Se
una cosa mi piace, se ci credo, nulla può impedirmi di portarla a termine
L’UTMB con partenza e arrivo a Chamonx è
una gara di circa 170 km e 10.000 metri di dislivello che attraversa l’Italia,
la Francia e la Svizera. Xavier Thévenard, con un tempo di in 20:44:16 ha vinto
l’edizione del 2018 precedendo il rumeno Robert Hajnal, e lo spagnolo Jordi
Gamito. Per Xavier è la terza vittoria all’UTMB avendolo vinto il 2013 e il
2015. Hanno vinto tre volte l’UTMB anche François D’Haene (2012, 2014, 2017) e
Kilian Jornet (2008, 2009, 2011).
Tra le donne Francesca Canepa si aggiudica la gara in 26h03’48” precedendo la
spagnola Uxue Fraile Azpeita e la francese Jocelyne Pauly. Francesca è la prima
italiana a vincere l’UTMB. Degli atleti italiani solo Marco Olmo ha vinto l’UTMB
due volte nel 2006 e nel 2007.
Francesca sa che se non c’è passione e motivazione non si va da nessuna parte, non ha senso avere il pettorale, meglio non presentarsi alla partenza di una competizione. Di seguito riporto alcune considerazioni di Francesca attraverso risposte ad alcune mie domande di un po’ di tempo fa: Cosa significa per te essere ultrarunner? “Significa semplicemente ritenere possibile correre QUALSIASI distanza. Senza limiti. Significa che il mio cervello non vede confini, il mio corpo neanche.”
Francesca sa che se non c’è passione e motivazione non si va da nessuna parte, non ha senso avere il pettorale, meglio non presentarsi alla partenza di una competizione. Di seguito riporto alcune considerazioni di Francesca attraverso risposte ad alcune mie domande di un po’ di tempo fa: Cosa significa per te essere ultrarunner? “Significa semplicemente ritenere possibile correre QUALSIASI distanza. Senza limiti. Significa che il mio cervello non vede confini, il mio corpo neanche.”
Francesca ha maturato la consapevolezza
della sua elevata autoefficacia, merito di tante performance nel corso degli
anni che le danno sicurezza nel proseguire la sua carriera di ultrarunner: Cosa ti motiva ad essere ultrarunner?
“Mi piace l’endurance, spostare i confini
di ciò che si ritiene di poter fare, provare a correre sempre più forte anche
dopo molte ore. Adoro la sensazione di fatica appena finita la gara e vederla
trasformarsi in recupero già nel giorno seguente. Io recupero subito.”
Francesca ha trovato la chimica e
l’alchimia giusta, più fatica e più l’organismo la assimila come qualcosa di
ordinario, è come una pallina da tennis, se la tieni pigiata dopo ritorna nella
forma abituale, quindi la fatica non scalfisce, non spaventa Francesca, le dà
modo di sperimentarsi sempre di più: Hai
sperimentato l’esperienza del limite nelle tue gare? “In realtà mai, in genere ascoltando bene i segnali non mi succede. Ho
sperimentato il limite psicologico, quello che per noia, brutte sensazioni o
mancanza di reale motivazione, mi ha fatto staccare il pettorale. Ma non è mai
successo per un limite dato dall’esaurimento fisico.”
Francesca è arrivata alla consapevolezza
che dipende tutto dall’approccio mentale, è la mente che decide di poter fare
qualcosa di difficile con l’opportuna preparazione e con la sicurezza acquisita
nel corso di competizioni precedenti riuscite con successo. Il suo motto è il
momento presente ed il considerare mente e corpo un’accoppiata vincente: Quali meccanismi psicologici ritieni ti
aiutano a partecipare a gare estreme? “Il
semplice concentrarsi sul qui ed ora, mettere un piede davanti all’altro
sapendo per certo che se la testa tiene il corpo mi segue.” Cosa ti spinge a spostare sempre più in
avanti i limiti fisici? “La curiosità
e la sensazione che il corpo comunque tende ad adattarsi e che se non faccio
cose stupide tutto è possibile.” Hai
un sogno nel cassetto? “Vincere la
maratona di New York nella categoria Over 70.”
Sa che se scatta lo stimolo giusto, si
attiva al massimo per mobilitare le energie occorrenti per la soddisfazione dei
suoi bisogni e il raggiungimento dei suoi obiettivi, insomma se vuole sa come
fare: Cosa hai scoperto del tuo
carattere nel diventare ultramaratoneta? “Più che scoperte, direi che ho avuto conferme. Qualunque cosa abbia
davanti l’aggettivo ‘ULTRA’ amplifica il corredo di base, caratteriale o fisico
che sia. Porta oltre, per definizione. Quindi ho avuto la conferma che se una
cosa mi piace, se ci credo, nulla può impedirmi di portarla a termine. Se
invece per qualsiasi motivo non provo più nessun piacere nel farla,
semplicemente smetto di farla, qualunque sia la posta in gioco. Non mi arrendo
se ne vale la pena, ma questo concetto si riferisce unicamente al mio sistema
chiuso ‘mente-corpo’, non riesco a considerare obiettivi imposti o caldeggiati
dall'esterno. L’aggettivo ULTRA amplifica anche la ribellione.”
Francesca sa che con il limite non si
scherza, è importante esserne consapevole, l’imprevisto è sempre dietro
l’angolo, quindi finché si tratta di percorrere chilometri ben venga qualsiasi
sfida, ma se si tratta di condizioni climatiche estreme è disposta ad alzare
bandiera bianca: Quale è una gara
estrema che ritieni non poter mai riuscire a portare a termine? “Non esiste, non la conosco. Però mi sono
precluse tutte le prove senza balisaggio, non so usare bussole e cartine quindi
sicuramente il mio limite sta lì, non nel numero di km. E può stare anche nelle
condizioni climatiche estreme, credo di non essere tagliata né per il caldo né
per il freddo estremi.” Che
significa per te partecipare ad una gara estrema? “Significa sapere con certezza a che ora parto ma non avere garanzie sul
quando e sul se arrivo. Significa prepararmi ad affrontare eventuali imprevisti
e significa sapere che sarà impegnativo mentalmente.”
Francesca continua ad andare avanti
come un treno più sicura e con elevata autoefficacia. Lo sport per strada,
all'aria aperta in autosufficienza è una grande scuola di vita; bisogna
crederci, sognare, realizzare sogni, superare crisi e quant'altro, sviluppare
consapevolezza, autoefficacia e resilienza. Francesca ha tanto da trasmettere e
insegnare per la enorme esperienza acquisita anche attraverso lo sport: Cosa vuoi dire ai ragazzi e genitori per
farli avvicinare allo sport? “Ai
ragazzi non voglio dire nulla, perché credo che le parole non siano così utili.
Suggerirei loro piuttosto, di leggere le biografie di atleti che raccontano la
loro storia. Credo sia molto più potente apprendere grazie all'esempio. Leggere
e poi costruirsi un pensiero proprio. Leggere e arrivare a chiedersi ‘perché
non io’? Leggere e poi provare a scrivere la propria storia. Ai genitori vorrei
proporre di aiutare i ragazzi ad individuare i propri talenti naturali, anziché
magari seguire le masse e fare lo sport che fanno tutti solo per moda. E se si
trova questo talento o comunque almeno un interesse, impegnarsi a eliminare la
parola IMPOSSIBILE dal vocabolario e ragionare solo sul modo per rendere
possibili i sogni. Lavorandoci, ovvio. Ma credendoci tutti: i ragazzi
hanno bisogno di sentire il tifo della famiglia. Hanno bisogno di sapere che qualcuno
crede in loro.”
Nella mente degli ultrarunner ci sono sempre pensieri,
dubbi, speranze, certezze, mete, direzioni da prendere, obiettivi da
raggiungere: Hai ancora
sogni, progetti? “I miei
progetti in verità prendono forma in maniera del tutto casuale, in base alle
situazioni in cui mi imbatto e alle opportunità che di volta in volta vedo
dischiudersi. Non ho un piano preciso. Non ho gare iconiche che voglio fare per
forza. Decido più o meno giorno per giorno. Quello che so per certo è che sarò
un'atleta per sempre.”
Nel libro “Ultramaratoneti e gare estreme” riporto
un’intervista a Francesca Canepa.
Psicologo, Psicoterapeuta Gestalt
ed EMDR
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