L’aiuto psicologico può
avere l’obiettivo di sviluppare la resilienza
Matteo Simone
Non si è mai pronti ai cambiamenti di vita drastici e improvvisi.
L’impatto di un evento considerato imprevedibile,
devastante, stressante comporta sensazioni intense e insolite, forti emozioni, comportamenti
non abituali. Si rimane sorpresi e impotenti davanti all'imprevisto e
inimmaginabile che crea danni, lutti, dolore, perdite enormi.
L’aiuto psicologico può avere l’obiettivo
di sviluppare la resilienza nelle persone, aiutare a ricostruire fiducia e
relazioni, ricostruire sé stessi, la propria attività. L’aiuto psicologico può
avere l’obiettivo di incrementare fiducia e pazienza in attesa di ritornare
gradualmente alla quotidianità, di riprendere le cose lasciate in sospeso, di
prendersi cura di sé.
Nel mio libro “Sviluppare la resilienza”, Sergio Mazzei, Direttore dell’Istituto Gestalt e Body Work di Cagliari dichiara che:
Nel mio libro “Sviluppare la resilienza”, Sergio Mazzei, Direttore dell’Istituto Gestalt e Body Work di Cagliari dichiara che:
“Evidentemente
il senso della resilienza in buona sostanza equivale all’avere coraggio,
all’insistere nel raggiungere il proprio scopo e dunque al non sottrarsi alla
propria esperienza, qualunque essa sia, al non censurare o negare la propria
verità, allo stare con il proprio dolore e impedimento, al tener duro anche se
le circostanze sembrano insostenibili.”
Bisogna comunque andare avanti fiduciosi,
speranzosi con forza e coraggio mettendo da parte altro e focalizzandosi per la
risoluzione del problema contingente non facile ma neanche impossibile, insieme
si può, anzi si deve soprattutto per i più piccoli.
Rallentando o fermandosi, sì può
approfittare per riprendere vecchie e sane abitudini messe da parte come
scrivere, leggere, meditare, vedere vecchie foto cartacee, fare qualche
telefonata. Passerà tutto se andiamo avanti anche con un po' di ansia, panico,
paura, disperazione, sconforto.
Molto
interessante il racconto descritto nel “Libro Rosso” di Carl Gustav Jung:
"Capitano,
il mozzo è preoccupato e molto agitato per la quarantena che ci hanno imposto
al porto. Potete parlarci voi?"
"Cosa
vi turba, ragazzo? Non avete abbastanza cibo? Non dormite abbastanza?"
"Non
è questo, Capitano, non sopporto di non poter scendere a terra, di non poter
abbracciare i miei cari".
"E
se vi facessero scendere e foste contagioso, sopportereste la colpa di infettare
qualcuno che non può reggere la malattia?"
"Non
me lo perdonerei mai, anche se per me l'hanno inventata questa peste!"
"Può
darsi, ma se così non fosse?"
"Ho
capito quel che volete dire, ma mi sento privato della libertà, Capitano, mi
hanno privato di qualcosa".
"E
voi privatevi di ancor più cose, ragazzo".
"Mi
prendete in giro?"
"Affatto...
Se vi fate privare di qualcosa senza rispondere adeguatamente avete
perso".
"Quindi,
secondo voi, se mi tolgono qualcosa, per vincere devo togliermene altre da
solo?"
"Certo.
Io lo feci nella quarantena di sette anni fa".
"E
di cosa vi privaste?"
"Dovevo
attendere più di venti giorni sulla nave. Erano mesi che aspettavo di far porto
e di godermi un po' di primavera a terra. Ci fu un'epidemia. A Port April ci
vietarono di scendere. I primi giorni furono duri. Mi sentivo come voi. Poi
iniziai a rispondere a quelle imposizioni non usando la logica. Sapevo che dopo
ventuno giorni di un comportamento si crea un'abitudine, e invece di lamentarmi
e crearne di terribili, iniziai a comportarmi in modo diverso da tutti gli
altri. Prima iniziai a riflettere su chi, di privazioni, ne ha molte e per
tutti i giorni della sua miserabile vita, per entrare nella giusta ottica, poi
mi adoperai per vincere.
Cominciai
con il cibo. Mi imposi di mangiare la metà di quanto mangiassi normalmente, poi
iniziai a selezionare dei cibi più facilmente digeribili, che non
sovraccaricassero il mio corpo. Passai a nutrirmi di cibi che, per tradizione,
contribuivano a far stare l'uomo in salute.
Il
passo successivo fu di unire a questo una depurazione di malsani pensieri, di
averne sempre di più elevati e nobili. Mi imposi di leggere almeno una pagina
al giorno di un libro su un argomento che non conoscevo. Mi imposi di fare esercizi
fisici sul ponte all'alba. Un vecchio indiano mi aveva detto, anni prima, che
il corpo si potenzia trattenendo il respiro. Mi imposi di fare delle profonde
respirazioni ogni mattina. Credo che i miei polmoni non abbiano mai raggiunto
una tale forza. La sera era l'ora delle preghiere, l'ora di ringraziare una
qualche entità che tutto regola, per non avermi dato il destino di avere
privazioni serie per tutta la mia vita.
Sempre
l'indiano mi consigliò, anni prima, di prendere l'abitudine di immaginare della
luce entrarmi dentro e rendermi più forte. Poteva funzionare anche per quei
cari che mi erano lontani, e così, anche questa pratica, fece la comparsa in
ogni giorno che passai sulla nave.
Invece
di pensare a tutto ciò che non potevo fare, pensai a ciò che avrei fatto una
volta sceso. Vedevo le scene ogni giorno, le vivevo intensamente e mi godevo
l'attesa. Tutto ciò che si può avere subito non è mai interessante. L' attesa
serve a sublimare il desiderio, a renderlo più potente.
Mi
ero privato di cibi succulenti, di tante bottiglie di rum, di bestemmie ed
imprecazioni da elencare davanti al resto dell'equipaggio. Mi ero privato di
giocare a carte, di dormire molto, di oziare, di pensare solo a ciò di cui mi
stavano privando".
"Come
andò a finire, Capitano?"
"Acquisii
tutte quelle abitudini nuove, ragazzo. Mi fecero scendere dopo molto più tempo
del previsto".
"Vi
privarono anche della primavera, ordunque?"
"Sì,
quell'anno mi privarono della primavera, e di tante altre cose, ma io ero
fiorito ugualmente, mi ero portato la primavera dentro, e nessuno avrebbe
potuto rubarmela più."
Passa tutto se siamo fiduciosi,
collaborativi, pazienti, se siamo comunque in contatto a distanza, se siamo
sensibili, tolleranti. Possiamo e dobbiamo farcela sviluppando resilienza per
cercare di uscire più forti e determinati, Passa tutto e si affronta tutto come
i muri di tante maratone e ultramaratone sempre con il sorriso.
Di seguito riporto un interessante
aneddoto tratto dal libro “Arrendersi mai, come trovare la carica per
affrontare positivamente la vita”, pagg. 6-9, di Luis Rojas Marcos: “… Era ricoverato da cinque anni a causa di un infortunio subito sul lavoro
mentre stava ispezionando un cantiere. …Mi venne in mente di chiedergli che
voto avrebbe dato alla sua esistenza: da zero, molto infelice, a dieci, molto
felice. Dopo un momento di riflessioni, con il sorriso sulle labbra e senza
esitare, mi rispose: ‘un bell’otto’. Rimasi sorpreso: mi affrettai a chiedergli
che valutazione avrebbe dato prima di quell’infortunio. Sempre senza
esitazioni, la risposta di Robert fu: ‘Direi un otto e mezzo, più o meno.’
‘Solo mezzo voto di differenza?’ chiesi con malcelata incredulità.
‘Caro
dottore’, mi spiegò Robert praticamente come per tranquillizzarmi, ‘le parrà
strano, eppure mi ritengo un uomo fortunato. Sono sopravvissuto a un gravissimo
incidente con tutte le facoltà mentali intatte, anzi, da allora la mia
esistenza ha acquistato un significato più profondo. Penso che, in un certo
senso, quell’incidente abbia fatto di me una persona migliore. Sono divenuto
più comprensivo con gli altri, apprezzo maggiormente piccole cose che prima mi
parevano scontate’.”
Non viviamo lo stare a casa ora come una
costruzione ma come un'opportunità, una scelta consapevole e condivisa,
approfittiamo per ricaricarci, per inventarci qualcosa che poi servirà anche
dopo, facciamo uscire chi è in prima linea.
Di seguito riporto una testimonianza di resilienza
dell’amico Mauro Tomasi che riesce a trasmettere tanta forza e coraggio: Come hai superato
crisi, sconfitte, infortuni? “La crisi nella fase
dopo incidente, durata circa 9 anni, l’ho superata trovando l'input per
ricredere nella vita, vedendo persone che erano messe molto peggio di me
fisicamente, ma psicologicamente messe meglio, mi riferisco a tetraplegici e
varie malattie degenerative, loro erano felici, entusiasti, nonostante che
tanti non si muovevano per niente. Questo si può notare dagli
occhi, le persone felici hanno gli occhi lucidi, le persone tristi gli hanno
spenti opachi, se guardo anch’io le mie foto fino al 2009 erano spenti. Vedendo
loro ho cambiato anch’io la visione di quello che mi è successo da negativo in
positivo, accettando quello che mi era successo come un’opportunità,
un’occasione diversa di vivere la vita.
E li veramente ho cominciato a vivere,
accorgendomi di quante cose avrei potuto fare nella mia “nuova occasione” che
mi è stata donata, il mondo cambia solamente se cambiamo noi e le nostre
decisioni e convinzioni in questo sono determinanti. Non importa come sia una persona
fisicamente, dove viva, cosa faccia o dovrà fare, importa solo quello che vuole
essere e come vuole stare, se vuole stare bene starà bene, se vuole stare male
starà male, la scelta è solo sua. I nostri limiti sono nella nostra testa e
tante volte sono fatti da altri”.
Gli psicologi possono intervenire dove c’è
trauma e tragedia per contenere ed elaborare dolore, sofferenza, panico,
disperazione, per accompagnare vittime e familiari per indirizzarli ad
accettare e affrontare l’onda del cambiamento imposta della routine giornaliera
in attesa di poter gradualmente ritornare alla quotidianità quando sarà possibile.
Matteo SIMONE
Psicologo, Psicoterapeuta Gestalt ed EMDR
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