Io sono diventato il passo lucido
Matteo SIMONE
Considerato che siamo in pausa dalla corsa per eccezionali, imprevedibili e straordinari motivi, invito a leggere il libro, scritto a 4 mani da un super atleta di corsa di lunghissime distanze Daniele Baranzini e dal sottoscritto, dal titolo “Ultramaratoneta. Un'analisi interminabile”, Aras Edizioni, 2016.
Riporto alcuni passaggi che possono
sembrare alquanto bizzarri ma d’altronde questo è il mondo delle ultramaratone
e chi ne fa parte ne è consapevole più o meno, i non addetti ai lavori non
comprendono e forse possono criticare e giudicare ma ognuno sa il fatto suo e
ha le proprie modalità di essere al mondo.
Daniele sembra essere capace di
disintegrarsi e di ricomporsi, ha elevate capacità di dissociazione e di
ricontattare la propria persona fisica e mentale, sembra essere diventato uno
sciamano grazie ai suoi passi lucidi sempre più numerosi e rivolti verso l’ignoto.
Non avevo mai provato una tale
dissipazione fisica, mista ad una strana sensazione di corpo staccato dalla
testa… che si muoveva autonomamente. Era come se stessi assistendo al movimento
di un corpo estraneo… non il mio!
Daniele continua a perdersi per
ritrovarsi, ha la consapevolezza che il corpo sa, che può scollegarsi e mettere
il pilota automatico ed in questo modo può allontanarsi dal mondo razionale e
terreno e ritornarci dopo chilometri e chilometri di fughe.
Poi, senza sapere come, sono arrivato ad
Angera, davanti alla porta di casa. Ero tornato al punto che avevo lasciato
quattro ore e trentacinque minuti prima. Ero piegato, ma in piedi... senza
fato... senza lacrime... nel vuoto più profondo... un profondo muto ed
enorme... un vuoto fatto di 50 km corsi d’un fato. Fino a questa mattina non
avevo mai fatto una corsa oltre i 6 km. Mai una 'mezza', né una maratona. Ho sempre
immaginato una maratona come qualcosa di assurdo e impossibile. Non ho mai
capito cosa significasse correre. Ora, dopo aver corso ininterrottamente per 50
km, ne so ancora di meno.
Si stupisce Daniele ma non più di tanto,
sa di aver fatto qualcosa di inusuale, di incomprensibile, ma in qualche modo
sa che lui poteva.
Sento solo che una corsa lunga, porta una
infinita curiosità. Ti travolge.
Pagg. 26-27
Mi trovo in un’austera meeting room di un
hotel a cinque stelle in centro a Dublino, poco distante da Merrion Square.
Sono le tre di pomeriggio e sono ad un meeting di uno dei tanti progetti di
lavoro. Ascolto, intervengo, mi diverto, mi annoio, mi appassiono. Il mio
lavoro insomma.
Poi l’idea. Controllo al computer le
distanze da Dublino per una destinazione sconosciuta. Ci sono tanti nomi e località che attirano la mia
attenzione. Lascio scorrere il dito sul display del mio portatile e seguo una
strada verso Sud. “Ecco la destinazione!”, penso mentre con un sorriso
inebetito faccio finta di prestare attenzione ad un diverbio tra due colleghi.
Da quel momento per circa 15 minuti, mi perdo nelle strade segnate sul sito web
“Michelin” e “Google Maps”. Il tragitto è poco più di 60 km, correrò da Dublino
a Greystones dopo questo meeting di lavoro…
Ecco come succede, l’ultramaratoneta ha la
certezza che in qualche modo riuscirà ad allenarsi, con la pioggia o con
qualsiasi altra condizione atmosferica. Persino se si sta ad una cerimonia:
alcuni maratoneti mi raccontano che portano le scarpe con sé e riescono a fare una
fuga per allenarsi. Come Daniele durante questa riunione di lavoro che lo
coinvolge, si appassiona, dà il suo contributo, insomma riesce ad essere
performante al lavoro ma solo perché sa che poi avrà a sua disposizione il
tempo necessario per essere libero nella sua corsa meditativa, estrema ma
lucida, che gli permetterà di sentire aria in faccia, freddo, caldo, fame, sete
che saprà gestire qualsiasi situazione e condizione, che lo metterà alla prova
ma ogni volta riuscirà a restare in piedi, salvo, nella stanza di hotel, pronto
al lavoro, a casa, in famiglia, con amici, con dentro di sé le sue sensazioni
particolari di piacevolezza che non potrà condividere con tutti perché non è
compreso da tutti. Chi non pratica non sa che significa, è solo pazzia, una
sorta di diversità incompresa, ma per Daniele come tanti altri Ultrarunner è
una salvezza.
Pagg. 28-29
La corsa a piedi ti porta alla scoperta di
luoghi nuovi, sensazioni, ti porta a perderti nei labirinti ambientali ma anche
nei labirinti interni della mente, della propria storia personale.
Nella caotica baraonda di questi pensieri
e altre fantasie corro i primi 15 km. Tutto sembra “amichevole”, piacevole,
bello. La strada, in particolare la Stillorgan Road, e poi la N11, mi regalano
sensazioni e ricordi che si mischiano in un singolo panorama. Anche le strade,
così diverse dalle nostre in Italia mi suggeriscono nuove idee, nuove emozioni,
intense.
Il passaggio per la cittadina di Dun
Leary, poi il profilo delle colline e il verde dei prati ovunque attorno alle mie
gambe, si accatastano come memorie veloci. Le piccole cittadine che percorro
sono così vivaci e poi sulle strade più trafficate vedo per terra, sul bordo della
strada, piccoli papaveri rossi. Il primo che ho visto mi ha fatto pensare
positivo, mi ha dato una mano a riprendere le forze… semplicemente perché era
bello da vedere.
Correndo si riesce a fare una sorta di
reportage mentale dei posti, luoghi, culture altre, tutto resta impresso nella
mente senza bisogno di stampare, è tutto lucido e fluido, scorre la vita
attraverso luoghi e pensieri che ti rendono leggero e senza fatica per farti
andare avanti nella tua convinzione. Come un flusso, come il flow che sperimentano
molti sportivi di performance, è una sorta di trance tra l’essere ed il non
essere, ricordare e dimenticare, pesantezza e leggerezza, freddo e caldo, ma
tutto passa, c’è la sicurezza che ogni momento è diverso da quello precedente e
da quello successivo. L’alternarsi del passo poi aiuta ad un’elaborazione dei
propri pensieri e delle proprie sensazioni corporee per un benessere personale
che ti dà sollievo. È come ordinare gli elementi della tua vita, metter le cose
al posto giusto correndo.
Pag. 33-34
Contattando il limite, l’estremo, è come
annullarsi, è come drogarsi e sperimentare sensazioni strane, al limite dell’esistenza
e della non esistenza. Quello che molti vogliono sperimentare è il perdersi
nella corsa, l’annullarsi. Ma è importante poi sentire il proprio corpo, i
propri muscoli, è importante instaurare una sorta di dialogo con loro,
immaginare di chiedergli come va? Come stanno? Cos’è possibile fare per loro,
per recuperare delle fatiche fatte? Una sorta di comprensione ed alleanza per
far sì che la prossima volta siano sempre pronti e disponibili per
riaccompagnare l’ultrarunner nelle sue follie di corse prolungate in condizioni
estreme.
Quando entro all’hotel erano le 23.15… e
23 secondi, ero partito alle 16.30 di pomeriggio, 7 ore e 15 minuti di corsa
senza stop… per me era come se fossero passati tre giorni. Un infinito mondo di
luci, vento, abbagli, pensieri, gambe, liquidi, minacce, dolori, sorprese,
illuminazioni, esperienze al limite del sensoriale, momenti di grandezza
inaudita e momenti di lucido sfinimento… tragedie, conflitti e liberazioni che
ti passano attraverso il corpo come una nuvola attraverso il cielo. I muscoli
ti parlano una lingua che assomiglia ad un ammiccamento continuo… la pancia
implora acqua, sale e34 Ultramaratoneta: un’analisi interminabile mangiare…
mentre la testa dice di andare avanti…è una sinfonia che viene bene a tutti
(chi corre) per i primi 30 o 40 km… poi la sinfonia perde colpi…per qualcuno la
sinfonia si interrompe brevemente e la run ne risente, tu ne risenti. La
sinfonia diventa lentamente un concerto di musica classica mal diretta, a
momenti una band rock, in altri momenti il ritmo diventa heavy metal… fino a un
organo da chiesa… un singolo suono, lento… come una zattera in mezzo
all’oceano. E quello, generalmente, è il momento della morte fisica della
corsa. Non si ha più niente da dare, si vacilla e ci si sposta solo grazie
all’immaginazione, la volontà di fare l’ultimo passo di corsa, uno dietro
l’altro.
Daniele parla di morte fisica, è quello
che succede a tanti ultrarunner che competono per distanze superiori ai 200 km
come “La nove colli running”, il lago di Balaton, la 'Spartathlon', la forza
mentale riesce a controllare il corpo, la carrozzeria, i muscoli ma è
importante sempre avere la consapevolezza di quello che si sta facendo,
monitorarsi bene per comprendere l’eventualità di stare esagerando, è una linea
sottile. Come dice Daniele è importante avere un passo lucido e illuminato che
ti faccia comprendere ogni tanto quello che stai facendo, come stai andando,
dove stai andando.
Pag. 105-106
Dopo la gara sono svenuto per qualche
secondo. Quando mi sono rialzato ero stordito. Ho chiesto immediatamente un aiuto medico
all’organizzazione. E di fatto è arrivato immediatamente un medico che mi ha
detto: “Do not worry, you’re just dehydrated, keep some salt under the tounge”.
Non riuscivo a camminare bene, ero lento.
Questo era abbastanza normale pensando di aver corso 24 ore. Ma evidentemente
c’era qualcosa di più.
'Andiamo alle premiazioni', disse qualcuno
della squadra. Mentre aspettavamo per il podio a squadre, ho incominciato a
vomitare e l’odore non era normale, sentivo odore di ammoniaca nelle mie narici,
un odore forte, intenso di ammoniaca. Non era un buon segno.
Sul podio per il nostro bronzo a squadre
ho chiesto “ragazzi, tenetemi su, sto cadendo”. Se non mi avessero sorretto
sarei caduto come un peso morto. Mentre tutti applaudivano io mi defilavo
dietro e scendevo dal podio appoggiandomi per terra.
Dopo le premiazioni siamo tornati al
villaggio atleti, ero verde in faccia. E non riuscivo più a camminare. Dopo una
notte passata cercando di vomitare e vomitando della roba scura ci siamo
diretti in aeroporto. Dovevo farmi sorreggere. La situazione era fuori
controllo ormai, tanto che la Ryanair mi concesse l’utilizzo di un ascensore
speciale per scendere all’arrivo a Bergamo; non mi fecero pagare perché dovevo
fargli veramente pena.
Daniele vomita tanto, una sorta di
liberazione, metaforicamente vuole svuotarsi di quelle che ritiene sue colpevolezze,
vorrebbe che tutto ciò non fosse accaduto, vorrebbe allontanare le sue colpe,
in un certo modo espellere i suoi errori. Ma tutto fa parte di lui, la gioia, le
colpe, l’autoefficacia, il fallimento, la resilienza, il rischio, l’esistenza,
la morte eventuale.
A Bergamo finalmente entro all’ospedale e
dopo 2 giorni dalla gara faccio un esame del sangue.
'Stai rischiando di morire', queste le
parole del nefrologo. Io cercavo di capire cosa stesse succedendo ma
evidentemente non ero più lucido. Ero un mostro di morte nera, ecco cosa ero
diventato.
Dopo una serie di decisioni e soluzioni
allucinate di cui sono il singolo responsabile, Francesco mi accompagna da
Bergamo a casa sul Lago Maggiore. Puro delirio e dolore non comprensibile, un
dolore interno misto ad un caldo strano, ero sempre più in crisi…
Arrivato di notte a casa decido con mia
moglie e Francesco di aspettare la notte e recarmi subito dopo all’ospedale ad Angera.
In questi momenti ti accorgi di avere
qualcuno vicino che soffre per te, che si è sempre preoccupato per te, che è
stato sempre in apprensione, che si è sempre fidato di te, ma che pensava che
prima o poi avresti rischiato di farti del male. Ma la vita per la corsa ha una
forza maggiore di qualsiasi cosa ed ora sei felice di sapere di essere comunque
amato a prescindere, di avere qualcuno sempre pronto ad intervenire a
prescindere, che i legami sono importanti senza dimostrare di valere per forza
o resistenza.
Pag. 117-118
Daniele riemerge mille volte dalle ceneri,
prende tanti spaventi ma non è mai l’ultima volta, leggendo di lui sembra di
stare in una sorta di film, in una sorta di fantasia, ci si chiede se sia
possibile una vita in questo modo, tante, mille domande sull’esistenza umana. Ancora
ha voglia di raccontare Daniele e sicuramente a questo libro ne seguiranno
altri, perché Daniele vuole raccontare un po’ per volta, piace lasciare un po’
di suspense, piace rivelarsi un po’ per volta agli altri ma anche a sé stesso, piace scoprirsi un po’
per volta, è come se avesse paura di consumarsi a scoprirsi, a rivelarsi, è come
se si spogliasse di sé stesso a rivelare le sue esperienze, sensazioni, ma
resta sempre lucido a sé stesso, ecco come continua la sua storia infinita.
Sono riemerso dalla croce di Steenberghen
nel 2013 come un mendicante si rialza dall’asfalto della strada. All’inizio ti
senti tradito, poi ti senti solo, pieno di incertezze. Poi lentamente il sangue
torna a scendere verso il basso. I piedi si muovono, e le vene si gonfiano. Si
riempiono come i siluri di un sommergibile pronto ad attaccare ancora fino alla
fine.
E così risorgi in un certo senso. Riprendi
come se avessi vissuto due volte, e la seconda volta, questa, il mondo è
diventato molto più grande, e le strade sono incredibilmente più belle e
larghe.
Sconsigliato da tutti di proseguire la mia
corsa, ho fatto più risultati nel 2014 e 2015 nelle ultramaratone, nel
mezzofondo e anche nella velocità pura. Molto di più che nei precedenti anni. La
corsa si è snaturata da ultramaratona pura a corsa di enormi altri generi e
declinazioni.
Passo dai 400 metri alle 24 ore, e in
mezzo mi assaporo 3.000 o 5.000 indoor, vincendo a volte, piazzandomi bene in
altre.
Io sono diventato il passo lucido.
Daniele è l’essenza del movimento, appare
una persona invisibile che non fatica nel movimento, che trascende la fatica,
che si ricarica con il gesto atletico, infinitamente in movimento.
Questa è la storia di uno di noi.
Matteo SIMONE
Psicologo, Psicoterapeuta
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