata in terra keniana? Raccontaci nel dettaglio.
La
sera prima ci si organizzava per il giorno successivo, in genere appuntamento
alle 6.30 con i pacer keniani per un allenamento a piccoli gruppi in base alla
distanza e velocità, si correva in genere dai 12 ai 20 km, con ritmi dai più
veloci e in progressioni per gli atleti più forti, mentre più lenti per me e
altri e anche alcune donne che andavamo più piano. Si tornava, stretching,
colazione e poi liberi a bordo piscina oppure passeggiate varie. Era prevista
merenda sia nella mattinata che nel pomeriggio. Nel pomeriggio inoltre erano
previste a volte sessioni di addominali a cura di Timo Limo o Richard, molto
dure e faticose, soprattutto il motto di Richard era: «No pain no gain».
Comunque insieme ci divertivamo anche ed erano presenti tanti campioni lì con
noi. Altri pomeriggi facevamo tecnica di corsa e andature a cura di Timo Limo
sulla pista in tartan di Lorna Kiplagat, oppure visite a scuole, incontri con
allenatori di pomeriggio o sera, incontri e allenamenti con atleti di livello
mondiali come Wilson Kipsang, che abbiamo incontrato nella palestra e ci ha
chiesto se l’indomani mattina ci allenavamo insieme, e così è stato ha fatto: 5
minuti di ritardo, ma alle 6.35 si è presentato lui che ha 2h03’13” in
maratona, con un altro atleta che ha di personale in maratona 2h07’. Inoltre
erano previsti allenamenti nella pista di Tambach a 12 km di distanza dal
nostro centro, una pista in terra battuta “calpestata” da tanti fenomeni
keniani, e noi insieme a loro. Inoltre il fartlek del giovedì mattina alle 9.00
si partiva tutti insieme, eravamo centinaia, ma loro erano fortissimi,
variazioni di ritmo sotto i 3’ al km. Inoltre erano previste visite a ospedali,
artigianato locale, altri camp di atletica poveri e meno poveri.
Quello
che più mi ha interessato e che mi è rimasto nel cuore è stato la loro
semplicità e solarità, i loro sguardi, il loro contatto, i loro saluti: loro,
quando t’incontrano, ti guardano, ti salutano, ti danno la mano, è diverso da
qui da noi dove tutti sono intenti, me compreso, a guardare il cellulare, si
cammina senza guardare chi incrociamo, siamo soli con noi stessi. Inoltre mi ha
interessato la povertà, ma una povertà umile e gentile, una non ricchezza che
non guasta, una povertà fiera. Mi hanno interessato i tanti bambini e ragazzi
che incontravano, che andavano a scuola per tanta strada e quando ti vedevano
correre si univano a me, oppure quando passavo mi chiedevano: «Come stai? How
are you? Habari, Jambo».
Secondo il dott. Enrico Arcelli esistono più fattori che determinano il
successo keniano in atletica leggera: 1) motivazioni; 2) altura in cui vivono;
3) favorevole rapporto peso-altezza; 4) scarsa tendenza a infortunarsi; 5)
elasticità muscolare; 6) stile di vita, ecc. Confermi? Cosa ne pensi?
Credo
che sono tutti fattori che contribuiscono alla loro performance, ma non i soli;
fondamentale è il loro modo di allenarsi insieme, formano treni di allenamento,
li vedi passare come mandrie, tra i tanti poi emerge il più forte, viene visto,
osservato, corteggiato e portato a gareggiare nel mondo. Inoltre loro curano
tanti aspetti, non solo la corsa, ma anche gli addominali, la palestra, la
sauna, la fisioterapia, almeno quelli che se lo possono permettere. Inoltre le
loro 4 regole sono: allenarsi, mangiare, dormire e poi socializzare. L’allenamento,
oltre i lavori in pista, è fondamentalmente il fartlek che gli dà il ritmo di
corsa, l’entusiasmo, la voglia di competere con tutto il mondo. Inoltre, oltre
l’altezza di 2˙400 s.l.m., i percorsi sono molto impegnativi, sterrato su
percorsi collinari, loro cercano tanti stimoli. Altro aspetto è il confrontarsi
con i più forti, è lì che vanno i più forti atleti ad allenarsi e i più
competenti allenatori ad allenare, più ti confronti con gli atleti del mondo e
più apprendi. Inoltre il mangiare è fondamentale, i prodotti della terra sono
genuini e nutrienti, la frutta ricchissima di vit. C e minerali, tanta papaya,
mango, ananas, banane.
Campioni si nasce o si diventa?
Bisogna
prima nascere campione e poi diventarlo, ci vogliono i geni giusti, ma non basta,
non tutti coloro che hanno il corredo per diventare campioni poi riescono, c’è
bisogno del contesto che ti coinvolge, che crede in te, e poi te stesso devi
essere motivato, ci devi credere, devi trovare stimoli giusti, devi essere
resiliente, devi sapere aspettare il momento giusto, devi essere persistente,
devi essere amichevole, saperti allenare da solo e anche con gli altri, devi
saper ascoltare, e saper chiedere anche.
Resilienti si nasce o si diventa?
Resilienti
basta respirare all’inizio, non ci vogliono tante doti, e poi devi saper
seguire treni giusti, devi capire cosa apprendere dagli educatori, devi
prendere e dare, devi soffrire un po’ ma non troppo, devi saper costruire la
tua personalità, le tue mete e i tuoi obiettivi, avere piano B e piano C,
essere amichevole, aiutare e farsi aiutare, fidarsi e affidarsi.
Ritornando a Roma ora dovrai nuovamente fare i conti con una città
sporca, pavimentazione dissestata, mezzi pubblici poco efficienti, malumore
generale, ecc. In Kenya era la stessa cosa?
Purtroppo anche in Kenya stanno
arrivando dal resto del mondo ad asfaltare e così da una parte aumenta il
progresso e la velocità dei mezzi di trasporto e dall’altra parte si perde la
naturalezza e la lentezza della quotidianità. Bisogna focalizzarsi sul momento
presente e nel contesto dove siamo, lì è diverso quando sei lì, qui è diverso,
devi coltivare il tuo orto capire quello che puoi fare e come lo puoi fare con
quello che hai a disposizione cercando di apportare migliorie nella tua vita,
nelle tu amicizia senza stravolgere la tua vita, con il cuore rivolto in Kenya
ma il fisico a Roma riprendendo la bicicletta con nuove consapevolezze,
incontrando gente guardandole negli occhi, con forze nuove che vengono dal
cuore e dalla mente.
Melanie Joy nel suo libro Perché amiamo i cani, mangiamo i maiali e
indossiamo le mucche, ha stigmatizzato l’ambiguo rapporto uomo-animali in
Occidente. Lì in Africa è la stessa cosa? La gente ha il tempo di andare al
circo, allo zoo, all’acquario, ove certo gli animali non vivono in condizioni
naturali? Indossano piumini e pellicce, pur sempre frutto di violenza a danno
di esseri senzienti?
Lì tutto ciò non esiste, non esistono circo,
zoo, acquario, è bello vedere gli animali per strada, vedere gli artigiani che
lavorano per strada il legname, che aggiustano attrezzi, che vendono frutta
colorata e profumata, sono coperti ma di vestiti semplici e colorati.
Che tipo di alimentazione segue il keniano medio?
Più che altro cereali, verdure e frutta, poca
carne, l’ugali è sempre presente, una sorta di polenta, inoltre buonissimi i
centrifugati di verdura allo zenzero, buonissime le diverse patate e tanta
frutta a volontà.
Tuoi prossimi impegni sportivi ed esistenziali?
Ho già fatto la Corsa di Miguel, di ritorno da
Iten e ho fatto una prestazione migliore di circa 2’ rispetto a prima di
partire: andavo leggero, agile e in progressione con tanto entusiasmo. Prossimi
impegni le gare con la società La Sbarra e I Grilli Runners e poi sto
aspettando la mia 50^ maratona/ultra, mi piacerebbe fare la 6 ore della Reggia,
e anche 12 e 24 ore, mi piacerebbe fare quella di Torino, e poi non escluderei
la Nove Colli Running 202,4 km, anche qualche gara in bicicletta con il Gruppo
di ciclismo di Podistica Solidarietà e non si sa mai riprovare un Ironman se
riprendo a nuotare, attualmente faccio anche Tai chi e yoga. E la cosa
importante è che adesso faccio parte del team Kenya Italia e volerò spesso in
Kenya come accompagnatore e mental coach di gruppi italiani. La prossima
partenza il 15 marzo sempre per 13 notti, unitevi a noi! Inoltre continuo a
scrivere articoli e libri sulla psicologia dello sport. L’ultimo uscito è
Sport, benessere e performance.
Stefano Severoni
https://www.libreriauniversitaria.it/libri-autore_simone+matteo-matteo_simone.htm
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