giovedì 27 aprile 2017

Alessandro Di Meo: Nella corsa il risultato lo ottieni solo con il lavoro

Matteo SIMONE

Lo sport diventa da ragazzi una modalità di educazione, di stare al mondo, di relazionarsi con coetanei ascoltando gli adulti che diventano educatori che affiancano i genitori, man mano che si cresce resta il gioco e si sviluppa la competizione, utile per cavarsela nel mondo non solo nello sport, ma anche in famiglia, nell’ambiente lavorativo, sempre rispettando il prossimo che sia compagno di squadra o avversario, senza strafare, senza pretendere, accettando quello che c’è e cercando di essere un po’ ambiziosi con la voglia di migliorarsi sempre un po’ per volta.
Di seguito, Alessandro racconta la sua esperienza di atleta rispondendo ad alcune mie domande.
In che modo lo sport ha contribuito al tuo benessere? “In maniera esponenziale.”
Come hai scelto il tuo sport? “Per caso, provenivo dal calcio.”
Quali condizioni ti hanno indotto a fare una prestazione non ottimale? “Quando non ero allenato abbastanza, credo che nello sport in genere, ma nella corsa in particolare,  il risultato lo ottieni solo con il lavoro.”
Quali persone hanno contribuito al tuo benessere o performance? “Nessuno in particolare, ho fatto tutto da solo.”
Qual è la gara della tua vita? “Ho avuto molte soddisfazioni dalla corsa, mi sono sempre misurato contro me stesso e mai contro gli avversari, il mio avversario è il cronometro, sempre avendo a mente i miei difetti e i miei pregi sportivi.”
Quali i meccanismi psicologici ritieni ti abbiano aiutano nello sport? “I meccanismi psicologici mi hanno danneggiato, non ero abbastanza preparato psicologicamente per allenamenti lunghi specialmente, ma adesso sto crescendo anche in questo.”

Non si finisce mai di crescere e apprendere dall’esperienza. Nelle distanze lunghe e nello sport di endurance aumenta la proporzione dell’allenamento mentale rispetto a quello fisico, c’è da curare più l’aspetto mentale, il definire obiettivi sfidanti ma raggiungibili, essere sufficientemente motivati per uno sforzo che va oltre l’ordinario, considerare proprie capacità e propri limiti, sviluppare autoconsapevolezza, autoefficacia e resilienza, saper uscire da crisi, problemi, difficoltà.
Anche alcuni allenatori considerano il massimo della distanza da allenare la maratona, si arrendono di fronte alle ultramaratone, non accettano le sfide di alcuni atleti che vogliono osare. E’ un mondo da approfondire, ed è quello che sto facendo da un po’ di tempo sia con esperienza diretta che attraverso testimonianze di atleti di endurance che osano avvicinandosi a limiti.
Gli atleti considerano l’importanza del fattore mentale, affermando che non basta solamente l’allenamento fisico ma è opportuno sviluppare anche aspetti mentali quali la caparbietà, la tenacia, la determinazione e questi aspetti poi saranno utili anche per la vita quotidiana, infatti permetteranno di saper gestire ed affrontare determinate situazioni considerate difficili.
Ti va di descrivere un episodio curioso o divertente della tua attività sportiva? “La Maratona di Berlino del 2006, andai soprattutto per visitare Berlino, viaggio organizzato dal mio ex G.S., i Bancari, a prezzo vantaggioso. Nella settimana della gara iniziai a sentire dolori molto forti alla coscia e raramente ho eseguito allenamenti di lunga distanza. All'expo nel ritiro del pettorale, non ritirai nemmeno il chip, consapevole del fatto che MAI avrei potuto gareggiare. Il Venerdì e il Sabato soprattutto ebbi uno stile di vita "etilico", tanto che il sabato mi dovettero riportare in camera a braccio. La Domenica mattina tra il mal di testa e mal di gambe presi un Aulin, e andai alla partenza con gli altri, con la divisa sociale, magliettina di ricambio e monetine per riprendere la metro, per tornare in albergo. Il dolore iniziava mano mano a calare, iniziai una sorta di riscaldamento e alla partenza mi avventurai. Risultato, medaglia al collo e tempo di 3h 10 min, trascinato da un pubblico straordinario e percorrendo gli ultimi 500 mt, dalla Porta di Brandeburgo all' arrivo, corredo all' indietro, esultando e battendo le mani al pubblico.”


Il mondo dei maratoneti è sorprendente, distanze lunghe non solo con emisfero dx calcolatore e razionale che a volte diventa limitante, ma anche con emisfero sx più informale e disposto a osare.
Cosa hai scoperto di te stesso nel praticare attività fisica? “Ho scoperto che lo sport mi avrebbe potuto dare molto nel calcio, ma all'età di 19 anni (non ero disposto a impegnarmi), adesso: tenacia, volontà, spirito di sacrificio.”

C’è un’età per tutto, per giocare, per divertirsi, per essere più responsabile, maturo e consapevole. Ogni cosa si può fare al tempo suo, senza fretta, senza rimpianti.
Quale è stata la tua gara più difficile? “Le gare in cui ho sofferto, le ho rimosse, ma erano gare in cui non ero pronto.”
Hai dovuto scegliere di lasciare uno sport a causa di un percorso di studi o carriera lavorativa? “Sì, assolutamente. Ma era impensabile fare sport essendo impegnato per 14 ore nel lavoro, ma appena trovata una finestrella, ho ripreso. Trovo assurdo nelle persone che riescano a ritagliarsi un oretta al giorno non dedicarla allo sport in genere.”
Quali sensazioni hai sperimentato nello sport: allenamento, pregara, gara, post gara? “Dovessi riassumerle in una sola parola, appagamento e soddisfazione nel post, sia gara che allenamento.”
Hai rischiato di incorrere nel doping? C'è un messaggio che vorresti dare per sconsigliare il doping? “MAI, doparsi significa mentire a se stessi, fregiarsi di un successo effimero che non c'è mai stato, ho fatto anche un piccolo video su questo.”
Come hai gestito eventuali crisi, sconfitte, infortuni? “Le sconfitte le ho gestite come sprono per lavorare duro, gli infortuni, fortunatamente ne ho avuti di poco conto ma sono sempre stato accorto e ho aspettato sempre un decorso naturale del fastidio.”

Pensi che potrebbe essere utile lo psicologo dello sport? In che modo e in quali fasi? “Molto, ma lì subentra la conoscenza dei propri atleti, uno psicologo deve capire, come spronare, se coccolare, se urlare, se assecondare, e non te lo insegno certo io, ognuno deve essere gestito differentemente.”

Vero, non si possono fare tabelle standard per tutti, è importante conoscere bene la persona, c’è chi è più propenso alla fatica e bisogna frenarlo soprattutto nel pregara e chi non vuol faticare e bisogna affiancarlo un atleta che gli faccia da lepre. C’è chi ha bisogno di allenamenti intensi, per esempio 36-38 km per preparare una maratona o anche più della distanza della maratona, e chi diventa performante con solo 32-34 km. Bisogna comprendere le sensazioni e le emozioni degli atleti.
Quale messaggio vuoi rivolgere ai ragazzi per farli avvicinare allo sport?
“Credo che il messaggio sia da mandare contemporaneamente a ragazzi e genitori, lo sport è vita, lo sport ti fa stare in mezzo alle persone, ai nostri tempi ci allontanava dalla "strada", strada intesa come  malavita e cattive compagnie, adesso li farebbe uscire di casa e allontanarli da questi dannati marchingegni tecnologici. I genitori devono capire che sulla Terra siamo miliardi di persone e sono rare quelle che diventano campioni, allora devono fare sport  in totale divertimento, senza tralasciare l'aspetto agonistico. Vincere o perdere, fa crescere ma mai drammatizzare per una sconfitta si resetta e si ricomincia. Spero di aver contribuito al tuo lavoro, per qualsiasi cosa ritienimi sempre a disposizione.”

Matteo SIMONE
Psicologo, Psicoterapeuta Gestalt ed EMDR
http://www.mjmeditore.it/autori/matteo-simone
http://www.unilibro.it/libri/f/autore/simone_matteo

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