Matteo Simone
Mentre tutti gli atleti che praticano il trail si danno battaglia nella gara di 50 km valida come Campionato Mondiale, Cecilia, zitta zitta, si imbatte nella gara più lunga e più tosta, sola contro tutti, arrivando prima donna e al 10° posto della classifica assoluta.
Lei che ha sempre ambito a un posto in
Nazionale, ha sempre sperato in una vittoria prestigiosa, il suo impegno, la
sua fiducia, in se stessa, la sua determinazione le hanno permesso di ottenere
questo pregevole piazzamento e vittoria il giorno dei Mondiali a Badia
Prataglia.
Ecco le sue parole post gara sui social: “Oggi tutto
perfetto! Percorso, preparazione, arrivo! Prima nel 83km (e decima assoluta) il
giorno del mondiale a Badia Prataglia. In mezzo a tanti campioni anche la mia
è una felicità è unica al mondo!”
Di seguito approfondiamo la conoscenza di Cecilia attraverso risposte ad
alcune mie domande di un po’ di tempo fa.
Ti
puoi definire ultramaratoneta? “Uhm vediamo…diciamo che più che ultramaratoneta potrei definirmi
trailer al momento della
domenica, scherzi a parte adoro questo sport.”
Cosa
significa per te essere ultramaratoneta? “Ultramaratoneta è colui che aspetta tutta la settimana per godersi
quella giornata, che sia sabato o domenica, immerso nella natura, circondato da
persone che condividono la sua stessa passione, con cui trascorrerà attimi
preziosi, momenti che ti consentono di ricaricare le batterie e affrontare al
meglio la settimana che ti aspetta.”
La natura diventa uno spazio dove si sperimenta libertà, si fatica
felicemente salendo e scendendo, saltando radici e sassi, sporcandosi,
percependo sensazioni ed emozioni, sudore, vento, fame, sete, colori intensi,
albe e tramonti.
Qual
è stato il tuo percorso per diventare un ultramaratoneta? “Il mio approccio al trail è nato per puro caso. Mi trovavo in vacanza
quando un’amica, Maria Chiara Parigi, con la quale avevo condiviso qualche
corsetta mattutina, mi invita ad andare con lei al Trail dei Poeti; 23 km mi
dice, che vuoi che siano.
Beh, per me che correvo da maggio e al massimo ne
avevo fatti 15 in allenamento e mai più di 10 in gara, mi sembravano
un’enormità. Non so cosa però, ma una vocina dentro di me mi fece dire sì…ed
eccomi qua. Da allora non ho più smesso.”
Cosa ti motiva ad essere ultramaratoneta? “Sicuramente le emozioni che questo sport mi regala ogni volta. L’amore
per la natura e la voglia di conoscere posti nuovi e incontrare nuove amicizie,
perché il trail non è solo corsa è prima di tutto passione e condivisione.”
Hai
mai pensato di smettere di essere ultramaratoneta? “A dire la verità ho avuto alcuni momenti difficili in cui sembrava che
già portare a termine una gara fosse una grande conquista, ma proprio di
smetter del tutto no fortunatamente.”
Hai
mai rischiato per infortuni o altri problemi di smettere di essere ultramaratoneta? “Fosse stato per me mai, in realtà il troppo allenamento e le continue
gare hanno fatto crollare la Ferritina e il ferro a livelli davvero critici ma
per fortuna sono riuscita a trovare un giusto compromesso; una bella cura di
ferro e allenamenti più brevi ma mirati.”
Come dico ultimamente, soprattutto per lo sport di endurance, è
importante l’autoprotezione e le coccole oltre all’allenamento fisico, mentale
e nutrizionale.
Si può portare il fisico in condizioni estreme in allenamento e
in gara, si può alzare sempre più l’asticella, si può fare sport per ore e ore
in condizioni di meteo non ottimale, in condizioni di deprivazione di sonno.
Importante diventa poi prendersi cura di sé, del proprio corpo, dedicando cure
e attenzioni appropriate, attraverso massaggi e fisioterapia, attraverso riposi
e recuperi. Un buon ciclo dovrebbe essere: attivazione, allenamento, fatica,
recupero, integrazione, e così a seguire.
Cosa
ti spinge a continuare ad essere ultramaratoneta? “In primis la curiosità non solo di esplorare posti nuovi ma anche di
conoscere nuovi amici folli che come me condividono l’amore per questo sport. Posso
dire di essere fiera di essere entrata a far parte della famiglia del trail,
ecco sì è proprio questo che mi spinge, la voglia ogni volta di sentirmi di
nuovo a casa.”
Hai
sperimentato l’esperienza del limite nelle tue gare? “Una gara rimarrà dentro di me per un bel po’ credo: Oasi Zegna.
Partiamo la mattina alle 7, un mega temporale ci assale dopo pochi metri. La
stanchezza di una settimana di dichiarazioni dei redditi, perché si, sono
commercialista e per noi questo è davvero un periodo di fuoco, e il temporale
fanno da padroni. Mi ritrovo nella cresta di Bielmonte in preda ad una crisi di
panico.
Non riesco a capire dove mettere i piedi, come arrampicarmi, si inizia
a spengere la luce, eppure mi dico di cibo ne hai, acqua pure e allora? Allora
non so, so solo che dopo aver fatto pochi metri con una guida alpina mi ritrovo
svenuta a terra con un gentilissimo signore che cerca di farmi rinvenire, il
tutto in attesa dell’elicottero, pronto a portarmi al primo ospedale. Ecco
quello credo sia stato il mio limite, non tanto fisico, quanto mentale, perché
come dico sempre, i trail non sono gare di gambe ma di cuore e, soprattutto, di
testa e quando quella ti abbandona, addio.”
Con il trail non si scherza, bisogna
essere presenti momento per momento, passo per passo, capire dove si sta
andando, osservare in basso dove si mettono i piedi, osservare davanti per
capire cosa bisogna evitare e la direzione da seguire, ascoltare corpo e mente per
capire messaggi di stanchezza, per correre al più presto ai ripari,
rallentando, coprendosi, svestendosi, spiluccando qualcosa da mangiare, bere
ogni tanto. Insomma avere il controllo della situazione.
Quali meccanismi psicologici ti aiutano a partecipare a gare
estreme? “Sicuramente ciò che ci
spinge in queste gare è la voglia di conoscersi fino in fondo, di capire come
saremmo in grado di reagire in situazioni di difficoltà, perché ciò che conta
nei trail è sapersi gestire, saper capire di cosa il tuo corpo ha bisogno,
ancor prima che te lo chieda.”
Con i trail si diventa manager di se stessi,
bisogna saper gestire energie, cibo, percorso, abbigliamento tecnico.
La tua gara più estrema o più difficile? “La più dura che abbia concluso è stata il trail di Portofino; complice
la pioggia incessante, i numerosi punti esposti e il fatto di essere scivolosissima,
nonché, soprattutto, una lunga discesa ripida di 2 km sulla carta, ma per me di
2000, ecco sì, quelli sono stati 24 km davvero infiniti.”
L’intervista risale a qualche tempo fa, nel frattempo Cecilia sicuramente
si è sperimentata in imprese più ardue e anche in ultratrail,
l’ho incontrata un paio di anni fa all’ultratrail dei
Monti Simbruini con la sua amica Parigi che vinse la gara.
Una gara estrema che ritieni non poter mai riuscire a portare a termine? “Non penso ci siano gare impossibili, credo iniziando piano piano e
affrontandole con lo spirito giusto ogni gara possa essere conclusa, ora come
ora comunque sarà bene che eviti quelle con discese troppo complicate; perché,
detto tra noi, in discesa soprattutto ho moltissimo da imparare.”
C’è
una gara estrema che non faresti mai? “Non ci sono gare estreme che non farei mai; quelle in cui la roccia fa
da padrone e le discese sono davvero complicate, ma tutto solo per evitare che
l’inesperienza possa far nascere in me paure inutili.”
Cosa ti spinge a spostare sempre più in avanti i limiti fisici? “La voglia di conoscermi fino in fondo, si credo
sia proprio quella che mi spinge ogni volta ad oltrepassare i miei limiti,
certo non sempre si può spostare in alto l’asticella, soprattutto lo
spostamento non deve essere mai brusco solo così, secondo me, riesci ad apprezzare
e a gustarti ogni conquista.”
Cosa
pensano familiari e amici della tua partecipazione a gare estreme? “Mio padre lo adora, lo troverete infatti spesso ai ristori con
cellulare alla mano, pronto a fare mille foto, coca cola e cibarie varie. È si
lui è l’uomo dei ristori, mi sentisse che lo chiamo così mi farebbe una bella
linguaccia, appassionato di sport e matematico per natura si diverte a venire
con me e la Chiara alle gare, si occupa di beverage e fotografie ma soprattutto
di statistiche. Credo che nel cellulare abbia segnato i nostri tempi ristoro
per ristoro. Abbiamo tentato più volte di fargli capire che nel trail non ci
sono medie da rispettare, di sicuro il suo amorevole interessamento rende ancor
più speciale questo sport. I miei amici e molte delle persone che incontro mi
vedono come un’extraterrestre, alcune ti guardano con ammirazione, per loro è
come se tu fossi wonderwoman, sicuramente ciò che accomuna tutti è la
curiosità, il fatto di condividere le nostre emozioni attraverso i social spinge
molti a far domande, quasi volenterosi anche loro, prima o poi d’iniziare
questo sport.”
Racconti di gare particolari, estreme e bizzarre coinvolgono e stimolano
gli ascoltatori che diventano curiosi di provare anche se un po’ diffidenti.
Che
significa per te partecipare a una gara estrema? “Ogni gara è come una nuova avventura, un viaggio dentro e fuori di noi.
Un’esperienza unica e sicuramente indimenticabile.”
Ti
va di raccontare un aneddoto? “Uno??? Ce ne sarebbero mille, a dire la verità un momento mi è rimasto
più degli altri nel cuore. Il trail dei poeti, Lerici, la mia prima gara,
perché come si dice, il primo amore non si scorda mai. Non avevo mai corso su
sentieri disconnessi e trovarmi ad affrontare una mini (adesso, allora mi
sembrava maxi) discesa rocciosa mi pareva davvero un’impresa incredibile; e
mentre ero lì che cercavo di capire dove mettere i piedi mi sento una voce da
dietro che mi dice: vuoi un mano? Ed io: volentieri, sai sono un disastro in
discesa e questa è la mia prima gara. Beh non ci crederete non solo mi ha guidato ma
mi ha preso in mano anzi quasi in braccio e così sono arrivata in fondo alla
discesa. Incredibile no? Ancor più bello è stato finire la gara mano nella mano
con lui.”
Cosa
hai scoperto del tuo carattere nel diventare ultramaratoneta? “Pensare che fino a poco tempo fa neppure mi sedevo sull’erba per paura
di sporcarmi e adesso mi immergo nelle fontane lungo i percorsi, mangio con le
mani terrose, bevo dalle borracce di persone mai viste, ma soprattutto cado,
rimbalzo e mi rialzo, beh credo di aver fatto notevoli cambiamenti. Questa
nuova Cecilia non solo mi piace ma talvolta mi fa dubitare che quella di una
volta fossi davvero io. Una ragazzina noiosa e che non mi vergogno affatto di
definire incapace di stare al mondo!”
Lo sport ti rimette al mondo in modo diverso, ti fa sperimentare resilienza,
cadi e ti rialzi sempre, lo spiego nel mio libro Sviluppare
la Resilienza.
Se
potessi tornare indietro cosa faresti o non faresti? “Se potessi tornare indietro rifarei tutto anche gli errori che mi hanno
stancato e indebolito fisicamente, le numerose gare, gli allenamenti talvolta
troppo estenuanti, gli errori in gara, perché in fondo sbagliando s’impara e se
forse non avessi sbagliato oggi non sarei qui, e non avrei raccolto qualche
piccola soddisfazione personale.”
L’esperienza paga sempre, uscire fuori dalla zona di confort e mettersi
in gioco fa imparare a crescere, a fare meglio, a essere al mondo.
Usi
farmaci, integratori? Per quale motivo? “A livello di integratori, anche su consiglio del medico, talvolta
utilizzo a cicli gli aminoacidi e in gara i sali minerali, quindi a parte il
ferro, che vista la mia anemia sono costretta a prendere, direi di no.”
Ai
fini del certificato per attività agonistica, fai indagini più accurate? Quali? “So bene che questo sport può portare il nostro fisico a condizioni di
sofferenza ecco perché cerco di farmi spesso analisi del sangue e vari controlli,
più per scrupolo che altro!”
Hai
un sogno nel cassetto? “Mi piacerebbe fare il Tor de Géants,
ma se devo dire veramente quale sia il mio sogno, sarebbe indossare la maglia
della nazionale con lei, Maria Chiara Parigi, non è solo un’amica, direi più
una sorella del trail, è lei che mi ha insegnato tutto, che mi ha fatto tornare
la voglia di correre nei momenti bui, compagna di mille avventure ma
soprattutto disavventure.
La sua telefonata di quel famoso venerdì rimarrà nel
mio cuore sempre, così come la gara della Maddalena in cui lei mi ha regalato
una gara fianco a fianco e un podio assieme. Credo che vestire i colori
dell’Italia sia il sogno di tutti, ecco io vorrei poterla indossare fianco a
fianco a lei e magari arrivare anche lì mano nella mano. Sono esagerata eh? Ma
in fondo un sogno è un sogno e mi piace viverlo così, sulla scia dei momenti
magici che questo sport in sua compagnia mi regala!”
Riporto un’intervista doppia a Cecilia Polci e Maria Chiara Parigi nel libro “Lo sport delle donne. Donne sempre più determinate, competitive e resilienti” – 8 ottobre 2018.
Cecilia è menzionata nel libro Maratoneti e ultrarunner
Matteo SIMONE
380-4337230 - 21163@tiscali.it
Psicologo, Psicoterapeuta Gestalt ed EMDR
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