sabato 21 marzo 2020

‎Daniele Baranzini‎: Correte dentro di voi...siate sempre lucidi

Io sono diventato il passo lucido
Matteo SIMONE 

Considerato che siamo in pausa dalla corsa per eccezionali, imprevedibili e straordinari motivi, invito a leggere il libro, scritto a 4 mani da un super atleta di corsa di lunghissime distanze Daniele Baranzini e dal sottoscritto, dal titolo “Ultramaratoneta. Un'analisi interminabile”, Aras Edizioni, 2016.

Riporto alcuni passaggi che possono sembrare alquanto bizzarri ma d’altronde questo è il mondo delle ultramaratone e chi ne fa parte ne è consapevole più o meno, i non addetti ai lavori non comprendono e forse possono criticare e giudicare ma ognuno sa il fatto suo e ha le proprie modalità di essere al mondo.
Pagg. 22-23
Daniele sembra essere capace di disintegrarsi e di ricomporsi, ha elevate capacità di dissociazione e di ricontattare la propria persona fisica e mentale, sembra essere diventato uno sciamano grazie ai suoi passi lucidi sempre più numerosi e rivolti verso l’ignoto.

Non avevo mai provato una tale dissipazione fisica, mista ad una strana sensazione di corpo staccato dalla testa… che si muoveva autonomamente. Era come se stessi assistendo al movimento di un corpo estraneo… non il mio!

Daniele continua a perdersi per ritrovarsi, ha la consapevolezza che il corpo sa, che può scollegarsi e mettere il pilota automatico ed in questo modo può allontanarsi dal mondo razionale e terreno e ritornarci dopo chilometri e chilometri di fughe.

Poi, senza sapere come, sono arrivato ad Angera, davanti alla porta di casa. Ero tornato al punto che avevo lasciato quattro ore e trentacinque minuti prima. Ero piegato, ma in piedi... senza fato... senza lacrime... nel vuoto più profondo... un profondo muto ed enorme... un vuoto fatto di 50 km corsi d’un fato. Fino a questa mattina non avevo mai fatto una corsa oltre i 6 km. Mai una 'mezza', né una maratona. Ho sempre immaginato una maratona come qualcosa di assurdo e impossibile. Non ho mai capito cosa significasse correre. Ora, dopo aver corso ininterrottamente per 50 km, ne so ancora di meno.

Si stupisce Daniele ma non più di tanto, sa di aver fatto qualcosa di inusuale, di incomprensibile, ma in qualche modo sa che lui poteva.

Sento solo che una corsa lunga, porta una infinita curiosità. Ti travolge.
Pagg. 26-27
Mi trovo in un’austera meeting room di un hotel a cinque stelle in centro a Dublino, poco distante da Merrion Square. Sono le tre di pomeriggio e sono ad un meeting di uno dei tanti progetti di lavoro. Ascolto, intervengo, mi diverto, mi annoio, mi appassiono. Il mio lavoro insomma.
Poi l’idea. Controllo al computer le distanze da Dublino per una destinazione sconosciuta. Ci sono tanti nomi e località che attirano la mia attenzione. Lascio scorrere il dito sul display del mio portatile e seguo una strada verso Sud. “Ecco la destinazione!”, penso mentre con un sorriso inebetito faccio finta di prestare attenzione ad un diverbio tra due colleghi. Da quel momento per circa 15 minuti, mi perdo nelle strade segnate sul sito web “Michelin” e “Google Maps”. Il tragitto è poco più di 60 km, correrò da Dublino a Greystones dopo questo meeting di lavoro…

Ecco come succede, l’ultramaratoneta ha la certezza che in qualche modo riuscirà ad allenarsi, con la pioggia o con qualsiasi altra condizione atmosferica. Persino se si sta ad una cerimonia: alcuni maratoneti mi raccontano che portano le scarpe con sé e riescono a fare una fuga per allenarsi. Come Daniele durante questa riunione di lavoro che lo coinvolge, si appassiona, dà il suo contributo, insomma riesce ad essere performante al lavoro ma solo perché sa che poi avrà a sua disposizione il tempo necessario per essere libero nella sua corsa meditativa, estrema ma lucida, che gli permetterà di sentire aria in faccia, freddo, caldo, fame, sete che saprà gestire qualsiasi situazione e condizione, che lo metterà alla prova ma ogni volta riuscirà a restare in piedi, salvo, nella stanza di hotel, pronto al lavoro, a casa, in famiglia, con amici, con dentro di sé le sue sensazioni particolari di piacevolezza che non potrà condividere con tutti perché non è compreso da tutti. Chi non pratica non sa che significa, è solo pazzia, una sorta di diversità incompresa, ma per Daniele come tanti altri Ultrarunner è una salvezza.
Pagg. 28-29
La corsa a piedi ti porta alla scoperta di luoghi nuovi, sensazioni, ti porta a perderti nei labirinti ambientali ma anche nei labirinti interni della mente, della propria storia personale.

Nella caotica baraonda di questi pensieri e altre fantasie corro i primi 15 km. Tutto sembra “amichevole”, piacevole, bello. La strada, in particolare la Stillorgan Road, e poi la N11, mi regalano sensazioni e ricordi che si mischiano in un singolo panorama. Anche le strade, così diverse dalle nostre in Italia mi suggeriscono nuove idee, nuove emozioni, intense.
Il passaggio per la cittadina di Dun Leary, poi il profilo delle colline e il verde dei prati ovunque attorno alle mie gambe, si accatastano come memorie veloci. Le piccole cittadine che percorro sono così vivaci e poi sulle strade più trafficate vedo per terra, sul bordo della strada, piccoli papaveri rossi. Il primo che ho visto mi ha fatto pensare positivo, mi ha dato una mano a riprendere le forze… semplicemente perché era bello da vedere.

Correndo si riesce a fare una sorta di reportage mentale dei posti, luoghi, culture altre, tutto resta impresso nella mente senza bisogno di stampare, è tutto lucido e fluido, scorre la vita attraverso luoghi e pensieri che ti rendono leggero e senza fatica per farti andare avanti nella tua convinzione. Come un flusso, come il flow che sperimentano molti sportivi di performance, è una sorta di trance tra l’essere ed il non essere, ricordare e dimenticare, pesantezza e leggerezza, freddo e caldo, ma tutto passa, c’è la sicurezza che ogni momento è diverso da quello precedente e da quello successivo. L’alternarsi del passo poi aiuta ad un’elaborazione dei propri pensieri e delle proprie sensazioni corporee per un benessere personale che ti dà sollievo. È come ordinare gli elementi della tua vita, metter le cose al posto giusto correndo.
Pag. 33-34
Contattando il limite, l’estremo, è come annullarsi, è come drogarsi e sperimentare sensazioni strane, al limite dell’esistenza e della non esistenza. Quello che molti vogliono sperimentare è il perdersi nella corsa, l’annullarsi. Ma è importante poi sentire il proprio corpo, i propri muscoli, è importante instaurare una sorta di dialogo con loro, immaginare di chiedergli come va? Come stanno? Cos’è possibile fare per loro, per recuperare delle fatiche fatte? Una sorta di comprensione ed alleanza per far sì che la prossima volta siano sempre pronti e disponibili per riaccompagnare l’ultrarunner nelle sue follie di corse prolungate in condizioni estreme.

Quando entro all’hotel erano le 23.15… e 23 secondi, ero partito alle 16.30 di pomeriggio, 7 ore e 15 minuti di corsa senza stop… per me era come se fossero passati tre giorni. Un infinito mondo di luci, vento, abbagli, pensieri, gambe, liquidi, minacce, dolori, sorprese, illuminazioni, esperienze al limite del sensoriale, momenti di grandezza inaudita e momenti di lucido sfinimento… tragedie, conflitti e liberazioni che ti passano attraverso il corpo come una nuvola attraverso il cielo. I muscoli ti parlano una lingua che assomiglia ad un ammiccamento continuo… la pancia implora acqua, sale e34 Ultramaratoneta: un’analisi interminabile mangiare… mentre la testa dice di andare avanti…è una sinfonia che viene bene a tutti (chi corre) per i primi 30 o 40 km… poi la sinfonia perde colpi…per qualcuno la sinfonia si interrompe brevemente e la run ne risente, tu ne risenti. La sinfonia diventa lentamente un concerto di musica classica mal diretta, a momenti una band rock, in altri momenti il ritmo diventa heavy metal… fino a un organo da chiesa… un singolo suono, lento… come una zattera in mezzo all’oceano. E quello, generalmente, è il momento della morte fisica della corsa. Non si ha più niente da dare, si vacilla e ci si sposta solo grazie all’immaginazione, la volontà di fare l’ultimo passo di corsa, uno dietro l’altro.

Daniele parla di morte fisica, è quello che succede a tanti ultrarunner che competono per distanze superiori ai 200 km come “La nove colli running”, il lago di Balaton, la 'Spartathlon', la forza mentale riesce a controllare il corpo, la carrozzeria, i muscoli ma è importante sempre avere la consapevolezza di quello che si sta facendo, monitorarsi bene per comprendere l’eventualità di stare esagerando, è una linea sottile. Come dice Daniele è importante avere un passo lucido e illuminato che ti faccia comprendere ogni tanto quello che stai facendo, come stai andando, dove stai andando.
Pag. 105-106

Dopo la gara sono svenuto per qualche secondo. Quando mi sono rialzato ero stordito. Ho chiesto immediatamente un aiuto medico all’organizzazione. E di fatto è arrivato immediatamente un medico che mi ha detto: “Do not worry, you’re just dehydrated, keep some salt under the tounge”.
Non riuscivo a camminare bene, ero lento. Questo era abbastanza normale pensando di aver corso 24 ore. Ma evidentemente c’era qualcosa di più.
'Andiamo alle premiazioni', disse qualcuno della squadra. Mentre aspettavamo per il podio a squadre, ho incominciato a vomitare e l’odore non era normale, sentivo odore di ammoniaca nelle mie narici, un odore forte, intenso di ammoniaca. Non era un buon segno.
Sul podio per il nostro bronzo a squadre ho chiesto “ragazzi, tenetemi su, sto cadendo”. Se non mi avessero sorretto sarei caduto come un peso morto. Mentre tutti applaudivano io mi defilavo dietro e scendevo dal podio appoggiandomi per terra.
Dopo le premiazioni siamo tornati al villaggio atleti, ero verde in faccia. E non riuscivo più a camminare. Dopo una notte passata cercando di vomitare e vomitando della roba scura ci siamo diretti in aeroporto. Dovevo farmi sorreggere. La situazione era fuori controllo ormai, tanto che la Ryanair mi concesse l’utilizzo di un ascensore speciale per scendere all’arrivo a Bergamo; non mi fecero pagare perché dovevo fargli veramente pena.

Daniele vomita tanto, una sorta di liberazione, metaforicamente vuole svuotarsi di quelle che ritiene sue colpevolezze, vorrebbe che tutto ciò non fosse accaduto, vorrebbe allontanare le sue colpe, in un certo modo espellere i suoi errori. Ma tutto fa parte di lui, la gioia, le colpe, l’autoefficacia, il fallimento, la resilienza, il rischio, l’esistenza, la morte eventuale.

A Bergamo finalmente entro all’ospedale e dopo 2 giorni dalla gara faccio un esame del sangue.
'Stai rischiando di morire', queste le parole del nefrologo. Io cercavo di capire cosa stesse succedendo ma evidentemente non ero più lucido. Ero un mostro di morte nera, ecco cosa ero diventato.
Dopo una serie di decisioni e soluzioni allucinate di cui sono il singolo responsabile, Francesco mi accompagna da Bergamo a casa sul Lago Maggiore. Puro delirio e dolore non comprensibile, un dolore interno misto ad un caldo strano, ero sempre più in crisi…
Arrivato di notte a casa decido con mia moglie e Francesco di aspettare la notte e recarmi subito dopo all’ospedale ad Angera.

In questi momenti ti accorgi di avere qualcuno vicino che soffre per te, che si è sempre preoccupato per te, che è stato sempre in apprensione, che si è sempre fidato di te, ma che pensava che prima o poi avresti rischiato di farti del male. Ma la vita per la corsa ha una forza maggiore di qualsiasi cosa ed ora sei felice di sapere di essere comunque amato a prescindere, di avere qualcuno sempre pronto ad intervenire a prescindere, che i legami sono importanti senza dimostrare di valere per forza o resistenza.
Pag. 117-118
Daniele riemerge mille volte dalle ceneri, prende tanti spaventi ma non è mai l’ultima volta, leggendo di lui sembra di stare in una sorta di film, in una sorta di fantasia, ci si chiede se sia possibile una vita in questo modo, tante, mille domande sull’esistenza umana. Ancora ha voglia di raccontare Daniele e sicuramente a questo libro ne seguiranno altri, perché Daniele vuole raccontare un po’ per volta, piace lasciare un po’ di suspense, piace rivelarsi un po’ per volta agli altri ma anche a sé stesso, piace scoprirsi un po’ per volta, è come se avesse paura di consumarsi a scoprirsi, a rivelarsi, è come se si spogliasse di sé stesso a rivelare le sue esperienze, sensazioni, ma resta sempre lucido a sé stesso, ecco come continua la sua storia infinita.

Sono riemerso dalla croce di Steenberghen nel 2013 come un mendicante si rialza dall’asfalto della strada. All’inizio ti senti tradito, poi ti senti solo, pieno di incertezze. Poi lentamente il sangue torna a scendere verso il basso. I piedi si muovono, e le vene si gonfiano. Si riempiono come i siluri di un sommergibile pronto ad attaccare ancora fino alla fine.
E così risorgi in un certo senso. Riprendi come se avessi vissuto due volte, e la seconda volta, questa, il mondo è diventato molto più grande, e le strade sono incredibilmente più belle e larghe.
Ti torna una voglia di movimento come se il Big Bang ritornasse all’istante iniziale.
Sconsigliato da tutti di proseguire la mia corsa, ho fatto più risultati nel 2014 e 2015 nelle ultramaratone, nel mezzofondo e anche nella velocità pura. Molto di più che nei precedenti anni. La corsa si è snaturata da ultramaratona pura a corsa di enormi altri generi e declinazioni.
Passo dai 400 metri alle 24 ore, e in mezzo mi assaporo 3.000 o 5.000 indoor, vincendo a volte, piazzandomi bene in altre.
Io sono diventato il passo lucido.

Daniele è l’essenza del movimento, appare una persona invisibile che non fatica nel movimento, che trascende la fatica, che si ricarica con il gesto atletico, infinitamente in movimento.
Questa è la storia di uno di noi.

Matteo SIMONE 
Psicologo, Psicoterapeuta  
380-4337230 - 21163@tiscali.it 

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